Cassazione: quale onere della prova grava sul lavoratore che dichiara di essere mobbizzato?

La Corte di Cassazione con ordinanza 29400 del 14 novembre afferma che le ipotesi di mobbing si caratterizzano, per il fatto di assumere rilievo in presenza di una serie di condotte legittime del datore di lavoro unificate da un intento persecutorio le quali, rappresentano, un inadempimento agli obblighi derivanti dal art. 2087 c.c..

Il dipendente ricorreva giudizialmente al fine di richiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta mobbizzante e vessatoria tenuta nei suoi confronti dall’Ente datore di lavoro nel periodo dal 8 luglio 1998 al 31 marzo 2003.

La Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, non ritenendo raggiunta la prova del dedotto inadempimento datoriale.

La Cassazione – nel confermare la pronuncia di merito – rileva, che il lavoratore che denunci la ricorrenza di un’ipotesi di mobbing deve: allegare l’inadempimento datoriale;

provare il titolo del suo diritto, il danno eventualmente subito e il nesso causale fra detto inadempimento e il pregiudizio lamentato; dimostrare il citato intento persecutorio.

Su tali presupposti, la Suprema Corte, non ritenendo assolto detto onere probatorio nel caso di specie, rigetta il ricorso proposto dal dipendente.