Durante il permesso 104 prevale l’attività di assistenza? No al licenziamento
La Corte di Cassazione con ordinanza 8306 del 23 marzo 2023 ha specificato che il licenziamento intimato per abusivo utilizzo dei permessi ex Legge n.104/92 è sicuramente legittimo nei casi in cui il lavoratore, durante la fruizione del beneficio, si sia dedicato ad attività del tutto incompatibili con l’assistenza all’invalido.
L’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso, infatti, deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile.
Laddove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e, dunque, si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto o, ancora, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo.
Per contro, il licenziamento intimato è stato considerato illegittimo, dalla giurisprudenza, in ipotesi in cui sia ad esempio emerso che il lavoratore abbia utilizzato tali permessi per attendere a finalità assistenziali in favore della invalida presso la propria abitazione ovvero laddove, durante il periodo di permesso, abbia comunque svolto attività volte in via preminente a soddisfare le esigenze ed i bisogni degli assistiti.
In tale contesto, è stata esclusa la finalizzazione a scopi personali delle ore di permesso utilizzate dal lavoratore per attività – come il fare la spesa, l’usare lo sportello di bancomat o altre attività – ricollegate a specifici interessi ed utilità dei congiunti assistiti.
In ogni caso, la valutazione circa il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del congedo è di spettanza del giudice del merito.
Nel ritenere illegittimo il recesso, la Corte d’appello aveva evidenziato come il concetto di assistenza non vada inteso come vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona disabile, atteso che la cura di un congiunto affetto da menomazioni psico-fisiche, non in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, non implicanti la vicinanza allo stesso.
Conclusioni, queste, ritenute ineccepibili dalla Sezione lavoro della Cassazione.
I giudici di gravame, all’esito di un capillare riesame delle risultanze processuali, erano giunti ad affermare l’infondatezza degli addebiti mossi alla lavoratrice in quanto, sui tre giorni cui si riferivano i permessi di cui aveva usufruito, parametrati all’orario di lavoro effettivamente svolto, la stessa non era risultata, di fatto, impegnata in attività diverse dall’assistenza alla madre disabile.
Occorreva considerarsi, infatti, che la donna curava gli interessi della assistita anche quando era all’esterno dell’abitazione, facendo la spesa, sbrigando pratiche, rifornendo di carburante l’autovettura, acquistando capi di vestiario per la stessa, attività, queste, che difficilmente potevano essere delegate a terzi, anche dietro pagamento di un compenso.