Licenziamento per uso di droghe: illegittimo durante il percorso di recupero

La Sezione lavoro della Corte di cassazione con  ordinanza 24453 del 8 agosto 2022 si è pronunciata nell’ambito di un procedimento che vedeva contrapposti datore di lavoro e dipendente, dopo che quest’ultimo era stato raggiunto da licenziamento disciplinare per essere risultato positivo a un test antidroga.

A seguito dell’accertamento sanitario, il lavoratore era stato dichiarato dal medico competente inidoneo permanentemente alla mansione lui assegnata.

Prima, però, della contestazione disciplinare, il dipendente aveva chiesto di fruire di un periodo di aspettativa ai sensi dell’art. 124 dpr309/1990.

Tale disposizione, in particolare, prevede il diritto alla conservazione del posto di lavoro per i dipendenti di cui venga accertato lo stato di tossicodipendenza che intendano accedere a programmi di riabilitazione presso servizi pubblici.

La Corte d’appello aveva annullato il licenziamento e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione dell’uomo nel posto di lavoro nonché a corrispondere un’indennità risarcitoria nella misura di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

I giudici di gravame, in particolare, avevano rilevato che la società era vincolata a seguire la procedura prevista dal provvedimento della Conferenza Stato – Regioni del 18 settembre 2008, in materia di accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o per assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope nei confronti dei lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi.

La positività al test antidroga, in tali casi, dà inizio a una procedura che determina un giudizio di temporanea inidoneità alle mansioni, risultando illegittimo il recesso del datore nelle more delle procedure di verifica.

Parte datoriale si era rivolta alla Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione di legge.

Secondo la ricorrente, la Corte territoriale aveva confuso lo stato di assuntore abituale di droghe con quella di tossicodipendenza, intesa quale patologia: solo dalla seconda condizione sarebbe derivato il diritto alla conservazione del posto previsto dalla norma.

Doglianza, questa, giudicata infondata dalla Suprema corte, la quale, su punto, ha evidenziato che dal testo della norma non risulta alcuna distinzione tra le nozioni di assuntore abituale e quella di tossicodipendente, né criteri per elaborare tale distinzione come prospettato dal datore di lavoro.

Nella decisione impugnata, ciò posto, era stato correttamente rilevato che il test in ordine alla inidoneità permanente alle mansioni va svolto in esito alla procedura e non nel corso della stessa.

Nella vicenda in esame, il dipendente, dopo essere risultato positivo alla marijuana e prima della contestazione disciplinare, aveva chiesto di sottoporsi a programma terapeutico.

Il recesso, in tale contesto, era avvenuto nelle more della procedura, risultando perciò illegittimo per contrarietà agli obblighi di procedura, stabiliti nel citato provvedimento.