Fringe benefits: nuovi limiti di non imponibilità nel 2024
Come noto, il Consiglio dei Ministri, riunitosi il 15 ottobre 2024, ha approvato un decreto legge economico-fiscale e il Disegno di Legge di Bilancio 2025, obiettivo la definizione dell’azione di Governo per la politica economica nel corso del prossimo anno.
Ad opera dell’art. 6 del DDL di Bilancio, nel prossimo anno cambiano dal punto di vista quantitativo e qualitativo le soglie di esenzione per i fringe benefits riconosciuti ai dipendenti.
Così viene introdotto un doppio limite di non imponibilità fiscale e previdenziale.
Limite di esenzione annuo nel 2024
Nel 2023 la soglia di esenzione è fissata a 3000 euro annui per i lavoratori con figli a carico, al lordo possibili rimborsi in denaro relativi alle utenze domestiche intestate al dipendente.
Nel 2024, viene stabilito un tetto diversificato per i fringe benefits a seconda della categoria di dipendenti di appartenenza:
• 2.000 euro per i lavoratori con figli fiscalmente a carico che comprende il valore dei beni e servizi ceduti o prestati, incluse le somme anticipate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche di acqua, luce e gas, nonché le spese per l’affitto gli interessi sul mutuo per la prima casa;
• 1.000 euro per i lavoratori senza figli fiscalmente a carico che comprende il valore dei beni e servizi ceduti o prestati, incluse le somme anticipate o rimborsate per il pagamento delle utenze domestiche di acqua, luce e gas, nonché le spese per l’affitto gli interessi sul mutuo per la prima casa.
Come si è avuto modo di analizzare i lavoratori potranno fruire dal 2024 di un aiuto al reddito per far fronte al caro mutui o al caro affitti.
Infatti, rientrano per la prima volta in assoluto, tra le somme erogate o rimborsate in esenzione, gli interessi sui mutui e le spese per l’affitto.
Va ricordato altresì che per il legislatore fiscale sono a carico i figli con un reddito annuo non superiore a 2.840,51 euro al lordo degli oneri deducibili (tetto elevato a 4.000 euro per i figli fino a 24 anni) ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986.
Criticità di rilievo
Il beneficio previsto dal DDL di bilancio può tradursi in uno svantaggio per il dipendente, visto che occorre considerare, per il calcolo degli interessi, il tasso ufficiale di sconto di fine anno.
Qualora quest’ultimo aumentasse, si verificherebbe un differenziale imponibile per le rate precedenti all’aumento, che non è prevedibile a priori da parte del datore di lavoro.
Ne deriva che la circostanza che il contributo datoriale debba essere accreditato sul conto corrente di addebito del prestito nella stessa data in cui la rata viene addebitata comporta una serie di incombenze gravose a carico del datore di lavoro specie se si tratta di mutuo tasso variabile, dal momento che, prima dello scadere di ogni rata, il datore deve aggiornare l’importo del contributo ed effettuare il calcolo dell’eventuale quota imponibile da indicare in cedolino prendendo a riferimento il tasso ufficiale di sconto di fine anno.
In attesa della pubblicazione definitiva della legge di Bilancio 2025 e della rendicontazione ad opera dello Studio Cafasso delle altre disposizioni previste dalla Legge stessa, sarebbe opportuno, in sede di stesura definitiva della legge di bilancio 2024, consentire il rimborso degli interessi pagati dal dipendente sulla scorta della certificazione rilasciata a fine anno dalla banca o, in caso di erogazione diretta del mutuo, prevedere l’utilizzo, in sede di calcolo del valore imponibile, del tasso di sconto vigente alla data dell’accensione del prestito.