Dipendente malato collabora al pub di famiglia? Sì al licenziamento

Il Tribunale di Foggia con ordinanza del 16 dicembre 2022 ha confermato  il licenziamento per giusta causa che una società aveva comminato ad un proprio dipendente per aver prestato altra attività lavorativa presso terzi durante l’assenza dal lavoro per malattia.

Nella contestazione disciplinare, le condotte poste in essere erano state ritenute indicative della simulazione della malattia ovvero dell’inidoneità della stessa a determinare uno stato di incapacità lavorativa e a giustificare quindi l’assenza dal lavoro.

Anche qualora la malattia fosse stata sussistente – era precisato nella lettera di contestazione – il lavoratore aveva ripetutamente violato il dovere di non pregiudicare i tempi di rientro a lavoro e i generali doveri di buona fede e correttezza e degli obblighi di diligenza e fedeltà.

Il dipendente aveva impugnato il recesso, deducendo l’insussistenza del fatto materiale addebitatogli, avendo certificato lo stato di malattia e non avendo il datore di lavoro chiesto interventi di verifica della malattia stessa.

Egli aveva inoltre contestato le indagini investigative svolte dal datore di lavoro, asserendo che gli unici preposti ad accertare la malattia sono i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti.

Nel caso in esame, l’espletamento di altra attività lavorativa o di mera collaborazione familiare da parte del lavoratore durante lo stato di malattia era da ritenere idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buonafede nell’adempimento dell’obbligazione.

Le attività poste in essere erano di per sè indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione.

Trattandosi di comportamento immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, in quanto contrario al cd. minimo etico, doveva ritenersi sussistente anche l’elemento psicologico.

In definitiva, le condotte contestate al ricorrente rappresentavano violazioni di tale entità da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto di lavoro, tenuto conto della violazione gravemente colposa dei doveri di lealtà e correttezza e della natura degli addebiti.

Essendo venuto meno il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente, era legittimo che la società avesse provveduto a sanzionare quest’ultimo con il licenziamento disciplinare per giusta causa.