Infedele dichiarazione: è reato l’omessa compilazione delle voci

La Corte di Cassazione con sentenza 18532 del 4 maggio 2023 ha chiarito che la  mancata compilazione delle singole voci relative al valore del reddito imponibile e dell’Iva è, di fatto, assimilabile a una dichiarazione negativa.

Difatti, l’omessa indicazione delle voci della dichiarazione riguardanti elementi essenziali ai fini della determinazione complessiva del reddito e dei conseguenti importi dovuti a titolo di imposte contribuisce a delineare la infedeltà della dichiarazione fiscale, non potendo certamente essere considerata come una condotta neutra.

La Corte ha respinto i rilievi sollevati dal titolare di una ditta individuale, dichiarato responsabile per il reato di dichiarazione infedele.

Al ricorrente, in particolare, era stato contestato di aver indicato, nella dichiarazione relativa all’Iva per l’anno d’imposta 2012, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo.

Mentre, in primo grado, lo stesso era stato assolto perché il fatto non sussiste, in sede di appello era stato ritenuto colpevole e condannato a due anni di reclusione, con applicazione delle pene accessorie e della confisca dei beni immobili e mobili di sua disponibilità.

L’imputato si era quindi rivolto alla Suprema corte, davanti alla quale, tuttavia, le conclusioni circa l’affermazione della sua penale responsabilità non sono mutate.

Gli Ermellini, infatti, hanno ritenuto che l’impostazione seguita nella sentenza di appello fosse, sul punto, immune da censure.

Nella vicenda di specie, inoltre, andava considerato che l’imputato non aveva fornito una diversa ricostruzione dei fatti.

Legittimamente, quindi, i giudici di secondo grado avevano ritenuto che fosse stata superata anche la seconda soglia di punibilità.

Era ossia corretta, nella valutazione relativa all’entità degli elementi attivi dichiarati, la valorizzazione anche degli spazi vuoti della dichiarazione, spazi volutamente non compilati dal dichiarante al fine di non corrispondere l’Iva.

Tale intenzione – ha concluso la Corte – rivelava anche l’esistenza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice: l’omessa compilazione degli spazi essenziali della dichiarazione era stata funzionale proprio al perseguimento dell’evasione d’imposta, non essendo stata in alcuna modo dedotta, peraltro, la tesi di un’eventuale natura colposa dell’omissione.