Ticket di licenziamento: l’Inps rivede la sua posizione e ne aumenta il costo

Come noto, e come pubblicato nella nostra newsletter del 21 settembre scorso, l’Inps con la circolare n. 137 del 17 settembre 2021,  ha espresso, a distanza di ben nove anni dall’entrata in vigore della norma regolante l’istituto, una richiesta di un importo maggiorato del massimale del valore del ticket di licenziamento rispetto al quantum suggerito da atti precedenti e pubblicati dallo stesso istituto, aprendo la porta a richieste di regolarizzazione e addebiti dei periodi di paga scaduti alla data di pubblicazione della suddetta circolare per il diverso calcolo che l’Ente ritiene andava posto in essere.

Analizziamo dunque, brevemente,  il quadro di riferimento precedente al documento di prassi emanato dall’Istituto ponendo principalmente l’attenzione sulle ricadute  pratiche ed operative a carico delle aziende.

Ticket di licenziamento: precedenti riferimenti di legge e di prassi

Come noto, i criteri per la determinazione del valore del contributo sono disciplinati dall’art. 2, comma 31, legge n. 92/2012  il quale stabilisce che il contributo è pari al “41 per cento del massimale mensile di ASpI [oggi NASpI] per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”.

Il contributo è pertanto strettamente correlato all’anzianità aziendale del lavoratore cessato, ma scollegato dall’importo della prestazione individuale e, conseguentemente, lo stesso è dovuto in misura identica a prescindere dalla tipologia di lavoro, che esso sia part-time o full-time.
Il calcolo del cosiddetto ticket licenziamento, prima della circolare Inps n. 137/2021, aveva come riferimento due documenti di prassi dell’Istituto. Il primo era il messaggio n. 4441 del 30 giugno 2015,il secondo il messaggio n. 594 dell’8 febbraio 2018 secondo cui il contributo di

licenziamento, per la generalità delle aziende, si doveva determinare come di seguito:

anno   Massimale         (in €) 41%                                                                Ticket (tre anni anzianità)

2015    1.195,00            € 489,95                                                                       1.469,85

2016    1.195,00            € 489,95                                                                       1.469,85

2017    1.195,00            € 489.95                                                                       1.469,85

2018    1.208,15             € 495,34                                                                      1.486,02

2019    1.221,44             € 500,79                                                                      1.502,37

2020    1.227,55             € 503,29                                                                      1.509,87

2021    1.227,55             € 503,29                                                                       1.509,87

Successivamente, con una nota alla  circolare Inps n. 40 del 19 marzo 2020 l’Inps modifica quanto dettagliatamente riportato nei messaggi n. 4441/2015 e 594/2018. Il ticket licenziamento 2020 e 2021 ammonterebbe quindi a € (1.335,40 * 41%) = € 547,51 annuali, pari a € 1.642,53 per il triennio di anzianità. Un incremento di ben 132,66 euro per ciascun ticket con anzianità di almeno tre anni e fino a 795,96 euro nei casi di licenziamento collettivo da parte di aziende che rientrano nell’ambito di applicazione della CIGS, in mancanza di accordo. La circolare n. 40/2020 riporta testualmente la disposizione della legge Fornero “41 per cento del massimale mensile di ASpI [oggi Naspi] per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni”. Nei precedenti messaggi l’Inps individua il massimale mensile di ASpI nel massimale di retribuzione riferito alla prima fascia di importo della NASpI e non nel massimale dell’indennità, entrambi previsti dall’art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 22/2015.

La circostanza era passata quasi inosservata ritenendola un mero refuso in quanto un cambio di rotta sul calcolo non avrebbe certo potuto essere comunicato con una nota a piè di pagina di una circolare. Per tutto il 2020 e il 2021 quindi le aziende hanno continuato a versare il ticket sulla base delle istruzioni della circolare n. 44/2013 e il messaggio n. 594/2018.

La nuova circolare e i profili operativi

La circolare 137/2021 prende atto che da recenti controlli sulle banche dati dell’Istituto è emerso che la modalità di calcolo del contributo del c.d. ticket di licenziamento, nel corso degli anni, non è sempre avvenuta conformemente al disposto dell’articolo 2, comma 31, della legge n. 92/2012, non essendo stata correttamente valorizzata la base di calcolo del contributo, pari all’importo del massimale annuo AspI/NASpI. L’Istituto di fatto esprime una richiesta di un importo maggiorato del massimale rispetto al quantum suggerito da precedenti interventi di prassi.
 Nello specifico dunque l’Inps ha chiarito che le aziende hanno calcolato il ticket di licenziamento in modo errato. Il calcolo del 41% o dell’82% è stato fatto sull’importo (tetto) di retribuzione sul quale si calcola la prima quota di NASpI invece che sul massimale NASpI effettivamente erogabile al lavoratore.

 Il contributo di licenziamento, dovuto per l’interruzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, è pari al 41% del massimale NASpI per 12 mesi di anzianità aziendale, con un massimo di 36 mesi, per la generalità dei datori di lavoro. Il ticket è elevato all’82% per le aziende soggette alla CIGS che effettuano licenziamenti collettivi. In entrambi i casi, l’importo del contributo è triplicato se si tratta di licenziamenti collettivi senza aver raggiunto un accordo sindacale.

Finora il calcolo del 41% o dell’82% è stato fatto sull’importo (tetto) di retribuzione sul quale si calcola la prima quota di NASpI invece che sul massimale NASpI effettivamente erogabile al lavoratore. Con la circolare 137 citata, l’INPS chiarisce che il calcolo del contributo va fatto sul massimale NASpI, riservandosi di diramare le istruzioni operative per la sistemazione del pregresso.

C’è da dire che l’errore di calcolo è stato indotto dallo stesso Ente che nel disciplinare il versamento del contributo di licenziamento, introdotto dall’art. 2 commi da 31 a 35 della legge 92/2012, con la circolare 44 del 22 marzo 2013 ha esplicitamente specificato che il calcolo andava fatto sul tetto della fascia di retribuzione ai fini del calcolo della NASpI. Inoltre il metodo di calcolo (errato) era stato confermato dallo stesso Ente con il messaggio n. 594 dell’8 febbraio 2018 emanato in occasione del raddoppio del ticket per le aziende soggette alla CIGS, nel quale è anche riportato un esempio di calcolo.

Ora l’INPS esplicita il suo nuovo orientamento e chiede ai datori di lavoro di regolarizzare i versamenti sin dal 2013, anno di entrata in vigore dell’obbligo di versamento: al quadro delineato, quindi, si rileva l’evidente correlazione tra versamenti in minor misura da parte delle aziende a partire dall’anno 2015 e le indicazioni dei messaggi Inps n.4441/2015 e n. 594/2018, quantomeno sino a febbraio 2020. Solo con la circolare 40 del 19 marzo 2020, infatti, l’Inps ha correttamente fatto riferimento al massimale anziché alla retribuzione imponibile. In ragione di ciò i paventati recuperi dovrebbero tenere conto, oltre che dei termini prescrizionali, anche della distorsione interpretativa indotta dal medesimo istituto.Visto che l’errore di calcolo è stato determinato dalle disposizioni dell’Istituto, si auspica che la regolarizzazione non sia gravata da sanzioni o interessi. Sulla questione non resta che attendere le decisioni dell’INPS che si è riservata di emanare successivamente le istruzioni per la sistemazione del pregresso.