Amianto, beneficio contributivo anche se la malattia non è indennizzabile

La Corte di Cassazione con ordinanza 37045 del 17 dicembre 2022 ha precisato che per il riconoscimento del beneficio contributivo di cui all’art. 13, comma 7, della Legge 257/92   in favore dei lavoratori che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentata dall’Inail non è necessario che la malattia sia indennizzabile.

La previsione in esame, in particolare, dispone che: “Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i lavoratori, che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa a periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all’amianto è moltiplicato per il coefficiente di 1,5”.

Nella vicenda posta all’attenzione della Suprema corte, un uomo si era visto respingere la domanda con cui aveva chiesto l’accertamento di aver contratto una malattia professionale da asbesto correlata, al fine di conseguire la rivalutazione dei periodi contributivi ai sensi della citata legge, a prescindere dal raggiungimento della soglia indennizzabile.

La Corte d’appello, tuttavia, aveva sostenuto che, nel sistema dell’assicurazione obbligatoria dell’INAIL, l’indennizzabilità fosse presupposto costitutivo del riconoscimento della sussistenza di una malattia professionale da parte dell’Istituto.

Di diverso avviso gli Ermellini, secondo i quali tale ultima tesi non poteva essere condivisa: il testo della legge, in primo luogo, non prevede il requisito del raggiungimento del grado indennizzabile.

Va inoltre considerato che nel medesimo testo di riferimento sono qualificate come malattie professionali anche le placche pleuriche benché alle stesse non sia attribuito un grado di inabilità indennizzabile.

L’esistenza di una malattia professionale non indennizzabile, peraltro, non esclude, ovviamente, già da un punto di vista naturalistico, il nesso tra professione espletata e malattia, né che tale nesso venga “documentato” proprio dall’INAIL.