Contributi a carico del lavoratore recuperati dall’INPS: il trattamento fiscale

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta a interpello n. 412 del 4 agosto 2022, in tema di contributi a carico del lavoratore in assenza di rivalsa eccedenti il massimale ai sensi dell’art. 2 c. 18 L. 335/1995, oggetto di recupero a mezzo diffide notificate dall’INPS per annualità precedenti e deducibilità dal reddito imponibile IRES e dal valore produzione netta imponibile IRAP.

Le somme che si qualificano come contributi previdenziali e i costi per le assicurazioni obbligatorie per il personale dipendente rappresentano, per la Società, un costo per il personale, il cui trattamento fiscale è in parte regolato dall’articolo 95 del TUIR, rubricato “Spese per prestazioni di lavoro” che stabilisce che le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori.

Non sono, invece, deducibili, per costante orientamento di prassi, le somme versate per sanzioni ed interessi moratori comminati per violazioni inerenti i contributi versati; tale posizione si pone in linea di continuità col costante orientamento amministrativo, supportato dalla giurisprudenza, secondo cui in tema di determinazione del reddito d’impresa, in relazione alle sanzioni derivanti dal compimento di attività illecite, essendo le stesse la conseguenza del comportamento illecito dell’imprenditore, non è possibile considerarle quali costi inerenti ai ricavi conseguiti. Non è configurabile, infatti, neppure in via indiretta, alcun rapporto funzionale tra il costo stesso e i ricavi realizzati.

Riguardo alla natura dei costi per contributi previdenziali a carico del lavoratore che vengono traslati sull’imprenditore in caso di ritardato o omesso pagamento, ai sensi del citato 23, comma 1, della legge n. 218 del 1952 la Corte di Cassazione ha avuto più volte modo di sottolineare come tali oneri integrino una ipotesi di “sanzione civile” intesa come reazione dell’ordinamento a un comportamento antigiuridico del datore di lavoro.

Nella previsione contenuta nel comma 1 di questo articolo, che trasferisce l’obbligo di pagare una parte dei contributi da uno ad altro soggetto, dev’essere ravvisata una pena privata, giustificata dall’intento del legislatore di rafforzare il vincolo obbligatorio attraverso la comminatoria, per il caso di inadempimento, di un pagamento di importo superiore all’ammontare del mero risarcimento del danno.

Coerentemente al suddetto indirizzo interpretativo, in considerazione della natura latu sensu sanzionatoria che le somme in argomento rivestono, si ritiene che la quota parte di contributo “a carico dei dipendenti” che non può costituire oggetto di rivalsa ai sensi del richiamato articolo 23, comma 1 della legge n. 218 del 1952, rappresenti un onere indeducibile dal reddito di impresa.

Per le medesime ragioni i suddetti oneri risultano parimenti indeducibili anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).

Ai fini IRAP, un costo che non attenga all’attività d’impresa non può essere dedotto per il semplice fatto di essere stato imputato al conto economico.

In buona sostanza, ai fini della determinazione del reddito imponibile, gli elementi reddituali e patrimoniali iscritti sulla base dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai rispettivi principi contabili internazionali, assumono rilevanza anche ai fini fiscali. Pertanto, nel presupposto che la Società abbia correttamente rappresentato in bilancio tali oneri deve ritenersi che tale rappresentazione contabile assuma rilevanza anche in ambito fiscale, sulla base del principio di derivazione previsto nel citato articolo 83 del TUIR.

Considerato che la Società ha accantonato in bilancio, al 31 dicembre dell’anno X, un fondo per tener conto delle diffide notificate in quell’anno e potenzialmente da notificare negli anni futuri in relazione ai contributi dovuti (sia per la parte a carico del lavoratore che per quella del datore di lavoro), si ritiene che la deducibilità dei suddetti contributi, per la sola quota parte riferibile al datore di lavoro sia consentita nel periodo d’imposta in cui è avvenuto il relativo pagamento e, conseguentemente, il relativo fondo è stato utilizzato a copertura delle passività a fronte delle quali era stato stanziato.