Società estere operanti in Italia: Assunzione di personale – Profili normativi ed operativi

Major Business società inglese limited (di un unico socio inglese, residente in Inghilterra) vorrebbe commerciare in esclusiva un prodotto sul territorio italiano per mezzo di un sito internet appositamente dedicato ed in lingua italiana.

La società necessita di un deposito per tenere i prodotti in Italia e necessita altresì di assumere un soggetto italiano per l’esercizio delle relative attività in Italia, ovvero valutare il distacco di proprio personale in Italia.

 Al fine di concretizzare l’attività ed avviare quanto prima la commercializzazione dei prodotti, Major Business si rivolge ad un professionista al fine di conoscere tutte le implicazioni di ordine fiscale e previdenziale involgenti l’assunzione di personale in Italia o in distacco, in uno alle condizioni di fattibilità dell’intera operazione.

Cenni di introduzione alla trattazione

Nella prima parte della trattazione  del caso del mese di settembre,  si esamineranno le questioni attinenti il distacco di un lavoratore in ambito comunitario e lo studio del relativo regime previdenziale.  
Premesso un inquadramento generale in riferimento al  concetto di stabile organizzazione si passerà ad esaminare il predetto istituto evidenziandone le differenze con l’ufficio di rappresentanza per poi focalizzare l’attenzione sull’assunzione del lavoratore italiano da parte di una società estera delineandone gli aspetti fiscali e previdenziali ed  offrendo successivamente  al lettore una possibile  e prospettabile risoluzione del caso pratico.

CONTESTO NORMATIVO

Distacco europeo: profili generali e regime previdenziale

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una sempre più frequente mobilità internazionaledei lavoratori dovuta dallaglobalizzazione delle economie  e favorita dall’avvento delle nuove tecnologiedell’informazione e dall’internazionalizzazione delle imprese.
Come avremo modo di approfondire nel prosieguo della trattazione, l’internazionalizzazione, ovvero la tendenza delle imprese al dislocamento della produzione/distribuzione in mercati esteri, può assumere modalità differenti a seconda delle variabili ambientali e delle caratteristiche aziendali interne.
In particolar modo l’Unione Europea ha negli ultimi anni incentivato la mobilità di lavoratori affermando che essa può contribuire al progresso economico e sociale, ad un alto livello di occupazione e al raggiungimento di uno sviluppo sostenibile ed equilibrato.  Tale mobilità infatti ha permesso anche all’economia europea, all’occupazione e ai lavoratori di adattarsi in modo più flessibile ed efficace alla situazione mutevole di un’economia mondiale aperta alla concorrenza.
Il distacco costituisce infatti  il principale strumento, previsto dalla normativa comunitaria, per promuovere e  favorire la libera circolazione dei lavoratori  evitando allo stesso tempo che il fenomeno della mobilità possa pregiudicare i lavoratori che ne sono interessati.
In particolare   la fattispecie del distacco si verifica nel caso in cui un datore di lavoro in uno Stato membro (” Stato d-invio”) invii uno o più  dipendenti, detti lavoratori distaccati, a lavorare in un altro Stato membro (“Stato di occupazione”).
Proprio considerando l’attualità del tema, da ultimo è intervenuto il D.lgs 136/2016 che ha dato attuazione alla direttiva 2014/67/UE.
La nuova disciplina oltre a richiamare la vigente disciplina normativa in materia di distacco, ha attribuito al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali rilevanti competenze in ambito di monitoraggio, cooperazione e accertamenti ispettivi istituendo un Osservatorio con compiti di monitoraggio sul distacco dei lavoratori finalizzato a garantire una migliore diffusione tra imprese e lavoratori delle informazioni sulle condizioni di lavoro e di occupazione.
Le nuove disposizioni infatti  contengono un miglioramento in materia di tutela dei lavoratori distaccati all’interno dei Paesi della Comunità.
In particolare, viene portata a compimento la disciplina di regolamentazione e di tutela, nonché di prevenzione delle forme elusive per mezzo di un nuovo sistema di controlli che mettono in comunicazione gli organi di vigilanza deputati con i singoli Paesi di provenienza dei lavoratori.
In materia di distacco risulta opportuno sottolineare come la neo introdotta disciplina estenda il concetto fino ad oggi espresso dall’art. 30 del D.Lgs n. 276/2003, superando il limite legato unicamente all’interesse del datore di lavoro distaccante e al carattere di temporaneità del distacco rendendo applicabile tale disciplina  in maniera più completa, a tutti i casi in cui l’impresa invia un lavoratore a svolgere la propria attività presso un’altra impresa.
L’estensione comporta l’ammissibilità, quindi, sia del distacco infragruppo, che di quello operante in presenza di contratto di somministrazione o di appalto.
Un’ulteriore particolarità riguarda proprio le agenzie di somministrazione, le quali non sono tenute all’obbligo di autorizzazione preventiva già previsto dal D. Lgs n. 276/2003, nel caso in cui possano dimostrare di operare nel Paese di provenienza sulla base di un provvedimento amministrativo equivalente.
In materia di condizioni di lavoro e occupazione l’art. 2, lettera e), del D. Lgs n. 136/2016  ha richiamato sia le disposizioni di legge che di contratto collettivo con specifico riferimento all’art. 51, D.Lgs. n. 81/2015 sulle seguenti materie: periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo: il richiamo al D.Lgs. n. 66/2003 ed ai trattamenti migliorativi della contrattazione appare evidente; durata minima delle ferie annuali retribuite (quattro settimane di cui due, a richiesta del lavoratore, consecutive, come si evince dall-art. 10,D.Lgs. n. 66/2003); trattamenti retributivi minimi, compresi quelli maggiorati per lavoro straordinario; condizioni di cessione temporanea dei lavoratori; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008 e normative di settore particolari); provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti e puerpere, bambini e giovani; parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione.
Il Decreto in esame non si occupa solo di fornire i limiti operativi e le regole entro le quali risulta obbligatorio operare, ma mette a disposizione, sul sito del Ministero del lavoro, l’insieme delle notizie necessarie per rispettare operativamente la previsione normativa.
L’elenco ministeriale riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione applicabili ai lavoratori distaccati nel nostro Paese, i contratti collettivi applicabili, con le necessarie informazioni di carattere retributivo; la disciplina in materia di salute e sicurezza sui posti di lavoro; i soggetti cui rivolgersi per avere informazioni sui diritti e gli obblighi derivanti dal Decreto stesso, le procedure per sporgere denuncia.
Fermi i riferimenti normativi di cui sopra ad oggi in base alla normativa comunitaria i lavoratori che si spostano sul territorio dell-Unione europea devono essere soggetti a un’unica legislazione in materia di sicurezza sociale. Il regime di sicurezza sociale applicabile a chi si sposta da uno Stato membro ad un altro per ragioni professionali è, in via generale, quello stabilito dalla legislazione dello Stato membro di occupazione.
Il distacco costituisce una delle ipotesi di deroga al predetto principio poiché in tale fattispecie  il lavoratore resta assoggettato alla legislazione dello Stato di provenienza per tutta la durata del distacco.
Per evitare un utilizzo improprio di tale istituto e per prevenire  possibili abusi l’art. 12 del Regolamento della Comunità Europea n. 883/2004 ha previsto una serie di condizioni che devono sussistere affinchè si configuri un’ipotesi di distacco legittimo.
Nello specifico tali condizioni sono l’esercizio abituale dell’attività nello Stato di invio da parte  e per conto del datore di lavoro distaccante, la durata di tale lavoro non superiore ai 24 mesi e la circostanza fondamentale che il lavoratore non venga inviato in sostituzione di un altro lavoratore giunto al termine del distacco.
Fondamentale importanza riveste inoltre il regime previdenziale applicabile ai lavoratori distaccati da imprese stabilite in uno Stato membro dell’Unione Europea.
A tal proposito esplicativa risulta essere la risposta fornita dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con interpello n. 33/2010 alla Confederazione trasporto, spedizione e logistica (Conftrasporto) in merito alla condizione di lavoro  e al regime previdenziale applicabile ai lavoratori distaccati da imprese stabilite in uno Stato membro dell’Unione Europea.
In tale documento di prassi in particolare è stato ribadito che ai fini della determinazione dell’imponibile previdenziale occorre riferirsi al regime di previdenza contributiva ed assistenziale obbligatoria previsto dalla legislazione del Paese di invio del lavoratore fermo restando che la retribuzione su cui calcolare l’imponibile sarà determinata secondo il principio di parità di trattamento tra lavoratori comunitari e nazionali.
Infatti la disciplina fiscale del rapporto di lavoro prestato all’estero ha origine interna e convenzionale. Sono rilevanti sia le norme contenute nel TUIR sia le Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia, la maggioranza delle quali ricalcano il modello OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – altrimenti OECD).
In particolare il reddito da lavoro dipendente estero segue le stesse regole del lavoro interno dettate dall’articolo 51, commi da 1 a 8 del TUIR, ed è costituito da tutte le somme ed i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di prestazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, salvo l’importante deroga prevista dall’art. 8-bis, il quale prevede che il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di 12 mesi soggiornano nello stato estero, per un periodo superiore a 183 gg., è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il Decreto del Ministero del Lavoro.
Come noto, in base alla normativa vigente in  materia di sicurezza sociale vale il principio generale della lex loci laboris cioè il principio della  territorialità,  secondo  il quale  il lavoratore è soggetto alla legislazione dello Stato nel cui territorio svolge la propria attività. Pertanto nel caso di dipendenti residenti in Italia che svolgono attività di lavoro dipendente sul territorio, i contributi previdenziali e sociali risulteranno dovuti in Italia.
Da un punto di vista fiscale occorre premettere che in base alle principali Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni firmate dall-Italia, viene solitamente stabilito il principio generale della tassazione nello Stato dove l-attività è svolta, cioè dove è prodotto il reddito di lavoro dipendente.
Inoltre, l-art. 3 del D.P.R. n. 917/1986 ha stabilito  che i soggetti fiscalmente residenti in Italia sono tenuti a dichiarare in Italia i redditi ovunque prodotti, mentre i soggetti fiscalmente non residenti in Italia sono tenuti a dichiarare in Italia soltanto i redditi prodotti nel territorio dello Stato.
In base a quanto previsto sia dalla prevalente normativa convenzionale, sia dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I. R), si evince che, il reddito di lavoro dipendente svolto in Italia da contribuenti ivi residenti è interamente assoggettato ad imposizione in Italia.
Occorre quindi definire se l’assunzione di personale dipendente avvenga attraverso una stabile organizzazione in Italia dell’impresa estera ovvero l’assunzione si concreti attraverso un ufficio di rappresentanza in Italia dell’impresa estera.