Licenziamento – Violazione del principio di buona fede e dei criteri legali di scelta

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14180 del 24 maggio 2021 ha chiarito che è illegittimo il licenziamento collettivo intimato dal datore di lavoro che, nella comunicazione finale della procedura [ex art. 4, c. 9, Legge n. 223/1991] non ha indicato i criteri di scelta degli esuberi e le modalità di applicazione di essi.

 Il Tribunale, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore ex lege n.223\91 e dichiarava risolto il rapporto lavorativo condannando la società a risarcire il danno cagionato al dipendente dal licenziamento, nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Più specificamente il giudice della fase sommaria, ritenne inammissibile la censura del dipendente relativa alla dedotta insussistenza della ragione oggettiva del recesso ed infondata quella avente ad oggetto la violazione del principio di buona fede e dei criteri legali di scelta (formulata in ricorso sotto il profilo della fungibilità della posizione lavorativa dell’attore con quella di altri dipendenti rimasti in servizio, con cui, secondo la prospettazione del lavoratore, egli non sarebbe stato comparato e che avrebbero avuto minore anzianità e minori carichi di famiglia).

La Corte d’appello annullava il licenziamento e condannava la società  a reintegrare D. F. nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con accessori di legge, oltre al pagamento delle spese del doppio grado.
La Suprema Corte ha precisato che in tali ipotesi il lavoratore licenziato deve essere reintegrato nel posto di lavoro, con diritto al pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore alle 12 mensilità.