La Certificazione dei Contratti di Lavoro: effetti e vantaggi nella gestione dei rapporti di lavoro
Alfa, società operante nell’ambito della organizzazione di eventi riceve un accertamento ispettivo teso a verificare la genuinità dei contratti di collaborazione in corso e all’esito dell’accertamento viene notificato ad Alfa un verbale di accertamento e notificazione di illecito per la riqualificazione del rapporto di lavoro in lavoro subordinato del contratto di collaborazione di Caia che aveva di fatto esposto denuncia all’Ispettorato del Lavoro circa la esatta tipologia del rapporto di lavoro in essere con Alfa.
Più in particolare Caia aveva denunciato e chiesto l’accertamento della natura subordinata a tempo indeterminato, nonché l’accertamento dell’illegittimità del contratto a progetto stipulato con Alfa.
Nello specifico Caia, inizialmente assunta a tempo determinato come addetta alla segreteria eventi, aveva successivamente intrattenuto dal 2013 un contratto a progetto quale addetta call center.
Il tutto per effetto di una riorganizzazione posta in essere da Alfa che aveva esternalizzato concedendo in appalto il servizio di programmazione documentale degli eventi stipulando un contratto a progetto con Caia per il servizio di call center outbound circa la promozione di iniziative da offrire sugli eventi in programmazione.
Interpellato il professionista circa la valutazione del verbale di accertamento notificato, quest’ultimo espone le relative considerazioni sulle implicazioni conseguenti rappresentando come si sarebbe potuta arginare la problematica attraverso il ricorso ad una Commissione di Certificazione dei Contratti di lavoro.
Cenni di introduzione alla trattazione
Nella prima parte della trattazione del caso del mese di ottobre, si esamineranno gli aspetti normativi relativi alla Certificazione dei Contratti di lavoro con il conseguente esame degli elementi qualificativi e definitori delle Commissioni di Certificazione.
Particolare attenzione rivestirà l’approfondimento degli elementi di legittimità di una genuina collaborazione a progetto offrendo successivamente al lettore una possibile e prospettabile risoluzione del caso pratico oggetto di trattazione.
CONTESTO NORMATIVO
La certificazione dei contratti di lavoro
La certificazione dei contratti di lavoro, novità assoluta in ambito giuslavoristico è stata una delle novità rilevanti introdotta dal D-lgs. n. 276/2003 (cd. Legge Biagi).
La ratio di tale procedura volontaria è legata principalmente alla necessità di ricondurre la concreta esecuzione di una data prestazione lavorativa ad una delle tipologie contrattuali che il nostro ordinamento riconosce o che comunque la prassi ammette.
Tale riconduzione, risulta tanto più necessaria in quanto ad ogni singola tipologia contrattuale sono connessi effetti civili, amministrativi, previdenziali e fiscali di volta in volta differenti. La certificazione dei contratti di lavoro infatti è stata introdotta nel nostro ordinamento proprio al fine di fornire maggiori certezze al riguardo, rendendo possibile alle parti contraenti il corretto e puntuale inquadramento dell-alveo civile, amministrativo, previdenziale e fiscale nel quale essi si dovranno muovere una volta dato inizio al rapporto stesso.
Nel 2004, con le modifiche introdotte attraverso il D.Lgs. n. 251/2004 si è estesa la certificazione alla qualificazione di tutti i contratti di lavoro, mentre nel 2010, per effetto dell’art. 30, comma 4, della legge n. 183/2010 che ha riscritto, completamente, l’art. 75, il campo di applicazione si e` ulteriormente dilatato atteso che le commissioni possono certificare, su base volontaria, tutti i contratti nei quali direttamente o indirettamente sia dedotta una prestazione di lavoro.
In riferimento agli organi della certificazione la legge ha previsto che la procedura della certificazione dei contratti possa essere svolta da apposite commissioni di certificazione all-uopo istituite presso i seguenti organi:
- Gli Enti bilaterali costituiti sia nell-ambito territoriale di riferimento, sia a livello nazionale;
- Le Direzioni provinciali del lavoro, quali organi periferici del Ministero del lavoro;
- Le Province (enti ai quali sono state devolute le funzioni ed i compiti relativi al collocamento ed alle politiche attive del lavoro ex D.Lgs. n. 469/97);
- Le Università sia pubbliche che private.
Queste ultime, tuttavia, prima di poter operare, sono obbligate a registrarsi presso un apposito albo istituito e tenuto presso il Ministero del lavoro. Ad esse inoltre, come una sorta di dazio dovuto in cambio dell-abilitazione certificativa, è richiesto di tenere costantemente aggiornato il Dicastero del Welfare con studi ed elaborati contenenti gli indici ed i criteri dei quali la giurisprudenza si è avvalsa nel tempo per la qualificazione dei vari rapporti di lavoro.
Le Commissioni di Certificazioni: ambito di applicazione e iter procedurale
Come abbiamo avuto modo di definire in precedenza le Commissioni di Certificazioni sono enti deputati a fornire alle parti un accertamento sulla qualificazione del contratto circa la reale volontà delle parti nell’inserire singole clausole all’interno dei contratti in cui sia dedotta una prestazione di lavoro.
Istituite con il D.lgs. 276/2003 esse hanno assunto, rispetto al quadro delineato dall’originario art. 75, un ambito di competenza molto allargato.
In particolare la finalità dell’istituto, come si legge nella versione novellata dell’art. 75 del D.Lgs. 276/2003 non è più unicamente quella di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, ma di ridurre il contenzioso in materia di lavoro in senso lato.
Tale modifica, di portata potenzialmente estesa, deve essere letta parallelamente all’art. 30, comma 2 della Legge 183/2010, che dispone che nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione.
Proseguendo nell’esame dell’ambito applicativo riservato alle commissioni, si rileva come questo sia possibile per:
a) il c.d. «appalto genuino» sia in sede di appalto che nella fase di attuazione. Ovviamente, tale certificazione non potrà che partire da alcuni concetti fondamentali fissati nell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/ 2003 che fanno riferimento all’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore (non necessariamente di proprietà), all’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati ed al rischio d’impresa a carico dell’appaltatore (cosa che non c’è se lo stesso si limita a fornire soltanto manodopera);
b) i regolamenti delle società cooperative: tale possibilità riservata, fino al 24 novembre 2010, alle sole commissioni di certificazione istituite presso le Province in realtà non è stata mai utilizzata in quanto tali organi collegiali non sono mai stati costituiti. Con l’entrata in vigore della legge n. 183/2010, tutti gli organi di certificazione possono certificare i regolamenti, attraverso i quali, le società cooperative possono, tra le altre cose, ‘‘blindare’’ gli ulteriori rapporti dei soci lavoratori (ulteriori rispetto a quelli associativi), possibili nella forma del rapporto di lavoro subordinato, della collaborazione coordinata e continuativa o in qualsiasi altra modalità, secondo la previsione della legge n. 142/ 2001.
Per quanto attiene gli effetti della certificazione dall’inizio del contratto, si osserva che l’art. 31, comma 17, della legge n. 183/2010, ha aggiunto un ultimo comma all’art. 79 del D.Lgs. n. 276/2003 che statuisce che gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali possibili esperibili ai sensi dell’art. 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari. In particolare è precisato che gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata anche per il periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita».
In tale fattispecie la questione si presenta molto delicata, in quanto l’accertamento dell’organo collegiale discende dal convincimento che il rapporto è stato tale anche in precedenza.
Come evidenziato precedentemente, la procedura di certificazione è volontaria ed è caratterizzata da un iter procedimentale ben determinato: tutta la procedura è condizionata da un’istanza sottoscritta da entrambe le parti e deve concludersi entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza.
A tal proposito il d.lgs. n. 276/2003, all’art. 78, comma 2,ha stabilito gli adempimenti obbligatori, comuni a tutte le Commissioni, necessari per effettuare la certificazione, che constano sostanzialmente: nell’obbligo di motivazione e di conclusione del procedimento nel termine di trenta giorni dal ricevimento dell’istanza; nella indicazione dell’autorità a cui è possibile ricorrere; nella precisazione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali si chiede la certificazione. Secondo questa ultima indicazione, si può sostenere che un contratto si certifichi per diversi fini sostanziali e giuridici e le parti possano scegliere, in piena autonomia, quali, tra questi effetti, certificare.
In particolare l’istanza deve essere corredata dall’originale del contratto sottoscritto dalle parti, contenente i dati anagrafici e fiscali delle stesse.
Una volta ricevuta la richiesta, la Commissione fisserà la data in cui le parti devono comparire davanti alla stessa: la regola è che debbano comparire le parti personalmente, ma queste possono anche delegare un terzo, nel caso di gravi motivi.
Le parti, in ogni caso, possono farsi assistere dalle rispettive associazioni sindacali o da professionisti abilitati.
Va ricordato che l’eventuale assenza anche di una sola delle parti rende improcedibile l’istanza, rendendo così necessaria la presentazione di una nuova domanda. Nello specifico l’audizione delle parti avanti la Commissione di certificazione ha ad oggetto l’assunzione di informazioni sui fatti e sugli elementi dedotti o da dedurre nel contratto di lavoro di cui si chiede la certificazione e la documentazione allegata dalle parti ed i relativi contratti devono essere conservati per almeno cinque anni dalla scadenza del rapporto.
Natura ed effetti giuridici della Certificazione
La certificazione si inquadra nell’ambito degli atti valutativi o di giudizio ed è diretta a produrre certezza sul piano dell’ordinamento generale.
E- evidente che la piena efficacia dell-accordo contrattuale certificato esplichi la propria efficacia anche nei confronti di determinati organismi pubblici, in quanto la procedura di certificazione ha piena forza di legge.
Tale circostanza assume notevole e sostanziale importanza atteso che fino a ieri (ma anche in futuro per tutti quei contratti che non avranno ricevuto la certificazione in parola) era sufficiente un “semplice” atto amministrativo quale, ad esempio, un verbale di accertamento di un qualsiasi organo di vigilanza, per costringere il datore di lavoro a “subire” gli effetti dello stesso atto con le relative conseguenze anche sul piano sanzionatorio e previdenziale.
Adesso, in presenza di un contratto certificato, chiunque non intenda accettarne gli effetti e voglia quindi metterlo in discussione, deve egli stesso impugnarlo richiedendone l-invalidazione innanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro ex art. 413 c.p.c., adducendo i relativi elementi di prova.
Tuttavia occorre ricordare che non sempre è possibile, la contestazione in sede civile. Difatti le ragioni in base alle quali l-art. 80 del D.Lgs. n. 276/03 consente che si possa procedere all-impugnazione dell-atto certificato sono le seguenti: vizi del consenso; erronea qualificazione del contratto e difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione.
Come condizione di procedibilità, tuttavia, la norma in parola prevede che chiunque intenda procedere all-impugnazione in sede civile del contratto certificato debba previamente rivolgersi alla commissione di certificazione che ha adottato l-atto, al fine di espletare un tentativo obbligatorio di conciliazione. L-eventuale soluzione conciliativa adottata in quella sede godrà del carattere dell-inoppugnabilità, essendo la procedura prevista conformata alle previsioni contenute nell-art. 410 c.p.c.
Diversamente non si spiegherebbe il tenore perentorio dell-art. 79, del D.Lgs. n. 276/03 il quale testualmente afferma che gli effetti dell-accertamento dell-organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell-articolo 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari.”.
Nell-eventualità, poi, che il tentativo obbligatorio di conciliazione non vada a buon fine, il passaggio successivo sarebbe l-impugnativa – da parte della Direzione provinciale del lavoro alla quale l-ispettore ovviamente appartiene – dell-atto certificato innanzi al Giudice del lavoro: in sostanza assisteremmo all-instaurazione di una causa civile dove l-attore è l-organo che contesta l-atto (nella fattispecie la DPL ma, come detto, potrebbe trattarsi anche dell-INPS o dell-INAIL), i convenuti sono i contraenti dell-atto certificato e l-oggetto è rappresentato dall-atto di certificazione rilasciato dalla commissione della quale fanno parte, a vario titolo, i rappresentanti della stessa DPL, dell-INPS e dell-INAIL.
Oltre che con ricorso in sede civile, il provvedimento di rilascio (ma ovviamente anche quello di diniego) di certificazione possono essere opposti con ricorso amministrativo al T.A.R. competente per territorio, nel termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento stesso. E- quasi superfluo al riguardo fare presente che l-eventuale impugnazione in questa sede si concretizza esclusivamente nei confronti dell-atto amministrativo, restando ovviamente estraneo a tale ambito il negozio giuridico sottostante al provvedimento amministrativo impugnato.
Effettuate le predette considerazioni di base sull’istituto della Certificazione dei Contratti, ai fini di una completa valutazione del caso in esame risulta utile illustrare gli elementi di legittimità sottesi alla qualificazione di una genuina collaborazione a progetto secondo la vigente normativa.
La legittimità di una genuina collaborazione a progetto
Come noto il decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015 ( Jobs- Act), vigente al 25 giugno 2015 ha fornito una disciplina organica dei contratti di lavoro e una revisione della normativa in tema di mansioni.
In riferimento ai contratti di collaborazione Coordinata e Continuativa (CoCoCo) e ai contratti di collaborazione a progetto (CoCoPro) il decreto ha stabilito dal 1 Gennaio 2016 l’abolizione degli stessi e la commutazione in contratti di lavoro dipendente in tutti i casi in cui la collaborazione consista, in concreto, in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro.
In particolare la legge ha previsto casi in cui le collaborazioni coordinate continuative e a progetto potranno continuare a essere previste:
- nei casi in cui tali collaborazioni siano disciplinate da accordi collettivi stipulati con i sindacati più rappresentativi, a livello nazionale;
- nei casi di prestazioni intellettuali svolte da professionisti iscritti ad albi professionali;
- nei casi di prestazioni fornite da sindaci o da professionisti che compongono collegi o organi di controllo delle società;
- nei casi di lavoratori assunti da associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal Coni.
Si ricorda che il contratto a progetto o contratto di collaborazione a progetto (abbreviato co.co.pro.) è stato un tipo di contratto di lavoro vigente nella legislazione del diritto di lavoro italiana, dal 2003 al 2015.
In particolare l-impianto giuridico che ha introdotto la collaborazione a progetto nasce nel 2003, come parziale superamento della collaborazione coordinata e continuativa.
Tale forma contrattuale ha consistito infatti in una collaborazione coordinata e continuativa svolta in modo prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione per la realizzazione di uno o più progetti specifici determinati dal committente.
In tale forma contrattuale infatti l’assenza di un vero e proprio vincolo di subordinazione gerarchica rimaneva il criterio distintivo essenziale sul piano giuridico rispetto alla disciplina del lavoro subordinato, allo stesso tempo è altrettanto vero, che la dipendenza economica e l’inserimento nell’organizzazione aziendale, erano gli aspetti concretamente più visibili e più sentiti socialmente del lavoro subordinato.
Se si considera inoltre che l’inserimento organico, la mono-committenza e l’assenza di una propria organizzazione imprenditoriale e strumentazione di lavoro erano considerati dalla giurisprudenza indici sintomatici della sussistenza di una vincolo di subordinazione, si comprende bene l’esigenza di una migliore definizione dei tratti distintivi di questa figura contrattuale, rispetto al lavoro subordinato, al duplice scopo di contenerne i possibili abusi e ridurre il contenzioso giudiziario.
Il D.lgs 81/15 Jobs Act abrogando il contratto a progetto, cocopro, ha tuttavia salvato con l’art. 409 del c.c., i rapporti di collaborazione che si concretizzano in una prestazione continuativa e coordinata prevalentemente personale.
Con la circolare n. 3 del 1° febbraio 2016, la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, ha provveduto a fornire i primi chiarimenti ed indicazioni e in esse, tra l’altro è stato precisato innanzitutto che, in base a quanto previsto dall’art. 2 del DLgs 81/15, il rapporto di lavoro subordinato si concretizza quando la collaborazione è in realtà, una prestazione di lavoro esclusivamente personale e continuativa, organizzata nella sua esecuzione dal committente anche in termini dei tempi e luogo di lavoro; in questo caso si parla pertanto di cd. collaborazioni etero-organizzate.
Ciò significa quindi, che quando il collaboratore si trova a lavorare in un-azienda nella quale è tenuto a sottostare a determinati orari e a prestare la sua attività presso luoghi di lavoro decisi dal committente, tale attività lavorativa si configura come rapporto di lavoro subordinato.
Non solo, il Dicastero nella circolare ha chiarito che per prestazioni di lavoro esclusivamente personali si devono intendere le prestazioni svolte personalmente dal titolare del rapporto, senza l’ausilio di altri soggetti e che le prestazioni continuative si riferiscono ad un-attività in un determinato lasso di tempo, al fine di conseguire una reale utilità.
Ne consegue quindi, eccezion fatta per le deroghe innanzi esplicate, che alle collaborazioni organizzate dal committente, che siano quindi etero-organizzate ed esclusivamente personali e continuative sia applicata la normativa del rapporto di lavoro subordinato.
Come innanzi esplicato, tra le deroghe relative alla stipula di un contratto a progetto ricade la stipula di contratti di collaborazioni stabilite da accordi collettivi nazionali stipulati dalle sigle sindacali più rappresentative a livello nazionale che ne prevedono il trattamento economico e normativo, in base alle particolari esigenze produttive ed economiche del settore.
In tale categoria rientrano le grandi e piccole aziende di call center outbound che possono continuare ad applicare questa tipologia contrattuale qualora sia stato stipulato un Accordo Collettivo Nazionale.
Implicazioni conseguenti alla interazione dei principi normativi in relazione al caso pratico
Nel caso oggetto di approfondimento alla società Alfa viene notificato un accertamento ispettivo teso a verificare la genuinità dei contratti di collaborazione in corso e all’esito dell’accertamento viene notificato un verbale di accertamento e notificazione di illecito per la riqualificazione del rapporto di lavoro in lavoro subordinato della collaborazione di Caia che aveva di fatto esposto denuncia all’Ispettorato del Lavoro circa la tipologia del rapporto di lavoro in essere con Alfa.
Più propriamente Caia era stata inizialmente assunta a tempo determinato per poi intrattenere dal 2013 un contratto a progetto a seguito del processo di esternalizzazione dell’attività ad opera della società datrice di lavoro.
Nella realtà contemporanea sempre più frequentemente accade che sussistano difficoltà nell’individuazione della corretta tipologia, contrattuale a causa della molteplicità dei contratti spesso circondati da un alea definitoria.
Ed è proprio per ovviare a tale difficoltà che nel nostro ordinamento è stata introdotta la procedura di certificazione dei contratti di lavoro.
Spesso accade nella realtà che in fase di verifica ispettiva un determinato contratto di lavoro così come voluto dalle parti venga ricondotto da parte degli organi di vigilanza ad una diversa tipologia contrattuale oppure come nel caso sottoposto al nostro esame che una lavoratrice rivendichi, dietro denuncia all’Ispettorato il riconoscimento di diritti che sono propri di un’altra fattispecie contrattuale.
La certificazione dei contratti interviene proprio per evitare di incorrere in queste situazioni incresciose e onerose soprattutto per il datore di lavoro.
Infatti nel momento in cui un contratto acquisisce il visto di certificazione da parte dell’apposita commissione, esso acquista piena forza legale sia tra le parti sia nei confronti dei terzi.
Da ciò consegue che, gli effetti civili, previdenziali, amministrativi, fiscali, del contratto così certificato permangono, anche nei confronti dei terzi fintanto che non sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili, fatti ovviamente salvi eventuali provvedimenti cautelari assunti dall-organo giurisdizionale adito.
Il contratto di lavoro “semplice”, rispetto al contratto di lavoro certificato, si differenzia massimamente proprio per il fatto che solo il secondo produce effetti anche verso i terzi proprio in quanto la certificazione conferisce al contratto una “certificazione” relativa ai fatti ai fatti certificati, cosicchè, fino alla pronuncia del giudice in primo grado, le parti e i terzi sono vincolati alle risultanze dell’atto di certificazione, ne subiscono gli effetti e non possono opporvisi. Nell’ambito di questa previsione si colloca il principio di resistenza della Certificazione del contratto anche nei confronti dell’organo di vigilanza che intende verificare la corretta qualificazione del contratto certificato. A seguito della direttiva indirizzata al personale ispettivo del 18 settembre 2008, emanata dal Ministro del lavoro, si deve osservare che, sebbene la legge non precluda la possibilità di accertamento da parte dell’organo ispettivo nei riguardi del contratto certificato, al fine di razionalizzare l’utilizzo delle risorse pubbliche gli ispettori del lavoro sono invitati a programmare, qualora non sussista una specifica denuncia da parte del lavoratore interessato, attività di vigilanza nei riguardi dei rapporti di lavoro che si basano su contratti non certificati. In tale effetto può ravvedersi l’interesse maggiore da parte dei datori di lavoro nel ricorrere alla certificazione. Infatti, come noto, a fronte di un ordinario potere di accertamento della qualificazione del contratto di lavoro e del contratto di appalto da parte degli ispettori, nel caso della certificazione, in ogni caso gli effetti perdurano anche nei confronti dei terzi, e dunque anche degli ispettori del lavoro, i quali, anche qualora intendessero superare lo schermo legale della certificazione, avrebbero comunque, indipendentemente dalla direttiva del Ministro, l’onere di promuovere un tentativo obbligatorio di conciliazione presso la stessa commissione che ha certificato il contratto, per poi poter procedere, in caso di mancata conciliazione, a proporre un ricorso giurisdizionale.
Risoluzione caso pratico
Alla luce delle premesse normative esposte in precedenza risulta utile puntualizzare che la società Alfa non ha provveduto ad adottare la procedura della Certificazione dei Contratti esponendosi così alle conseguenze relative all’accertamento ispettivo teso a verificare la genuinità del contratto di collaborazione instaurato con Caia che chiedeva l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il contratto certificato, così come precedentemente chiarito ha piena forza di legge e tale circostanza assume notevole e sostanziale importanza atteso che in mancanza dello stesso risulta essere sufficiente un “semplice” atto amministrativo quale, ad esempio, un verbale di accertamento di un qualsiasi organo di vigilanza, per costringere il datore di lavoro a “subire” gli effetti dello stesso atto con le relative conseguenze anche sul piano sanzionatorio e previdenziale.
Nel caso di specie infatti l’adozione di una certificazione del contratto avrebbe garantito la concreta assimilazione della collaborazione lavorativa ad una delle tipologie contrattuali legislativamente previste.
Orbene, Alfa ha fatto ricorso ad una collaborazione ex art. 409 cpc. nell’ambito di un servizio di attività di call center out-bound che, secondo le condizioni previste dal decreto 81/2015 risulta praticabile ed assimilabile secondo quanto sopra esaminato e sempre nell’ambito del rispetto dei principi di assenza di etero-organizzazione e di indicazione di tempo e luogo di esecuzione della prestazione lavorativa.
Nel caso di specie, la società ha affidato a Caia nel complesso processo riorganizzativo interno che ha tra l’altro condotto Alfa ad una modifica dell’oggetto sociale con possibilità di svolgimento di servizi call center out-bound, l’incarico di un’attività promozionale di specifiche campagne in assenza di una predeterminazione di tempi e luoghi di esecuzione della prestazione e, nell’ambito di una specifica previsione di contrattazione collettiva applicata, espressamente prevedente la possibilità di ricorrervi alla presenza delle condizioni esposte.
Alla luce delle condizioni normative sussistenti in base alle quali Alfa ha ritenuto di ricorrere alla collaborazione in argomento sulla considerazione della sussistenza dei presupposti di legittimità della collaborazione ai sensi dell’art. 409 cpc in linea alle previsioni di cui al D.Lgs 81/2015, la società non potrà che valutare di promuovere un ricorso amministrativo al verbale di accertamento notificato contro le cui contestazioni eccepire che per le modalità in cui si è svolta la collaborazione, avente peraltro ad oggetto attività del tutto differenti rispetto al pregresso rapporto di tipo subordinato con il quale non può sussistere alcuna assimilazione di tipologia del contratto, sussistevano tutti gli elementi per la qualificazione di una genuina collaborazione.
Nello specifico le contestazioni saranno rivolte a richiedere tanto l’accertamento della legittima collaborazione ai sensi dell’art. 17 del d.lgs 124/04, tanto ad ottenere l’annullamento delle relative sanzioni comminate ai sensi dell’art. 18 L. 689/81.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto è evidente, pertanto che l’opposizione al verbale di accertamento, con tutte le variabili sottese ad un possibile riconoscimento in sede amministrativa delle ragioni a difesa da parte di Alfa, costituisce l’immediata e più diretta azione da intraprendere, mentre evidentemente la certificazione del contratto di collaborazione di Caia presso un’apposita Commissione di Certificazione ben avrebbe potuto evitare ad Alfa le criticità conseguenti alla contestazione della violazione amministrativa rispetto alla esatta qualificazione del rapporto di collaborazione.