Indennità di fine rapporto – Collaboratori in regime di monocommittenza

La Corte di Cassazione con la sentenza 11430 del 30 aprile 2021 ha statuito che il  principio di automaticità delle prestazioni di cui all’art. 2116, Codice Civile, non può essere esteso anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

Nella fattispecie al vaglio della Corte l’Istituto previdenziale proponeva ricorso avverso la sentenza del giudice d’appello che aveva riconosciuto al collaboratore iscritto alla Gestione separata ex art.2, comma 26, Legge 8 agosto 1995, n. 335, il diritto alla percezione, ancorché in assenza di versamenti effettuati dalla committente, da parte dell’INPS dell’indennità di fine rapporto prevista dall’art. 19, D.L. 185/2008, per i collaboratori in regime di c.d. monocommittenza, in applicazione del richiamato art. 2116, Codice Civile.

Gli Ermellini hanno chiarito che la disciplina dettata dall’art. 2, comma 26 e ss., Legge 8 agosto 1995, n. 335, dedicata ai lavoratori autonomi titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, e la relativa ripartizione dell’onere previdenziale in misura di un terzo a carico dell’iscritto e di due terzi a carico del committente prevista dal Decreto Ministeriale n. 281/1996, costituiscono una mera delegazione legale di pagamento, sicché non può realizzarsi il venir meno dell’obbligazione contributiva in capo al collaboratore stesso.
Pertanto in riferimento al caso di specie hanno precisato che atteso che il comma 29, del sopracitato art. 2, prevede l’accreditamento dei contributi soltanto qualora gli iscritti abbiano versato un contributo annuale pari al minimale di reddito deve intendersi esclusa, al pari di quanto avviene per i lavoratori autonomi, qualsivoglia analogica estensione dell’art. 2116, comma 1, anche ai soggetti titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.