Reddito di cittadinanza in salvo anche con interdizione perpetua

La Corte di cassazione con sentenza 38383 del 12 ottobre 2022 ha accolto il ricorso promosso da un uomo, indagato per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, a carico del quale era stato ordinato il sequestro preventivo di somme di denaro.

La misura cautelare era stata disposta in quanto l’indagato, nelle richieste intese a ottenere il cosiddetto reddito di cittadinanza, aveva omesso di comunicare che, con sentenza di condanna definitiva per reati di rapina e sequestro di persona commessi oltre trent’anni prima, era stata lui applicata la pena accessoria della interdizione perpetua dai pubblici uffici, pena che priva il condannato “degli stipendi, delle pensioni e degli assegni che siano a carico dello Stato o di un altro ente pubblico” e ritenuta circostanza ostativa anche all’ottenimento del sussidio.

L’uomo si era rivolto alla Suprema corte per impugnare la decisione di merito: secondo la sua difesa, il Tribunale del riesame, nel riconoscere il reddito di cittadinanza come “prestazione assistenziale finalizzata a soddisfare le proprie esigenze di vita” avrebbe dovuto escluderne l’equiparazione allo stipendio, pensione o assegno, ossia alle prestazioni revocabili in seguito ad applicazione della pena accessoria.

Per i giudici di Piazza Cavour, in particolare, il Tribunale si era discostato dal parere espresso sulla questione, nel giugno 2020, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, su richiesta dell’INPS, parere peraltro invocato dalla difesa a sostegno della legittimità della richiesta e della concessione del beneficio.

Orbene, la Corte ha ritenuto che le argomentazioni espresse nel suddetto parere fossero condivisibili: la natura afflittiva delle pene accessorie impone una interpretazione letterale delle relative norme, nel rispetto del principio di tassatività delle sanzioni penali.

E così, non solo risulterebbe dubbio che il beneficio economico in esame possa dirsi ricompreso nella nozione di “assegni”, considerato che esso viene erogato attraverso la “Carta Rdc”, caratterizzata dalla prevalente finalità di soddisfazione di bisogni primari mediante la copertura delle spese di acquisto.

Senza contare che la legge fa espresso riferimento a casi specifici ostativi all’ammissione al beneficio, legati alla commissione di gravi reati, sopra indicati, e all’epoca della pronuncia della sentenza definitiva, che deve essere intervenuta nei 10 anni precedenti la richiesta.

Secondo la Suprema corte, in definitiva, mancava, nella specie, il fumus del reato in relazione al quale era stato disposto il sequestro preventivo nei confronti del ricorrente.