La prescrizione dei contributi omessi

In data 14 febbraio 2007, l’Inps ha comunicato alla società Gamma la denuncia operata da Sempronio un ex dipendente di Gamma per scoperture contributive nel periodo dal 1999 al 2002.

Successivamente in data 2 aprile 2011 l’Inps ha notificato a Gamma il verbale di accertamento scaturito da una richiesta di rettifica dell’estratto contributivo presentato dal dipendente di Gamma addebitando la contribuzione ritenuta dall’Ente dovuta e non versata sulle differenze tra le retribuzioni effettivamente erogate e quelle erroneamente denunciate, con recupero dei benefici contributivi ritenuti non dovuti per effetto delle denunce non conformi.

In data 3 maggio 2011, Gamma ha presentato ricorso avverso il predetto verbale di accertamento Inps deducendo l’intervenuta prescrizione delle pretese contributive.

In data 27 maggio 2016, l’Inps ha comunicato con proprio provvedimento di provvedere al pagamento delle somme risultanti da verbale di accertamento del 2011 comprensivi delle somme dovute a titolo di contributi e a titolo di sanzioni, sebbene alcun avviso di addebito fosse stato notificato a Gamma medio tempore.

Gamma si rivolge ad un professionista per una disamina della fattispecie e sulle possibili ipotesi risolutorie in via amministrativa.

Cenni di introduzione alla trattazione

Nella prima parte della trattazione  del caso del mese di maggio, si esamineranno  gli aspetti normativi relativi ai principi alla base della prescrizione in tema previdenziale.

Particolare rilievo assumerà nell’elaborato la disamina  della prescrizione dei contributi omessi e dell’incidenza degli atti interruttivi sull’istituto in esame senza trascurare i risvolti giurisprudenziali e le interpretazioni amministrative su un tema tanto complesso quanto rilevante in ambito giuslavoristico.

Nella seconda parte della trattazione della questione si porranno in rilievo i principi sottesi alle implicazioni conseguenti alla interazione dei principi normativi esplicati al caso pratico e alla risoluzione dello stesso.

CONTESTO NORMATIVO

Regime normativo della prescrizione dei contributi omessi

Nel nostro ordinamento l’obbligo assicurativo trova la sua fonte nell’art.2115 cod.civ., il quale dispone che il datore di lavoro e il prestatore sono tenuti a contribuire alle istituzioni di previdenza e assistenza  a tutela del lavoratore nei casi di incapacità lavorativa derivante da infortuni, malattia, disoccupazione involontaria, invalidità, vecchiaia, così come disposto dal dettato costituzionale.

Tale obbligo automatico all’insorgenza del rapporto di lavoro, così come precisato dall’art. 2116 cod, civ.,  che statuisce che  il lavoratore dipendente ha diritto a vedersi riconosciute le prestazioni derivanti dal verificarsi del rischio assicurato, anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia provveduto al regolare versamento dei contributi obbligatori, coinvolge il datore e l’Ente previdenziale che in caso di inadempimento del datore di lavoro  è tenuto a garantire l’integrità della posizione assicurativa del lavoratore.

Tuttavia, il diritto alla prestazione, garantito dal summenzionato principio di automaticità delle prestazioni, incontra un limite legale, in quanto la contribuzione dovuta è soggetta a un termine di prescrizione, decorso il quale non può più essere né richiesta né versata. Ciò comporta, dunque, il rischio per il lavoratore di trovarsi di fronte a una scopertura nella sua posizione assicurativa, con evidenti effetti negativi in relazione al riconoscimento della prestazione dovuta.

L’istituto della prescrizione dei diritti, in generale, è previsto dall’art.2934 cod.civ. e comporta l’estinzione del diritto nell’ipotesi in cui il titolare non lo esercita per il tempo previsto inderogabilmente dalla legge in misura variabile a seconda della tipologia del diritto stesso.

Si tratta pertanto  di un sistema posto a tutela della certezza dei rapporti giuridici in relazione al mancato esercizio nel corso del tempo. La regola generale prevede infatti  che, nel caso in cui venga comunque pagato un debito prescritto, la somma versata non possa essere richiesta in ripetizione. Tale disciplina, tuttavia, non trova applicazione in materia contributiva, in quanto la fattispecie è oggetto delle specifiche previsioni di cui all’art.3, co.9 e 10, L. n.335/95.

Tale norma ha previsto che  la prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali si verifica in dieci anni per i contributi del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, termine che a decorrere dal 1 gennaio 1996 è stato ridotto a cinque anni, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti.

Per tutte le altre contribuzioni previdenziali e assistenziali obbligatorie il termine prescrizionale matura in cinque anni. La stessa legge ha previsto inoltre che questi termini si applicassero anche alle contribuzioni relative ai periodi precedenti alla data della sua entrata in vigore, salvi gli atti interruttivi già posti in essere a quella data.

Tale disposizione, a causa della sua complessa articolazione, ha generato nel corso degli anni una cospicua giurisprudenza e un-altrettanto abbondante prassi amministrativa, entrambe dirette a fornire chiarezza all’interprete, cosa, peraltro, non di facile attuazione.

È  importante tener presente inoltre che  il termine prescrizionale inizia il suo decorso a partire dalla scadenza del versamento dei contributi dovuti e che decorso tale termine, non è più ammessa la regolarizzazione dei periodi scoperti, neppure su iniziativa del debitore.

La singolare rigidità che caratterizza la prescrizione nel sistema previdenziale è diretta sia a mantenere intatta l-esigenza della certezza del diritto sia ad evitare che si possano costituire rapporti assicurativi tardivi e non genuini  finalizzati a precostituire situazioni previdenziali fittizie  dalle quali far derivare prestazioni non spettanti.

Tuttavia questa intransigenza collide con l-ipotesi in cui si disconosce il diritto alla copertura contributiva di periodi per i quali nessun dubbio sussiste sulla effettiva esistenza del rapporto di lavoro.

Per ovviare almeno in parte a questo inconveniente, l-articolo 13 della legge n. 1338/ 1962  ha previsto  la possibilità per il datore di lavoro e per il lavoratore di ricostruire, a pagamento la posizione assicurativa per i periodi scoperti, purché si dimostri  l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro sulla base di documentazione di data certa.

L-ente previdenziale può far venire meno lo stato di inerzia con qualsiasi atto che manifesti formalmente la volontà di riscuotere i contributi interrompendo così il decorso della prescrizione.

Atti interruttivi

Gli atti interruttivi possono consistere nella richiesta, attivata in sede amministrativa o giudiziaria, formulata dall’ente al debitore, nella notifica del verbale di ispezione o comunque in qualsiasi atto che metta in mora l-obbligato al versamento (Cass: n. 46/2009). Tra gli atti interruttivi primaria importanza riveste l-avviso di addebito (che, in materia previdenziale, ha sostituito la cartella esattoriale), il quale ha efficacia di titolo esecutivo.

Gli atti per essere idonei alla interruzione della prescrizione non possono essere generici ma richiedono sempre la quantificazione del credito o comunque l’indicazione di tutti gli elementi che consentano al debitore di pervenire alla sua quantificazione.

Con l’interruzione perde infatti ogni valore il tempo trascorso precedentemente e comincia a decorrere un nuovo  periodo prescrizionale.

Tra gli atti interruttivi (o di inizio di procedure di recupero) posti in essere dall’ente previdenziale rientra qualunque concreta attività di indagine o attività ispettiva da esso compiuta in qualità di titolare della contribuzione omessa.

Sicché l-atto interruttivo deve essere posto in essere dall-ente previdenziale titolare del diritto alla riscossione dei contributi oppure, con qualsiasi atto di autodenuncia o di riconoscimento del proprio debito contributivo, dal datore di lavoro, che è il soggetto obbligato al versamento del contributo, o dal lavoratore autonomo, anch-egli soggetto obbligato al versamento per sé e i suoi collaboratori o dal professionista iscritto alla gestione separata di cui all-art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995.

Non produce invece l-interruzione della prescrizione la segnalazione all-ente previdenziale del danneggiato dalla scopertura contributiva, ma la sua denuncia mette in mora l-ente che deve porre in essere l-atto interruttivo nei confronti del debitore. Ciò perché il rapporto contributivo si instaura tra datore di lavoro ed ente previdenziale a beneficio del lavoratore, che ne rimane estraneo; anche se è il soggetto a favore del quale si produrranno gli effetti  del rapporto stesso (lnps circ. n. 18/1996).

Un particolare atto interruttivo inoltre ha l’effetto di raddoppiare il termine prescrizionale: la  denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, che eleva il termine prescrizionale da cinque a dieci anni.

I soggetti che possono proporre denuncia sono, oltre ai lavoratori subordinati, anche i collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, gli associati in partecipazione, i coadiuvanti dell’imprenditore commerciante e artigiano e i componenti del nucleo familiare dei lavoratori autonomi agricoli, cioè tutti quei lavoratori per i quali esiste un soggetto datore di lavoro che è il titolare dell’obbligo contributivo.

Per denuncia si intende l’atto formale con il quale i soggetti sopra indicati portano a conoscenza dell’Istituto previdenziale l’esistenza di un’omissione contributiva totale o parziale da parte del datore di lavoro.

In riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione decennale, così come recentemente interpretato dalla giurisprudenza con la sentenza n. 24946/15, non è richiesto che la denuncia presenti un contenuto specifico e tecnicamente precisato.

In sostanza, è sufficiente che la denuncia presentata all’Inps evidenzi l’omissione contributiva, senza che il lavoratore sia tenuto a utilizzare formule particolari o a individuare gli obblighi violati e i periodi di effettiva scopertura contributiva.

Ciò in quanto, una volta recepita la denuncia, è compito specifico dell’Istituto di previdenza provvedere, al termine dei dovuti accertamenti mediante verifiche documentali, alla quantificazione del debito e all’adozione degli atti interruttivi della prescrizione.

Per quanto concerne il computo dei termini prescrizionali, la denuncia deve intervenire sempre prima della scadenza della prescrizione quinquennale ed è  sempre necessario che intervenga, da parte dell’Inps, titolare del relativo diritto di credito, un atto di quantificazione e contestazione del dovuto indirizzato al datore di lavoro, il quale deve averne avuto ricezione.

In particolare in tale atto devono essere indicati espressamente il periodo contributivo cui l’inadempienza si riferisce, l’importo dei contributi omessi, il nominativo e i dati anagrafici del denunciante, il regime sanzionatorio applicabile e gli estremi della denuncia con precisazione del termine di presentazione della stessa. Non sono, dunque, ritenute ammissibili frasi generiche relative all’interruzione di ogni termine prescrizionale per i contributi eventualmente non versati, in quanto tali locuzioni non consentono al debitore di essere messo a conoscenza della quantificazione del debito dovuto.

A tal proposito, si fa presente che, nell’ipotesi in cui non sia possibile procedere a quantificare immediatamente nella diffida il credito, è sufficiente che sia indicato il periodo contributivo cui si riferisce l’inadempienza oggetto della diffida.

È importante rilevare inoltre che l-allungamento del termine prescrizionale da cinque a dieci anni opera indipendentemente dal fatto che l-istituto si attivi o meno nei confronti del datore di lavoro inadempiente con le opportune azioni di recupero. Di conseguenza sussiste la responsabilità dell-ente nel caso in cui, nonostante la denuncia, il termine prescrizionale comunque spiri inutilmente a causa del mancato intervento con un idoneo atto interruttivo dell-ente stesso nei termini per il recupero dei contributi evasi.

L’Inps con la circolare n. 31/2012 ha inoltre precisato che viene mantenuto il termine prescrizionale decennale qualora il lavoratore o i suoi superstiti presentino all-istituto una denuncia entro il termine di cinque anni dalla scadenza dei contributi per i quali si chiede il recupero. La denuncia, se è compiuta nel termine di cinque anni, è idonea a prolungare la prescrizione fino a dieci anni. Al contrario, se interviene oltre il termine di cinque anni dalla scadenza dei contributi dei quali il lavoratore o i suoi superstiti chiedono il recupero (quindi a prescrizione già spirata), la contribuzione si considera prescritta (e perduta a tutti gli effetti).

Prassi previdenziale

In riferimento alla prescrizione del recupero dei contributi la legge 335/95 ha precisato che i contributi non dovuti pagati alle gestioni previdenziali sono nulli ed improduttivi di effetti e sono rimborsati d’ufficio o su domanda dell’interessato se l’anomalia non è riscontrata dall’Istituto previdenziale.

Al riguardo, peraltro la Corte  Costituzionale con sentenza n. 417/1998, ha altresì chiarito che su dette somme decorrano anche gli interessi.

Con la sentenza infatti, viene per la prima volta enunciato nella giurisprudenza costituzionale il principio che il legislatore non può escludere del tutto gli interessi e fino a quando sulla materia non interverrà una norma, sarà il giudice di merito a determinarne il dovuto.

Va comunque segnalato che la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (sent. n. 7296/1994) ha stabilito in via generale che gli interessi sui contributi restituiti spettano dal momento della proposizione della domanda di restituzione posta in via amministrativa.

L’Inps in particolare in data 14 febbraio 2007 ha comunicato alla società Gamma la denuncia operata da Sempronio un ex dipendente della stessa per scoperture contributive nel periodo dal 1999 al 2002 e in data 2 aprile 2011 ha notificato alla società  il verbale di accertamento scaturito da una richiesta di rettifica dell’estratto contributivo presentato da un lavoratore della società addebitando la contribuzione ritenuta dall’Ente dovuta e non versata sulle differenze tra le retribuzioni effettivamente erogate e quelle erroneamente denunciate, con recupero dei benefici contributivi ritenuti non dovuti per effetto delle denunce non conformi.

Nel caso di specie, in conformità alla legge 335/95, l’atto interruttivo formalizzato dall’Ente previdenziale, idoneo a determinare la prescrizione decennale, dovrebbe ritenersi formalmente riferibile al verbale di accertamento dell’Inps del 2 aprile 2011.

Ebbene, per il periodo oggetto di accertamento, ossia sulle contribuzioni dell’anno 1999, 2000 e 2002, dovrebbe ritenersi comunque formata la prescrizione.

Ciò in quanto soltanto a tale atto potrebbe ritenersi riconducibile l’idoneità di atto interruttivo della prescrizione.

Non certo, infatti tale idoneità potrebbe ritenersi riconoscibile alla nota dell’Inps del 14 febbraio 2007, priva della necessaria specificità nella richiesta del credito contributivo e dunque non in linea alle previsioni normative, né tantomeno potrebbe ritenersi qualificabile idoneo atto interruttivo l’autodichiarazione della società, peraltro riferentesi esclusivamente all’anno 2002.

Si osserva, in linea alla circolare Inps n. 55/2000, che gli atti per essere idonei alla interruzione della prescrizione non possono essere generici ma richiedono sempre la quantificazione del credito o comunque l’indicazione di tutti gli elementi che consentano al debitore di pervenire alla sua quantificazione, circostanze assenti al caso de quo.

Pur volendo ritenere la dichiarazione del 2007 della società, atto idoneo ad interrompere la prescrizione, occorre osservare ad ogni modo, che per i periodi oggetto di accertamento ispettivo ( anni 1999, 2000 e 2002), dovrebbe considerarsi l’avvenuta formazione della prescrizione maturata alla scadenza del formarsi dei rispettivi debiti contributivi per le annualità considerate, con la conseguenza che l’Inps comunque non avrebbe potuto accettare il versamento di contribuzione ormai prescritta.

È opportuno quindi evidenziare che trascorso il tempo previsto dalla legge  l’ente previdenziale non può più versare i contributi con la conseguenza che non può richiederne il pagamento e ciò provoca l’estinzione per prescrizione dell’obbligo contributivo.

Ciò in quanto non ha rilevanza che l’inerzia sia ascrivibile a chi era tenuto al versamento e non vi abbia provveduto, o al beneficiario della copertura contributiva che non abbia denunciato l’evasione o l’omissione, o all’ente previdenziale che non abbia recuperato tempestivamente i contributi dovuti e non versati.

Il compiersi della prescrizione comporta che l’Ente non possa più esercitare il suo diritto-dovere di riscuotere i contributi previdenziali.

Nel caso di specie, il mancato versamento, e il mancato recupero dei contributi previdenziali entro il termine fissato dalla legge impedisce all’ente previdenziale di riscuotere i contributi, con la conseguenza che non può richiederne il pagamento.

Tuttavia l’Inps in data 27 maggio 2016, ha comunicato con proprio provvedimento di provvedere al pagamento delle somme risultanti da verbale di accertamento del 2011 comprensivi delle somme dovute a titolo di contributi e a titolo di sanzioni, sebbene alcun avviso di addebito fosse stato notificato a Gamma medio tempore.

Implicazioni conseguenti dalla interazione dei principi normativi esplicati al caso pratico

Nel caso oggetto di trattazione alla luce dei principi normativi esposti occorre calare la fattispecie concreta al fine di considerare idoneamente o meno la prescrizione decennale ai sensi della legge 335/95.

Occorre, pertanto analizzare gli atti così come nei fatti posti in essere al fine di ricostruire o meno intorno agli stessi, tenendo altresì conto dei soggetti rispettivamente disponenti gli atti stessi, il carattere di idoneità ad interrompere la prescrizione concretizzando il presupposto della eccezionalità della prescrizione decennale.

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 1372 del 29 gennaio 2003 ha proprio confermato che la regola di cui alla legge sopra citata secondo cui dal 1 gennaio 1996 l’obbligo del versamento dei contributi si prescrive nel termine di cinque anni deve intendersi, nei casi di denuncia per omessa contribuzione da parte del lavoratore o dei suoi superstiti, derogata dalla regola della prescrizione decennale.

Preliminarmente si rappresenta che la legge n. 335 del 1995 distingue tra atti posti in essere ad iniziativa dell’Ente ed atti posti in essere su denuncia del lavoratore ed idonea a determinare in dieci anni il termine della prescrizione nei confronti dell-INPS o degli altri Istituti previdenziali a condizione che l’Ente emetta l’atto interruttivo di propria competenza.

Per quanto attiene la decorrenza della prescrizione, in considerazione del fatto che il corso della prescrizione può essere interrotto solo da un atto del creditore e cioè nel caso di specie, da un atto dell-Istituto che chieda il pagamento del proprio credito contributivo, non rileva ai fini del corso della prescrizione il momento in cui il lavoratore sia venuto a conoscenza dell-inadempienza del proprio datore di lavoro in quanto il diritto di credito contributivo deve essere azionato sempre dall-Istituto.

Pertanto in riferimento al termine prescrizionale deve farsi riferimento alla data di scadenza delle singole denunce contributive.

Già da tempo questo principio, espressamente indicato nell’articolo 55 del R.D.L. n. 1827/1935, convertito in legge n. 1155/1936, ha trovato conferma nell’interpretazione giurisprudenziale ( Cass. N. 154/1989) ed il destinatario del beneficio della prescrizione, vale a dire debitore dell’obbligo contributivo, non vi può rinunciare, neppure per atti concludenti, quali il riconoscimento espresso del proprio debito contributivo prescritto o il suo pagamento spontaneo.

In tal senso quindi solo a carico dell’Entee del datore di lavoro sussiste l-obbligo di compiere l-atto inteso a pretendere l-osservanza dell-obbligo stesso.

Pertanto, decorso il termine prescrizionale non è più ammessa la regolarizzazione dei periodi scoperti, neppure su iniziativa del debitore, né l’ente previdenziale può chiedere il versamento dei contributi dovuti e omessi o accettare il versamento spontaneo del debitore.

Non può che affermarsi, dunque, che per i contributi riferentesi a periodi successivi al 1° gennaio 1996, la denuncia del mancato pagamento dei contributi stessi da parte del lavoratore comporta che il termine prescrizionale sia decennale, sempre che l’Istituto provveda ad emettere il proprio atto avente efficacia interruttiva e su segnalazione anche di altro ufficio di Vigilanza preposto alla verifica dei corretti adempimenti a carico delle aziende.

Trascorso il tempo previsto dalla legge, il mancato versamento dei contributi provoca l’estinzione per prescrizione dell’obbligo contributivo non rilevando a chi sia ascrivibile l’inerzia: il compiersi della prescrizione comporta che l’ente non può più esercitare il suo diritto-dovere di riscuotere i contributi previdenziali.

Peraltro, in caso di prescrizione è impedito all’ente di riscuotere i contributi e qualora il datore vi provveda spontaneamente deve procedere d’ufficio al suo rimborso.

Le regole sul rimborso dei contributi indebiti relativamente ai lavoratori dipendenti risalgono infatti all-art. 8 del D.P.R. n. 818/1957. Stabilisce tale norma che i contributi o le quote di contributo indebitamente versati non sono computabili agli effetti del diritto alle prestazioni o della misura di esse e sono rimborsabili al datore di lavoro anche per la quota trattenuta al lavoratore, al quale deve essere restituita. Tuttavia i contributi accertati come indebiti oltre cinque anni dalla data in cui è stato effettuato il versamento rimangono acquisiti alle singole gestioni e sono computabili agli effetti delle prestazioni previdenziali.

Di conseguenza, qualora sia accertato il versamento di contribuzione indebita relativa a lavoratori dipendenti, spetta il rimborso limitatamente alla contribuzione relativa al quinquennio non prescritto, restando acquisita quella precedente, che per l-effetto è produttiva di prestazioni senza interessi, con ciò violando, sia la norma generale contenuta nell-art. 2033 c.c. sia la richiamata sentenza della Consulta n. 417 /1998.

Va infine precisato che il secondo comma dello stesso art. 8 ha previsto che, se il datore di lavoro non richiede il rimborso dei contributi per il quinquennio anteriore all-accertamento dell-indebito versamento, l-importo dei contributi versati è restituito d-ufficio all-assicurato o ai suoi superstiti all-atto della liquidazione della pensione.

Risoluzione caso pratico

Alla luce delle  premesse normative e delle varie considerazioni esposte in precedenza pertanto è da ritenersi  che nel caso sottoposto al nostro esame le pretese contributive vantate dal dipendente della società Gamma nei confronti della stessa società sono oggetto di prescrizione.

Eventualmente l’atto interruttivo formalizzato dall’Ente previdenziale, idoneo a determinare la prescrizione decennale, dovrebbe ritenersi formalmente riferibile al verbale di accertamento dell’Inps del 2 aprile 2011.

Ebbene, per il periodo oggetto di accertamento, ossia sulle contribuzioni dell’anno 1999, 2000 e 2001, dovrebbe ritenersi comunque formata la prescrizione. Ciò in quanto soltanto a tale atto potrebbe ritenersi riconducibile l’idoneità di atto interruttivo della prescrizione.

Non certo, infatti tale idoneità potrebbe ritenersi riconoscibile alla nota dell’Inps del 14 febbraio 2007, priva della necessaria specificità nella richiesta del credito contributivo alla odierna ricorrente e dunque non in linea alle previsioni normative.

Si osserva,  infatti in linea alla circolare Inps n. 55/2000, che gli atti per essere idonei alla interruzione della prescrizione non possono essere generici ma richiedono sempre la quantificazione del credito o comunque l’indicazione di tutti gli elementi che consentano al debitore di pervenire alla sua quantificazione, circostanze assenti al caso de quo.

Come noto dunque trascorso il tempo previsto dalla legge il mancato versamento dei contributi provoca l’estinzione per prescrizione dell’obbligo contributivo.

Ciò in quanto non ha rilevanza che l’inerzia sia ascrivibile a chi era tenuto al versamento e non vi abbia provveduto, o al beneficiario della copertura contributiva che non abbia denunciato l’evasione o l’omissione, o all’ente previdenziale che non abbia recuperato tempestivamente i contributi dovuti e non versati.

Il compiersi della prescrizione comporta che l’Ente non possa più esercitare il suo diritto-dovere di riscuotere i contributi previdenziali.

Nel caso di specie, il mancato versamento, e il mancato recupero dei contributi previdenziali entro il termine fissato dalla legge impedisce all’ente previdenziale di riscuotere i contributi, con la conseguenza che non può richiederne il pagamento.

Infatti come noto l’art. 3 comma 9 della legge 8/8/1995 n. 335ha previsto che le contribuzioni di previdenza ed assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo Pensioni Lavoratori e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, e che a decorrere dal 1° gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti.

Eventualmente tali pretese contributive  dovranno essere ricalcolate unicamente per l’annualità 2002 unico anno su cui non si sarebbe formata la prescrizione.