Riconoscimento della prestazione aggiuntiva nel pubblico impiego

La Cassazione con ordinanza 31738 del 4 novembre 2021 ha affermato che, nell’ambito del pubblico impiego, il parametro di riferimento per la configurabilità in astratto di una “prestazione aggiuntiva” – che dà diritto al riconoscimento di una maggiorazione retributiva – non può che essere il sistema di classificazione dettato dalla contrattazione collettiva.

Il lavoratore, dipendente comunale, ricorreva giudizialmente al fine di chiedere la condanna di parte datoriale al pagamento delle differenze retributive – da quantificare in via equitativa – in virtù delle mansioni aggiuntive in concreto svolte.
La Corte d’Appello accoglieva la predetta domanda, condannando il Comune al pagamento di un compenso aggiuntivo pari ad un’ora di lavoro straordinario per ogni giorno di servizio prestato.

La Cassazione – nel ribaltare la statuizione della Corte d’Appello – rileva, preliminarmente, che il datore di lavoro pubblico, quanto alla individuazione delle mansioni esigibili da parte del dipendente, ha solo la possibilità e non l’obbligo di adattare i profili professionali, indicati a titolo esemplificativo nel contratto collettivo, alle sue esigenze organizzative.

Secondo i Giudici di legittimità, ne consegue che la prestazione del lavoratore pubblico può essere considerata aggiuntiva rispetto a quelle che il datore può legittimamente esigere, solo a condizione che la stessa esuli dal profilo professionale delineato in via generale dalle parti collettive.

Per la sentenza, diversamente, non si integra la fattispecie della mansione ulteriore, posto che – a fronte di un inquadramento che comporti una pluralità di compiti – la PA datrice, nell’ambito del normale orario, può esercitare il suo potere di determinare l’oggetto del contratto dando prevalenza all’una o all’altra attività riconducibile alla qualifica di assunzione.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dal Comune, ritenendo non dovuta alcuna maggiorazione retributiva.