Srl con termine lungo: no al recesso ad nutum del socio

La Corte di Cassazione con ordinanza 26060 del 5 settembre 2022 ha specificato che in caso di società a responsabilità limitata con termine di durata lungo fissato nel 2050non  è ammesso il recesso ad nutum del socio in quanto la possibilità per il socio di recedere ad nutum sussiste solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo.

La Corte di cassazione si è pronunciata nell’ambito di una causa che vedeva contrapposti una Srl e un proprio socio, avente ad oggetto la legittimità del recesso esercitato da quest’ultimo.

La Corte d’appello aveva ritenuto che il termine di durata della predetta società, fissato nell’anno 2050, fosse di lunghezza tale da consentire il recesso ad nutum.

Il motivo di ricorso avanzato dalla ricorrente è stato giudicato fondato dalla Suprema corte, alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, espressasi in senso contrario rispetto all’assimilazione delle statuizioni di durata indeterminata e di durata eccessivamente lontana nel tempo.

E’ stato posto in evidenza, nel nuovo indirizzo, sia il dato letterale della norma richiamata – che limita tassativamente la possibilità di recedere ad nutum al solo caso di società a tempo indeterminato – sia la necessità di pervenire ad una valutazione sistematica delle disposizioni, che tenga conto della differente disciplina dettata per le Srl rispetto a quella operante per le società di persone, sia, infine, l’interesse dei creditori sociali al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale.

Tesi, questa, ritenuta condivisibile e meritevole di continuità dalla Prima sezione civile della Cassazione, secondo la quale ancorare “il diritto di recesso ad nutum all’aspettativa di vita residua del socio esporrebbe i creditori alla necessità di effettuare accertamenti per definizione illiquidi e di monitorare costantemente la composizione della compagine sociale”.

L’adesione a un’interpretazione letterale dell’art. 2473 c.c. – ha continuato la Corte – si impone, infatti, in ragione della necessità di tutelare l’interesse dei creditori sotto il profilo patrimoniale, in relazione alla conservazione della garanzia patrimoniale rappresentata dal patrimonio sociale, nonché sotto il profilo organizzativo, “in relazione alla conoscenza delle cause di recesso, in quanto strumentale alla pianificazione dei rapporti con la società sulla base di informazioni accessibili, chiare e incontrovertibili”.