Falsa attestazione di presenza in servizio: sì al licenziamento

La Corte di Cassazione con sentenza 32611  del 4 novembre 2023 ha chiarito che in caso di false timbrature effettuate per il tramite di colleghi e in favore di questi è confermato il licenziamento disciplinare del pubblico dipendente.

E’ stato definitivamente confermato, dalla Cassazione, il licenziamento disciplinare irrogato ad una pubblica dipendente per falsa attestazione della presenza in servizio.

Nel rigettare il reclamo promosso dalla lavoratrice, la Corte d’appello aveva tenuto in considerazione quanto emerso dall’ordinanza emessa dal GIP che, nell’indagine penale parallelamente avviata, aveva disposto misura cautelare nei confronti della donna, e ciò con riferimento alle video riprese, ai pedinamenti da parte della polizia giudiziaria ed ai dati relativi ai badge di cui in essa si dava atto.

Erano emersi, nel dettaglio, vari eventi di timbratura in entrata ed in uscita da parte di altri colleghi, che utilizzavano il badge che la ricorrente lasciava sull’apparecchio rilevatore, entrando ed uscendo in orari diversi da quelli fatti risultare.

Le giustificazioni rese dalla ricorrente per una delle varie giornate cui si riferiva la contestazione erano irrilevanti e non scalfivano la grave illiceità del comportamento tenuto, tanto più considerando anche altri episodi in cui era stata la stessa a prestarsi per attestare falsamente con il badge altrui l’entrata o l’uscita di un collega.

L’intenzionalità certa e la gravità della condotta, tale da integrare fattispecie penalmente rilevante, erano ragioni idonee a giustificare la congruità della sanzione espulsiva lei comminata.

La dipendente si era rivolta alla Suprema corte, lamentando che la Corte di gravame avesse tenuto conto delle sole valutazioni di cui all’ordinanza del GIP e non delle difese dalla stessa svolte.

Secondo la ricorrente, il giudice d’appello aveva fondato il proprio convincimento esclusivamente sulle risultanze di un atto formatosi in un “ultroneo giudizio penale”, senza considerare che soltanto il giudicato penale, a certe condizioni, può avere efficacia nei giudizi disciplinari o comunque nei giudizi civili e non certamente un’ordinanza del GIP.

Per gli Ermellini, diversamente da quanto asserito dalla ricorrente, la Corte territoriale non aveva valorizzato l’ordinanza cautelare del GIP nei suoi effetti propri di provvedimento giudiziale, ma solo come documento ricognitivo di determinate risultanze (video riprese; servizi di pedinamento; dati rilevati dai badge) su cui poi si era sviluppato il ragionamento istruttorio in sede civile.

Non vi era stata, ciò posto, nessuna violazione delle norme che regolano l’efficacia nei giudizi disciplinari o civili del giudicato penale.