Demansionamento e cessione di azienda
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 13787 del 20 maggio 2021, ha affermato che se un dipendente viene demansionato, e poi a seguito di cessione di azienda, passa alla dipendenze del secondo datore di lavoro continuando a svolgere le mansioni inferiori, l’azienda cedente non può essere ritenuta responsabile per il demansionamento che si protrae dopo la cessione, a causa della mancanza di solidarietà col cessionario.
Il caso di specie trae origine dalla domanda di accertamento di demansionamento proposta da un dipendente ceduto insieme ad un ramo di azienda il quale, da marzo 2004, era così diventato dipendente della società cessionaria.
Il giudice di primo grado aveva accolto la domanda del dipendente e condannato la cedente e la cessionaria in solido alla corresponsione del risarcimento del danno. Tale decisione veniva poi confermata anche in sede d’appello e impugnata in cassazione dalla società cedente.
Secondo la società cedente – essendo stato accertato che il demansionamento si era protratto dal mese di aprile 2002 fino ad ottobre 2010 e da marzo 2004 il dipendente era alle dipendenze esclusive della società cessionaria – era erronea la condanna solidale per l’intero periodo, gravando la responsabilità del demansionamento sul soggetto utilizzatore delle prestazioni, il quale aveva il potere di assegnare le mansioni.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso della società, ha stabilito che, in caso di invalidità del trasferimento di azienda accertata giudizialmente, il rapporto di lavoro permane con il cedente e se ne instaura, in via di fatto, uno nuovo e diverso con il soggetto già, e non più, cessionario, alle cui dipendenze il lavoratore abbia materialmente continuato a lavorare.