Obbligo di repêchage, tutele maggiori per i disabili
La Corte di Giustizia UE con la sentenza 485/20 del 0 febbraio 2022 ha chiarito che il lavoratore divenuto disabile e che si sia dichiarato inidoneo a esercitare le mansioni assegnate, ha il diritto a essere inserito in un altro posto per il quale ha le competenze, le capacità e le disponibilità richieste. Il datore di lavoro, infatti, in tali casi non può sottrarsi al cd. “obbligo di repechage”, a patto che la ricerca del nuovo posto non imponga al datore di lavoro un onere sproporzionato.
Il caso riguarda una società delle Ferrovie belghe e un suo lavoratore, divenuto “disabile” in seguito alla diagnosi di una patologia cardiaca che richiedeva l’impianto di un pacemaker, apparecchio sensibile ai campi elettromagnetici emessi, in particolare, dalle linee ferroviarie. Il lavoratore, per questa patologia, veniva dichiarato inidoneo a esercitare le funzioni per le quali era stato assunto, quindi riassegnato come magazziniere nella stessa impresa.
Successivamente veniva licenziato. Il lavoratore si è rivolto ai giudici del Belgio per l’annullamento del licenziamento. I giudici si sono rivolti alla Corte UE per chiarimenti sull’interpretazione della Direttiva n. 2000/78 a favore della parità di trattamento in materia di occupazione e lavoro e, più precisamente, alla nozione di “soluzioni ragionevoli per i lavoratori disabili”.
La Corte di Giustizia ha precisato che la predetta nozione implica che un lavoratore dichiarato inidoneo a esercitare le sue mansioni debba essere destinato a un altro posto per il quale dispone delle competenze, delle capacità e delle disponibilità richieste.
Questo vuol dire che un datore di lavoro deve adottare le misure capaci di consentire ai disabili di accedere a un’attività e di svolgerla.
Ma quali sono queste mansioni considerate “idonee”? Ebbene, si tratta di: tutti gli accomodamenti ragionevoli destinati a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento, oppure assegnando un diverso posto di lavoro, ammesso che sia vacante in azienda.
La sentenza ricorda, altresì, che la direttiva 2000/78 non può obbligare il datore di lavoro ad adottare provvedimenti che impongano un “onere sproporzionato”: per valutare se sussiste tale sproporzione, è necessario tener conto dei costi finanziari che le misure comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni.
La Corte di giustizia precisa, infine, che i principi di parità di trattamento e non discriminazione fissati dalla direttiva 2000/78 valgono per l’accesso a tutti i tipi di lavoro – sia dipendente che autonomo – così come devono orientare le regole di accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale.