Recesso datore da contratto aziendale? No a emolumenti retributivi aggiuntivi

La Corte di Cassazione con sentenza 14961 del 11 maggio ha definitivamente confermato la decisione con cui i giudici di appello avevano accolto le opposizioni proposte da una Spa avverso i decreti ingiuntivi ottenuti da diversi lavoratori per il pagamento di emolumenti retributivi aggiuntivi, previsti da un accordo collettivo aziendale dal quale la società datrice aveva dichiarato di voler recedere ad inizio dell’anno di riferimento.

Secondo la Corte di gravame, diversamente dall’ipotesi dei contratti collettivi, in cui parti contraenti sono le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro, nei contratti aziendali sono parti le organizzazioni sindacali e il singolo datore di lavoro, con la conseguenza che quest’ultimo può recedere unilateralmente dallo stesso contratto.

Il recesso unilaterale, in particolare, è causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, come nel caso in esame, in cui il contratto aziendale aveva un termine di durata ma era stato applicato spontaneamente dalle parti contraenti dopo lo spirare del termine, sicché, non sussistendo la rinnovazione tacita, era da considerare a tempo indeterminato.

I lavoratori si erano rivolti alla Suprema corte, lamentando violazione e falsa applicazione di legge in ordine agli effetti del recesso datoriale sulle clausole del rapporto individuale nonché ai principi generali

Gli Ermellini hanno precisato che “in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione”.