Furto del portafogli griffato? Sì al licenziamento disciplinare

La  Corte di cassazione con sentenza 33125 del 10 novembre 2022  ha respinto il ricorso promosso da una lavoratrice contro la decisione della Corte d’appello, confermativa del licenziamento disciplinare irrogatole dalla società datrice di lavoro.

La Corte territoriale aveva ritenuto provato l’addebito mosso alla dipendente, relativo alla sottrazione di beni aziendali (un portafoglio di una nota marca), accertata a seguito del controllo della borsa della lavoratrice al momento dell’uscita dal luogo di lavoro.

Attraverso la registrazione di una videocamera e le dichiarazioni rese dai testi, era emerso che la donna si era appropriata del portafoglio prelevandolo dallo scaffale e nascondendolo nella parte anteriore dei pantaloni.

Dal ritrovamento del medesimo portafogli nella borsa della deducente – la quale, nell’immediato, ne aveva confessato l’appropriazione, ritrattando successivamente la dichiarazione – e dalle ulteriori risultanze istruttorie raccolte, era stato desunto che la lavoratrice fosse responsabile del furto, con conseguente legittimità del recesso datoriale alla stessa comminato.

La dipendente si era rivolta alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, violazione ed errata applicazione della legge nella parte in cui la sentenza impugnata le aveva addossato l’onere di dimostrare la responsabilità di soggetti terzi, ben individuati, che, sottratto il portafoglio all’azienda, lo avevano introdotto, secondo la sua difesa, nella borsa della ricorrente.

Doglianza, questa, che secondo la Cassazione non coglieva tuttavia nel segno, atteso che la Corte di secondo grado aveva fondato il proprio convincimento su una serie di elementi di prova, come indicati, che costituivano la ragione del convincimento raggiunto.

Il richiamo operato alla assenza di prova circa l’eventuale presenza di una terza persona che avesse introdotto il portafoglio nella borsa della lavoratrice non aveva, dunque, il significato di imporre una probatio diabolica a quest’ultima. Per contro, rientrava nell’ordinario equilibrio fra onere di prova ed eccezione necessaria a contrastare l’elemento probatorio acquisito.

In definitiva, il predetto motivo, così come tutte le ulteriori censure prospettate, è stato giudicato inammissibile.