Prevenzione infortuni in società di capitali

La Corte di cassazione con la sentenza 21522 del 1 giugno 2021  ha chiarito che nelle società di capitali,  anche se, in linea teorica, tutti i componenti del consiglio amministratore rivestono la qualifica di datore di lavoro, nondimeno, in concreto, nelle realtà più articolate ed in aziende di rilevanti dimensioni, l’individuazione della figura del datore di lavoro può non coincidere con la mera assunzione formale della carica di consigliere, laddove all’interno dell’organo deliberativo siano individuati soggetti cui vengono specificamente assegnati gli obblighi prevenzionistici.

Nelle società di capitali, infatti, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia.

Gli Ermellini hanno ricordato che la tematica è stata dettagliatamente approfondita ed è stato sottolineato che l’assunzione della veste di garante può derivare dalla formale investitura, dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche della figura o dal trasferimento di poteri e funzioni da parte del soggetto che ne è titolare.

Ciò che identifica il datore di lavoro, quindi, è la titolarità del potere decisionale sull’impresa e del potere di spesa, cui corrisponde l’obbligo prevenzionistico derivante dallo stesso esercizio dell’impresa.

Responsabilità amministrativa dell’ente, presupposti applicabilità

Sul punto, è stato ricordato quanto già espresso dalla stessa Corte di legittimità, secondo cui i concetti di interesse e vantaggio sono “giuridicamente diversi” e possono essere alternativamente presenti, sì da giustificare comunque la responsabilità dell’ente, come reso palese dall’uso della congiunzione “o” da parte del legislatore, e come è desumibile, da un punto di vista sistematico, dall’art. 12, comma 1, lett. a), dello stesso decreto legislativo, laddove si prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l’autore ha commesso il reato “nell’interesse proprio o di terzi” e “l’ente non ne ha ricavato un vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo”.

Da ciò consegue, astrattamente, che il reato può essere commesso nell’interesse dell’ente, senza procurargli in concreto alcun vantaggio.