La validità del verbale di conciliazione in sede sindacale

La Suprema Corte con la sentenza n. 16154 del 9 giugno 2021 si è pronunciata sulla validità della conciliazione in sede sindacale, in una fattispecie in cui il lavoratore aveva impugnato l’accordo transattivo, deducendo di averlo sottoscritto alla presenza di un rappresentante sindacale a lui sconosciuto e senza aver ricevuto da quest’ultimo alcuna informazione sul contenuto dell’accordo.

La Suprema Corte ha rigettato il gravame del lavoratore, confermando la decisione della Corte di merito.

La Suprema Corte ha preliminarmente ricordato che le rinunce e le transazioni in sede sindacale, aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, non sono impugnabili laddove l’assistenza del rappresentante sindacale sia stata effettiva, così da rendere edotto il lavoratore sulla portata delle rinunce formulate nell’accordo transattivo, in quanto l’assistenza dell’esponente sindacale è idonea a sottrarre il lavoratore da una condizione di inferiorità che potrebbe indurlo, altrimenti, ad accettare accordi svantaggiosi.

La Suprema Corte ha quindi evidenziato che, nella fattispecie in esame, la compresenza del rappresentante sindacale e del lavoratore “al momento della conciliazione lascia presumere l’adeguata assistenza del primo, chiamato a detto fine a prestare opera di conciliatore (per il conferimento del mandato implicito del lavoratore necessariamente sottostante all’attività svolta dal primo), in assenza di alcuna tempestiva deduzione né prova (dal dipendente di ciò onerato) che il rappresentante sindacale, pur presente, non abbia prestato assistenza di sorta”.

Alla luce di quanto affermato dalla Suprema Corte, si evince, quindi, che la contestuale presenza del rappresentante sindacale e del lavoratore al momento della sottoscrizione dell’accordo costituisce, di per sé, una “presunzione” che quest’ultimo sia stato adeguatamente assistito.

Inoltre, la sentenza in esame ha evidenziato che il lavoratore avrebbe dovuto formulare una “tempestiva deduzione” nel caso di eventuali irregolarità da lui riscontrate (atteso che, peraltro, l’unica riserva formulata dal lavoratore nell’accordo transattivo riguardava la verifica di errori contabili sulla quantificazione delle competenze di fine rapporto e sul TFR).

In ogni caso, la Suprema Corte ha chiarito che spetta, comunque, al lavoratore dimostrare che la conclusione dell’accordo transattivo non sia consapevolmente avvenuta.

Inoltre, la Suprema Corte ha ritenuto infondate le ulteriori censure sulla validità dell’accordo transattivo svolte dal lavoratore, secondo cui la mancanza, al momento della sottoscrizione dell’accordo, della determinazione del TFR (calcolato e pagato successivamente alla sottoscrizione dell’accordo) non poteva integrare il requisito della reciprocità delle concessioni.