Licenziato prima della fine del comporto? Reintegra anche sotto 15 dipendenti

La Corte di cassazione con la sentenza 27334 del 16 settembre 2022 si è pronunciata nell’ambito della causa instaurata da una lavoratrice al fine di far accertare la nullità o annullabilità del licenziamento intimatole, ai sensi dell’art. 2110, comma 2, cod. civ.

Dall’istruttoria era stato accertato che la prestatrice si era infortunata nell’espletamento della mansione assegnatale, consistente nel posizionare merce sugli scaffali, avendo utilizzato uno sgabello fornito dal datore di lavoro e privo di uno dei piedini antiscivolo, quindi instabile.

Entrambi i giudici di merito avevano ritenuto che la lavoratrice avesse assolto all’onere di dimostrare sia l’esistenza del danno e sia il nesso causale tra la prestazione lavorativa e l’evento dannoso verificatosi. Per contro, il datore non aveva dato prova di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica della dipendente.

Dalla comprovata responsabilità datoriale nella causazione dell’infortunio sul lavoro, era stata tratta la conseguenza della non computabilità, ai fini del comporto, dei periodi di assenza dal lavoro per la malattia derivata dal sinistro, ritenendo non superato il periodo di comporto.

Tuttavia, mentre il Tribunale, in primo grado, aveva integralmente accolto la domanda della deducente, condannando parte datoriale alla reintegrazione della stessa nelle mansioni precedentemente svolte e al risarcimento del danno nella misura di legge, la Corte d’appello non aveva condiviso le conclusioni cui era giunto il giudice di prime cure per quanto riguarda la tutela applicabile al licenziamento intimato prima del superamento del periodo di comporto.

Secondo la Corte territoriale, la lettura resa dal Tribunale contrastava con l’art. 18, comma 8, della legge citata, che esplicitamente esclude l’applicazione dei commi dal quarto al settimo al datore di lavoro privo dei requisiti dimensionali individuati nel medesimo comma.

Da qui il ricorso della dipendente davanti alla Suprema corte.

In questa sede, gli Ermellini hanno concluso per l’irrilevanza, rispetto alla fattispecie in parola, del criterio selettivo basato sul numero dei dipendenti che, se può giustificare livelli diversi di tutela in ipotesi di licenziamento annullabile, non può legittimare una diversificazione delle conseguenze del licenziamento nullo.