Giusta causa: ipotesi del contratto collettivo meramente esemplificative

La Corte di Cassazione con ordinanza 36861 del 15 dicembre 2022 ha statuito che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa. Di conseguenza, la presenza di un’eventuale elencazione non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all’idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

La Corte territoriale, nella specie, aveva ritenuto fondati gli addebiti contestati al lavoratore, consistiti:

nell’avere, reiteratamente e in più occasioni, intrattenuto colloqui telefonici (oggetto di intercettazione) con un ex dipendente, indagato nell’ambito di un procedimento penale, fornendo a costui informazioni commercialmente sensibili al fine di consentirgli di compiere operazioni illecite in danno del datore;

nell’essersi adoperato per accelerare l’evasione delle pratiche segnalate da detto ex dipendente prima della loro naturale scadenza, con l’intento di favorire i clienti che ne avevano avanzato richiesta;

nell’avere ritirato misuratori di energia senza rilevare la presenza di evidenti segni di manomissione sugli stessi e senza darne comunicazione alle strutture preposte secondo le procedure aziendali in vigore.

I giudici di merito, accertati tali fatti, avevano ritenuto giustificato il licenziamento, argomentando che, “al di là dell’effettivo pregiudizio arrecato, rilevano l’intensità dell’elemento soggettivo (chiaramente intenzionale) e la delicatezza delle mansioni svolte (operaio addetto, tra l’altro, all’installazione e disinstallazione dei misuratori di energia elettrica), che richiedono il massimo affidamento da parte del datore di lavoro circa la capacità del prestatore di operare secondo criteri di assoluta trasparenza e rispettando le procedure aziendali destinate proprio ad impedire tentativi di frode in danno dell’azienda”.

L’uomo si era rivolto alla Suprema corte, lamentando violazione e falsa applicazione di legge, atteso che, secondo la sua difesa, la Corte di gravame si era concentrata unicamente sulla ricostruzione, in termini di mera verosimiglianza, dell’elemento soggettivo delle condotte, omettendo “ogni indagine e considerazione circa il pregiudizio reale ed effettivo arrecato all’azienda”.

Lo stesso aveva inoltre dedotto, tra i motivi, che secondo la disciplina collettiva applicabile, la massima sanzione espulsiva era “relegata a fatti gravissimi, connotati da rilevanza penale” o a fatti che avessero provocato all’azienda “grave nocumento morale e/o materiale”.

Motivi, questi, che per la Cassazione non potevano trovare accoglimento, in quanto non deducevano, nelle forme proprie, la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ma, piuttosto, tendevano ad una rivalutazione nel merito, circa il concreto apprezzamento delle condotte contestate quali ipotesi di giusta causa di licenziamento.