Firme falsificate: licenziamento per giusta causa
La Suprema corte con l’ordinanza 26710 del 1 ottobre 2021 ha statuito la legittimità del licenziamento di un dipendente per aver falsificato firme concernenti operazioni finanziarie.
Nella vicenda al vaglio della Corte un lavoratore, specialista finanziario, veniva licenziato senza preavviso, per violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri d’ufficio idonei ad arrecare forte pregiudizio alla società o a terzi, di gravità tale da non consentirne la prosecuzione.
In sede di merito, all’esito di un’ampia ricognizione del quadro probatorio, era emersa l’evidenza del compimento, da parte del dipendente, di gravi irregolarità, rilevate dal servizio ispettivo nel contesto dell’attività di vigilanza. Esse erano consistite nell’apposizione, da parte del ricorrente, di firme contraffatte di due clienti, nel corso di una serie di operazioni concernenti la revoca della richiesta di finanziamento del quinto dello stipendio e la sottoscrizione di quote.
Tale condotta di falsificazione – avevano rilevato i giudici di gravame – trasgrediva i doveri di correttezza inerenti all’obbligazione lavorativa, tradendo un atteggiamento spregiudicato, posto in essere in deliberata violazione delle regole che governano e strutturano il rapporto di lavoro subordinato, in consapevole rottura del rapporto di fiducia intercorrente con la parte datoriale e con la clientela.
Conclusioni, queste, ritenute corrette dagli Ermellini, secondo i quali la Corte territoriale si era attenuta ai principi giurisprudenziali affermati in materia di valutazione della legittimità del licenziamento disciplinare, procedendo a una ricognizione approfondita delle acquisizioni probatorie.
Il comportamento del lavoratore, in particolare, era stato legittimamente qualificato in termini di gravità, avendo arrecato un evidente vulnus ai principi di correttezza e buona fede posti a presidio della nascita e dell’adempimento delle obbligazioni che scandiscono il rapporto di lavoro.
La Corte distrettuale aveva operato una corretta sussunzione dei fatti descritti nell’ambito della categoria dell’inadempimento grave, rubricato all’art. 2119 c.c. per la violazione del complesso di regole in cui si sostanzia “la civiltà del lavoro in un determinato contesto storico-sociale”, ossia degli standards normativi che, rispetto a detti principi, si trovano in rapporto essenziale e integrativo.