Lavoratori distaccati in smart working: le regole per la residenza fiscale

L’Agenzia delle Entrate con risposta 458 del 7 luglio 2021 ha fornito chiarimenti sul trattamento fiscale da applicare alle retribuzioni per lavoro dipendente erogate a residenti e non residenti che, a causa dell’emergenza Covid, svolgono l’attività lavorativa in Italia, in smart working, invece che nel Paese estero dove erano stati distaccati.

Il caso riguarda dipendenti assunti in Italia e distaccati presso le consociate in Cina. Allo scoppio della pandemia sono rientrati nel nostro Paese lavorando in smart working. Alcuni sono ritornati in Cina poco dopo mentre altri hanno superato i 183 giorni di permanenza in Italia.

Si chiedono chiarimenti sugli obblighi in capo al sostituto d’imposta nei confronti di quei dipendenti che, pur essendo in Italia, hanno continuato la loro attività ad esclusivo beneficio della distaccataria cinese tramite smart working.

In materia, viene fatto presente che il Segretariato Ocse, con nota del 3 aprile 2020, ha analizzato l’impatto che le misure sanitarie restrittive adottate dai Paesi a seguito della pandemia hanno sui Trattati internazionali. Ma tali indicazioni non hanno rilevanza al fine di interpretare la normativa interna italiana.

Ciò posto, ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 15 del modello di Convenzione OCSE, l’attività di lavoro dipendente è esercitata nel luogo ove il dipendente è fisicamente presente mentre svolge il lavoro a fronte del quale gli è corrisposto il reddito.

Accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell’articolo 15 (lavoro subordinato) delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sono stati sottoscritti con Austria, Francia e Svizzera, per neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione delle persone, dovute all’emergenza Covid-19, nei confronti dei lavoratori dipendenti residenti in uno Stato contraente i suddetti Trattati.

Tali accordi non possano esplicare effetti anche nei confronti di altri Stati con i quali l’Italia ha stipulato Convenzioni per evitare le doppie imposizioni

 Quindi, per individuare il peso del reddito di lavoro prodotto dai lavoratori nella situazione indicata, va visto il nostro ordinamento interno e l’Accordo tra Italia e Cina per evitare le doppie imposizioni.

Pertanto in base al combinato disposto dell’articolo 15 della Convenzione e dell’articolo 23 del Tuir, il reddito di lavoro dipendente percepito dai dipendenti della Società e residenti in Cina, per l’attività di lavoro svolta in Italia, rileva fiscalmente anche nel nostro Paese.

Dunque, le remunerazioni sono imponibili in tutti e due i paesi.

Il fatto della doppia imposizione sarà trattato attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte della Cina, Stato di residenza dei lavoratori dipendenti.

Per quanto riguarda poi l’individuazione della residenza fiscale, il riferimento va fatto ai criteri indicati nell’articolo 2 del Tuir, che non considera i problemi legati alle misure prese per affrontare la pandemia: si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Oltre a ciò vanno tenute in conto le disposizioni convenzionali. In particolare, rileva l’articolo 4 del Trattato con la Cina il quale prevede che siano seguite, per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti, le regole che fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità.

Il conflitto di residenza sarà risolto usando il criterio del “soggiorno abituale” per il quale occorre tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine regolare della vita di un individuo.