Start-up innovative: preclusa la distribuzione di utili anche in caso di contratti di associazione in partecipazione

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta a interpello n. 334 del 21 giugno 2022 riguardante la start-up innovativa e il contratto di associazione in partecipazione.

Il decreto legge n. 179 del 2012 ha introdotto un quadro organico di disposizioni, riguardanti la nascita e lo sviluppo di imprese start-up innovative.

La disciplina in questione è stata oggetto di diversi interventi normativi di modifica, tra cui il decreto legge 14 dicembre 2018, n. 135 e la legge 30 dicembre 2018, n. 145.

Ai fini d’interesse, l’articolo 25 del citato decreto legge n. 179 del 2012, rubricato “Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità”, al comma 2 stabilisce i requisiti necessari per assumere la qualifica di start-up innovativa, tra i quali, alla lettera e), è previsto che la start-up “non distribuisce, e non ha distribuito, utili”.

Il quesito riguarda la sussistenza di tale requisito in caso di stipula da parte della start-up, in qualità di associante, di un contratto di associazione in partecipazione con determinati investitori, ai fini della realizzazione di uno specifico progetto.

Ai sensi dell’articolo 2549 del codice civile, con il contratto di associazione in partecipazione, l’associante attribuisce ad un altro soggetto, l’associato, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto. La determinazione della natura e dell’oggetto dell’apporto è rimessa alla volontà delle parti e può consistere in una somma di denaro, nella cessione di beni mobili o immobili o nella prestazione di un’opera o di un servizio (con la limitazione che, nel caso in cui l’associato sia una persona fisica, l’apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro).

Con l’apporto reso, l’associato ordinariamente partecipa al rischio dell’attività di impresa o dell’affare posto in essere dall’associante; l’articolo 2553 del codice civile stabilisce infatti che l’associato partecipa agli utili ed alle perdite, con il limite che le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto.

Il contratto di associazione in partecipazione assume per l’associante una funzione prettamente “finanziaria”, di reperimento dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività o per il compimento dell’affare, evitando il ricorso all’ordinario mercato finanziario, mentre per l’associato assume una funzione “associativa”, tesa a soddisfare l’interesse a partecipare ai vantaggi conseguenti al raggiungimento degli scopi prefissati attraverso l’attività o gli affari svolti, con i rischi di impresa che ne conseguono.

A seconda della preminente rilevanza che si attribuisce alle summenzionate funzioni, la causa giuridica del negozio in oggetto può essere ricondotta rispettivamente nell’ambito dei contratti sinallagmatici a carattere aleatorio ovvero nell’ambito dei contratti associativi.

Ciò posto, ai fini d’interesse si rileva che, al di là dell’inquadramento giuridico della figura negoziale in esame, assume valenza dirimente la circostanza che il legislatore fiscale abbia equiparato il trattamento fiscale della remunerazione corrisposta in relazione ai contratti di associazione in partecipazione (allorché, come nel caso in esame, sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi) a quello della remunerazione dovuta in relazione a titoli e strumenti finanziari comunque denominati, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società.

Ai sensi dell’articolo 109, comma 9, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), entrambi i tipi di remunerazione risultano indeducibili per il soggetto emittente/associante e, in base all’articolo 44, comma 1, rispettivamente lettere e) ed f), del TUIR, sia gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società, sia gli utili derivanti da associazioni in partecipazione sono per il percettore da considerarsi redditi di capitale (eccetto il caso in cui l’apporto dell’associato sia costituito da solo lavoro).

Il trattamento fiscale è dunque, sia per l’associato che per l’associante, equivalente a quello di una partecipazione ad una società di capitali: la distribuzione dell’utile non è deducibile in capo all’associante, mentre il regime di imposizione fiscale, in capo all’associato varia a seconda che si tratti di un soggetto IRES, di un soggetto IRPEF imprenditore o di un soggetto IRPEF privato, secondo le rispettive regole previste per le diverse categorie di percettori.

Tenuto conto del relativo regime di tassazione, ove la start-up innovativa procedesse a corrispondere utili all’associato in partecipazione perderebbe i requisiti previsti dall’articolo 25, comma 2, del decreto legge n. 179 del 2012, che alla lettera e) dispone che la start-up non distribuisce, e non ha distribuito, utili.

Tale conclusione è peraltro avvalorata dall’essere il divieto di distribuzione di utili finalizzato a favorire l’investimento degli stessi per la crescita della start-up innovativa; ove si procedesse a remunerare l’associato in partecipazione con tali utili verrebbe meno il comportamento virtuoso che la norma agevolativa intende premiare con le corrispondenti agevolazioni fiscali.

Pertanto la normativa relativa alle start-up innovative preclude la distribuzione di utili anche nell’ipotesi di ricorso a contratti di associazione in partecipazione.