Mancato godimento della pausa: rilievo risarcitorio
Tizio, dipendente della società vigilo srl, istituto di vigilanza privata, si rivolgeva al suo legale di fiducia lamentando il mancato godimento della pausa di 10 minuti prevista all’art. 74 del CCNL Istituti di Vigilanza privata.
Lo stesso dipendente, dichiarando dunque, di non aver goduto della pausa di 10 minuti spettante a
coloro che svolgono un’attività lavorativa giornaliera superiore a sei ore, chiedeva al suo
rappresentante di fiducia se ci fossero gli estremi per citare in giudizio la società per cui lavorava.
Analizziamo dunque il contesto normativo e giurisprudenziale in riferimento al caso di specie.
CONTESTO NORMATIVO
Il diritto al riposo del lavoratore trova una specifica protezione individuata nell’articolo 36 della
Costituzione, che prevede espressamente l’irrinunciabilità del diritto al riposo settimanale e alle
ferie annuali.
Tale diritto ha trovato inoltre compiuta disciplina nel D.Lgs. 66/20031, che ha dato attuazione alle
Direttive Europee in materia di orario ed organizzazione del lavoro.
In particolare, l’articolo 7, D.Lgs. 66/2003, prevede che il riposo giornaliero debba essere di 11 ore
consecutive ogni 24 ore di lavoro prestato; l’articolo 8 attribuisce il diritto a una pausa non inferiore
a 10 minuti per turni di lavoro non inferiori alle 6 ore, rimettendo alla contrattazione collettiva la
disciplina delle modalità di fruizione e di un’eventuale maggiore durata.
L’articolo 9, poi, regola il riposo settimanale, stabilendo che il lavoratore ha diritto ogni 7 giorni a
un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da
cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all’articolo 7. Lo stesso articolo 9, comma 1,
prevede, altresì, che il periodo di riposo settimanale consecutivo sia calcolato come media in un
periodo non superiore a 14 giorni.
Nel dettare le disposizioni a tutela del riposo dei lavoratori comunitari, l’Unione Europea dal canto
proprio, ha tenuto in debito conto il bilanciamento tra il diritto dei lavoratori, da una parte, e le
esigenze organizzative datoriali, dall’altra. A tal fine ha infatti previsto che in caso di deroga delle
direttive da parte degli Stati membri devono essere concessi ai lavoratori interessati equivalenti
periodi di riposo compensativo.
Oltre ai riposi sopra menzionati al lavoratore spettano anche periodi di ferie annuali retribuite ai
sensi dell’articolo 10 D.Lgs. 66/2003.
La norma dispone che, in generale e fatto salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o
dalla specifica disciplina riferita a lavoratori appartenenti a determinati settori di attività, spettano al
prestatore di lavoro non meno di 4 settimane di ferie, di cui 2 da godersi consecutivamente su
richiesta del lavoratore nel corso dell’anno di maturazione e le restanti 2 nei 18 mesi successivi a
detto anno. Il predetto periodo minimo di 4 settimane non può essere sostituito dalla relativa
indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
IMPLICAZIONI
Nella questione oggetto di approfondimento, Tizio, dipendente della società vigilo srl , istituto di
vigilanza privata, si rivolgeva al suo legale di fiducia lamentando il mancato godimento della pausa
di 10 minuti prevista all’art. 74 del CCNL Istituti di Vigilanza privata.
Il D.Lgs. 66/2003 definisce periodo di riposo tutto ciò che non rientra nell’orario di lavoro. Tra i
riposi in particolare possono essere ricordati:
RIPOSO GIORNALIERO
Il lavoratore, ogni 24 ore, ha diritto a 11 ore di riposo. Questo riposo deve essere continuativo, a
meno che il lavoro sia caratterizzato da periodi di lavoro frazionati durante la giornata.
PAUSE
Se l’orario di lavoro giornaliero eccede le 6 ore, il lavoratore ha diritto a una pausa per recuperare le
energie psico-fisiche e per consumare il pasto.
Le modalità di fruizione e la durata di tali pause sono determinate dai contratti collettivi; in
mancanza, al lavoratore deve comunque essere concessa una pausa da fruirsi tra l’inizio e la fine del
periodo giornaliero di lavoro e della durata non inferiore a dieci minuti; la collocazione di questa
pausa deve tener conto delle esigenze produttive.
In ogni caso, queste pause non sono retribuite, né possono essere considerate come lavoro ai fini del
superamento dei limiti di durata sopra indicati.
RIPOSO SETTIMANALE
Il lavoratore ha diritto, ogni 7 giorni, a un riposo di almeno 24 ore consecutive.
Queste ore di riposo settimanale non compensano le 11 ore di riposo giornaliero di cui si è detto, ma
si aggiungono ad esse.
Il diritto appena enunciato non è però previsto per alcune categorie di lavoratori (lavoro a
turno)ogni volta che il lavoratore cambi squadra e non possa usufruire, tra la fine del servizio di una
squadra e l’inizio di quello della squadra successiva, di periodi di riposo giornaliero o settimanale;
le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata; per alcune categorie di
persone che lavorano nel settore dei trasporti ferroviari).
Il riposo settimanale deve, di regola, coincidere con la domenica, salvi i casi – previsti dalla legge –
in cui il giorno di riposo settimanale può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica.
FERIE ANNUALI
Il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane, con
facoltà dei contratti collettivi di stabilire condizioni di miglior favore.
Nel caso di mancata fruizione delle ferie, queste non possono essere sostituite con la relativa
indennità per ferie non godute, se non al momento di risoluzione del rapporto.
Il riposo giornaliero e le pause possono essere derogati dai contratti collettivi nazionali.
In mancanza di questi accordi, è previsto un apposito decreto del Ministero del Lavoro per
apportare e disciplinare le deroghe in casi previsti dalla legge, quali:
• attività caratterizzate dalla distanza fra il luogo di lavoro e il luogo di residenza del
lavoratore;
• attività di guardia e sorveglianza;
• attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della
produzione, come nel caso degli ospedali, porti e aeroporti, servizi della stampa, radiofonici,
televisivi, trasporto urbano e ferroviario.
Oltre a queste deroghe abbastanza specifiche, ce ne sono altre molto più generiche e dalla portata
allo stato imprevedibile che, comunque, rischiano addirittura di vanificare i diritti di cui si sta
parlando, giacché la legge prevede l’introduzione di deroghe non solo a fronte di circostanze
eccezionali e imprevedibili, ma addirittura quando si verifichi un sovraccarico prevedibile di
attività.
In ogni caso, le diverse deroghe sono ammesse solo a condizione che al lavoratore sia accordato un
equivalente periodo di riposo compensativo, sempre che – altra deroga – il riposo compensativo sia
impossibile per motivi oggettivi.
Il quadro non può essere completo senza specificare che il D.Lgs. 66/2003 introduce altre deroghe,
ancora più significative e radicali, nei confronti dell’orario ordinario e straordinario di lavoro,
nonché dei riposi giornaliero e settimanale e delle pause.
Infatti, si dispone che tutti i diritti contemplati dalla riforma per gli istituti appena richiamati non
operano nei confronti di alcune categorie di lavoratori, tra cui i dirigenti, la manodopera familiare,
i lavoratori a domicilio o nel caso di telelavoro.
Il lavoratore, qualora fosse chiamato a prestare la sua attività di domenica, dovrebbe percepire, oltre
alla normale retribuzione, una indennità che sia sufficiente a compensare il sacrificio di lavorare in
una giornata normalmente dedicata al riposo e allo svago.
Questa maggiorazione deve essere corrisposta anche nel caso di riposo compensativo, e – in caso di
contestazione e sempre che al riguardo il contratto collettivo di lavoro nulla disponga – deve essere
quantificata dal giudice in via equitativa.
Diverso è invece il problema della cadenza settimanale del riposo, ovvero del diritto al riposo dopo
sei giorni continuativi di lavoro.
Questo diritto discende da numerose disposizioni legislative: l’art. 2109 c. 1 c.c. riconosce al
lavoratore il diritto “ad un giorno di riposo ogni settimana”; l’art. 1 Legge 22/2/34 n. 370 dispone
che al lavoratore “è dovuto ogni settimana un riposo di 24 ore consecutive”; l’art. 36 c. 3 Cost.
dispone che “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale … e non può rinunciarvi”.
Dalle suddette norme di legge la giurisprudenza ha tratto la conclusione che il lavoratore ha diritto,
dopo sei giorni continuativi di riposo, ad una giornata di riposo, dichiarando altresì nulle le
eventuali disposizioni contrattuali contrarie.
Né la situazione potrebbe essere sanata anticipando il riposo settimanale: infatti, il principio del
riposo settimanale risponde all’esigenza di tutelare la salute del lavoratore, consentendogli di
recuperare le energie perdute.
Pertanto, mentre è possibile ristorare le energie già spese, non si può pensare di accumulare le
energie in vista del loro futuro dispendio.
Qualora venisse violato il diritto al riposo dopo sei giorni di lavoro continuativo, il lavoratore
dovrebbe ricorrere al giudice, che risarcirà il danno conseguentemente subito secondo equità.
Nella quantificazione del danno, il giudice (considerando che la lesione del diritto in questione è
configurabile come reato ex art. 27 Legge 370/34) dovrà tener conto anche della sua componente
morale.
E’ stato anche affermato che il risarcimento deve tener conto di ogni giornata lavorativa
continuativamente prestata dopo la sesta, e deve essere commisurato alla normale retribuzione per
ogni giornata lavorata dopo la sesta.
RISOLUZIONE SECONDO NORMA
Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, nell’art. 36 Cost., “la
durata massima della giornata lavorativa” costituisce oggetto di una riserva di legge (comma 2),
mentre i diritti al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite sono qualificati come
irrinunciabili (comma 3), ergendosi ad invalicabile barriera tra la dimensione del diritto al “giusto
tempo” nel rapporto di lavoro fa in tal modo il suo ingresso nel “Pantheon” dei diritti sociali (cc.dd.
diritti di terza generazione), sub specie di diritto incondizionato o con efficacia orizzontale, il cui
soddisfacimento, cioè, non implica il tipico “dovere di prestazione” dei poteri pubblici, quanto
piuttosto l’osservanza da parte del datore di lavoro di severi limiti nell’esercizio del potere direttivo-
organizzativo, ma anche l’assunzione di comportamenti di cooperazione con il lavoratore in vista
del godimento da parte di quest’ultimo di quote essenziali di tempo di non lavoro.
V’è quanto basta per poter affermare che la nostra Costituzione collochi ad uno stadio
particolarmente avanzato la tutela della persona nella dimensione temporale del rapporto di lavoro,
andando al di là della più generica affermazione contenuta nell’art. 24 della quasi coeva
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, secondo cui “ogni individuo ha diritto al riposo e
allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche
retribuite.
La lesione del diritto al riposo è stata recentemente affrontata dalla Cassazione, che, con la sentenza
n. 12249/2023, si è espressa in merito al caso di un autista addetto al servizio di linea che lamentava
la mancata fruizione dei riposi giornalieri e settimanali previsti dalla normativa comunitaria e
chiedeva, conseguentemente, il risarcimento del danno non patrimoniale patito.
La Corte ha ricordato che: “Il danno da usura psico-fisica si iscrive (Cass. Sez. Un. n. 6572 del
2006; Cass. n. 26972 del 2008) nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da fatto
illecito o da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone l’esistenza di un
pregiudizio concreto patito dal titolare dell’interesse leso sul quale grava, pertanto, l’onere della
relativa specifica deduzione della prova eventualmente anche attraverso presunzioni semplici.
RISOLUZIONE CASO PRATICO
Nella vicenda in oggetto dunque, graverebbe sul lavoratore l’onere di provare di aver diritto alla
pausa di 10 minuti, perché la prestazione lavorativa giornaliera era superiore alle 6 ore, ma
incomberebbe sul datore di lavoro l’obbligo di dimostrare il mancato godimento dei riposi
compensativi di pari durata, da godere nei trenta giorni successivi, sostitutivi delle pause non
godute.
Secondo precedenti pronunce giurisprudenziali (si veda Cass. n. 1892/2000) nella sfera
organizzativa rientra infatti la predisposizione anche unilaterale, in virtù del potere datoriale di
organizzazione e di direzione ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., di norme interne di
regolamentazione relative, in particolare all’organizzazione tecnica (oltre che disciplinare) del
lavoro nell’impresa, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro, sempre che non sconfinino
nell’arbitrio, né perdano ogni collegamento con l’interesse all’ordinato svolgersi dell’attività
lavorativa e l’esercizio di detto potere sia effettivamente funzionale a norma dell’art. 1175 c.c., alle
esigenze tecniche, organizzative e produttive dell’azienda.