Dimissioni per giusta causa

Simplicio, titolare dell’azienda manufatturiera Beta, assiste all’interno della sua azienda ad un diverbio tra due collaboratori, Tizio e Caio, i quali animatamente si scambiano accuse reciproche su un difetto di un capo uscito dalla linea di produzione cui erano adibiti.
Simplicio decide di intervenire allorquando sorprende Caio lanciare offese di carattere discriminatorio di genere nei riguardi del collega Tizio, intimandogli di allontanarsi dal posto di lavoro e di non ripresentarsi in azienda se non dietro presentazione di scuse formali nei riguardi del collega.
 Simplicio, onde conformare la prestazione lavorativa, attiva ad ogni modo un procedimento disciplinare nei riguardi dei lavoratori e Caio fa pervenire, alla ricezione della nota di contestazione disciplinare, una nota di dimissioni per giusta causa con motivazione: minacce da parte del datore di lavoro.
 Simplicio stupefatto di quanto ricevuto, chiede conforto e consiglio sul da farsi al proprio professionista di riferimento.

CONTESTO NORMATIVO

Le dimissioni per giusta causa

 Come noto, il dipendente a tempo indeterminato deve comunicare al datore la sua intenzione di dimettersi con un congruo anticipo, definito periodo di preavviso (la cui durata è fissata dal contratto collettivo applicato), tale da consentire all’azienda di trovare un sostituto.
Nelle dimissioni per giusta causa, invece, la legge (art. 2119 Codice Civile) consente al dipendente di interrompere immediatamente il rapporto senza dare un preavviso. Nel caso di dimissioni per giusta causa, il lavoratore oltre a non dover corrispondere l’indennità di mancato preavviso ha diritto a percepirla egli stesso, nonché a beneficiare dell’indennità di disoccupazione (a partire dal 2015 divenuta  NASPI) qualora ne ricorrano i presupposti.
Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.
Tuttavia non è sempre possibile dare le dimissioni con questa procedura, ma la decisione deve essere determinata da un comportamento del datore talmente grave da non consentire nemmeno la prosecuzione temporanea del rapporto durante il periodo di preavviso.
Si ritiene che il lavoratore possa rassegnare le dimissioni per giusta causa sia sulla base di fatti attinenti al rapporto di lavoro, che di fatti ad esso estranei. Nel primo caso, la circostanza rilevante consiste in un inadempimento contrattuale del datore di lavoro tanto grave da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto. Nel secondo, invece, la giusta causa viene ravvisata, a titolo esemplificativo, in un impedimento personale del dipendente che non gli permette di svolgere i propri compiti, oppure in talune circostanze particolari -connesse per esempio alla natura dell’attività lavorativa o all’ambiente di lavoro – che rendono la prosecuzione del rapporto di lavoro “intollerabile” per il lavoratore.
E’ la giurisprudenza ad aver individuato i casi di dimissioni per giusta causa,
 e quindi specificamente, tra le causali di dimissioni per giusta causa individuate dai giudici vi sono:

  • mancato o ritardato pagamento della  retribuzione
  • omesso versamento dei contributi  
  • comportamento ingiurioso del superiore gerarchico verso il dipendente
  • pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite da parte del lavoratore
  •  mobbing
  • aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro
  • modificazioni peggiorative delle mansioni  lavorative
  • spostamento del lavoratore da una sede all’altra senza che vi siano “comprovate ragioni tecniche organizzative e produttive” come richiesto dall’articolo 2103 del codice civile
  • inadempimento datoriale in materia di salute e sicurezza sul lavoro che abbia comportato seri pregiudizi allo satto di salute del prestatore di lavoro.

Inoltre, nel comma 4 dell’art. 2112 del codice civile è prevista un’ipotesi espressa di dimissioni per giusta causa a favore dei dipendenti di un’azienda ceduta. In questo caso, il dipendente può interrompere il proprio rapporto di lavoro in tronco entro tre mesi dal trasferimento d’azienda qualora, in seguito ad esso, vi siano state delle “sostanziali modifiche” delle condizioni di lavoro, indipendentemente dal verificarsi di un evento formalmente qualificabile come giusta causa. Ciò può avvenire non solo in presenza di ciascuno dei casi individuati dalla giurisprudenza, ma anche conseguentemente alla sostituzione del contratto collettivo precedentemente applicato all’impresa. Infatti, è possibile che in seguito alla cessione venga applicato un nuovo contratto collettivo -di pari livello- che preveda delle condizioni di lavoro considerevolmente diverse rispetto a quelle applicate anteriormente. La modifica rilevante, in sintesi, non deve necessariamente riguardare le mansioni svolte dal dipendente, ma può sostanziarsi nel mutamento di una qualsiasi circostanza che incida significativamente sullo svolgimento della prestazione lavorativa. Fanno eccezione in questo caso, le legittime ipotesi di demansionamneto previste dal Jobs Act e l’inidoneità accertata dal medico competente a seguito di visita sanitaria ad adibizione a mansioni inferiori conseguenti, con la conservazione del trattamento economico.
Il lavoratore che rassegna le dimissioni per giusta causa diviene titolare di una serie di diritti:

  • l’indennità sostitutiva del preavviso, nel caso in cui si tratti di un rapporto a tempo indeterminato. In questo caso, il lavoratore ha diritto a percepire un’indennità economica rapportata alla retribuzione normalmente spettante che avrebbe dovuto essergli corrisposta durante il periodo di preavviso;
  • la Nuova prestazione dell’assicurazione sociale per l’impiego (NASPI) – nel caso in cui sussistano i presupposti. Infatti, nel comma 2 dell’articolo 3 del decreto legislativo n. 22/2015 si afferma che la NASPI viene erogata anche a coloro che hanno rassegnato le proprie dimissioni in presenza di una giusta causa. Il legislatore, dunque, ha espressamente aderito all’indirizzo interpretativo della Corte Costituzionale che già con la fondamentale sentenza n. 269/2002 aveva riconosciuto come in questo caso lo stato di disoccupazione conseguente alle dimissioni non dipendesse dalla volontà del lavoratore e, dunque, si fosse in presenza di un’ipotesi di disoccupazione involontaria legittimante la percezione della relativa indennità.
  • il risarcimento per il danno patrimoniale subito – nel caso di contratto a tempo determinato o a tempo indeterminato con una clausola di stabilità. Il risarcimento si calcola con riferimento alla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se il contratto non fosse stato interrotto prematuramente;
  • Il risarcimento per il danno non patrimoniale nel caso in cui la giusta causa di dimissioni si sia concretizzata anche in una obiettiva lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore.

Il datore di lavoro, invece, oltre a dover corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, è anche tenuto a versare il contributo addizionale di recesso all’INPS in tutti i casi previsti dalla legge.

IMPLICAZIONI

Nella vicenda oggetto di approfondimento, Simplicio, titolare di un’azienda manifatturiera, assiste all’interno della sua azienda ad un divebio tra due dei suoi dipendenti ed allorquando sorprende Caio  rivolgere offese di carattere discriminatorio nei confronti del collega Tizio gli intima di allontanarsi dal posto di lavoro attivando un procedimento disciplinare nei suoi confronti  e nei riguardi del collega.
Caio fa pervenire al suo datore di lavoro una nota di dimissioni per giusta causa motivate dall’aver ricevuto minacce da parte del datore di lavoro.
Come abbiamo avuto modo di precisare, le dimissioni per giusta causa, secondo la legge ricorrono quando la parte del rapporto di lavoro recede perché si verifica una causa che non consente la prosecuzione, nemmeno momentanea, del rapporto di lavoro. Il lavoratore dimissionario non deve rispettare l’obbligo di preavviso e, anzi, ha diritto a ricevere dal datore di lavoro l’indennità sostitutiva del preavviso.
La NASpI spetta  infatti ai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perduto involontariamente l’occupazione”: questa definizione, però, non esclude a priori coloro che hanno presentato volontariamente le dimissioni i quali – ma solamente in alcuni casi – potrebbero comunque avere diritto all’indennità di disoccupazione. Ha comunque diritto alla Naspi, qualora ne soddisfi gli altri requisiti dettati dalla misura – il dipendente che dà le dimissioni per giusta causa.
Infatti, anche se nelle dimissioni per giusta causa è il dipendente a decidere di abbandonare il posto di lavoro, questa decisione è legata a fattori indipendenti dalla sua volontà. A confermarlo è stata la Corte Costituzionale nella sentenza 269/2002 – alla quale l’Inps si è conformata con la  circolare 97/2003 – con la quale è stato chiarito che nelle dimissioni per giusta causa “le dimissioni non sono riconducibili alla libera scelta del lavoratore poiché sono indotte da comportamenti altrui, idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro e quindi comportano uno stato di disoccupazione involontaria”
Lo stato di disoccupazione, necessario quindi  per ottenere l’ indennità di disoccupazione Naspi, deve essere involontario. Quindi, per poter godere dello stato di disoccupazione, in linea generale, è necessario che il rapporto di lavoro non sia terminato a causa di dimissioni o consenso volontario.Ma come abbiamo appena visto ci sono alcuni casi che fanno eccezione, tra cui le dimissioni per “giusta causa”. Parlando di dimissioni, l’ex lavoratore ha comunque diritto alla Naspi se le dimissioni sono avvenute per giusta causa.È bene specificare però che la perdita del lavoro per cause indipendenti dalla propria volontà non è l’unico requisito da soddisfare per avere diritto all’indennità di disoccupazione. Questa, infatti, è riconosciuta solamente ai dipendenti che possono vantare 13 settimane contributive negli ultimi 4 anni, e che hanno lavorato per almeno 30 giorni negli ultimi 12 mesi.
In base al decreto legislativo n. 151 del 14 settembre 2015, le dimissioni devono essere sempre formalizzate per via telematica, compilando i moduli disponibili sul sito del Ministero del Lavoro. I relativi moduli saranno poi trasmessi al datore di lavoro. Le dimissioni devono essere date per via tel telematica anche in caso siano motivate da giusta causa. Gli unici casi in cui tale procedura non è necessaria, qualunque sia il motivo per cui ci si licenzia, sono infatti: dimissioni durante il periodo di prova; licenziamento volontario da un rapporto di lavoro di pubblico impiego; cessazione volontaria del rapporto di lavoro presentata dalla lavoratrice durante la gravidanza o nei primi 3 anni di vita del bambino; risoluzione di un rapporto di lavoro domestico. Poiché non c’è termine di preavviso, le dimissioni per giusta causa hanno effetto immediato ma scattano non appena vengono comunicate.


RISOLUZIONE SECONDO  NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell ‘approfondimento dunque, l’art. 2119 del codice civile prevede che il dipendente possa dimettersi per giusta causa con effetto immediato quando un grave inadempimento od omissione del datore non consenta  neanche la prosecuzione provvisoria del rapporto di lavoro. In tale fattisfecie dunque, imputandosi al datore la cessazione del rappporto, il lavoratore dimissionario ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso.
Inoltre il lavoratore, ha diritto a ricevere il sussidio di disoccupazione (Naspi), secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n.269/2002, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 5, L 448/1998, e affermato il principio per cui le dimissioni per giusta causa non sono riconducibili alla libera scelta del lavoratore – in quanto indotte da comportamenti altrui idonei ad integrare la condizione di improseguibilità del rapporto di lavoro – e comportano, quindi, uno stato di disoccupazione involontaria, per cui devono ritenersi non comprese nell’ambito operativo del citato articolo 34, comma 5.Sul fronte datoriale, la qualificazione delle dimissioni per giusta causa può comportare il pagamento del contributo del c.d. ticket di licenziamento introdotto dalla Legge Fornero (L. 92/2012), come se si trattasse di un licenziamento.
La questione assume connotati delicati quando si tratta di dover individuare cosa determini una giusta causa di dimisssioni e cosa no. In particolare, il datore di lavoro che riceve le dimissioni per giusta causa, si troverà di fronte al problema di come qualificare le stesse al momento della comunicazione obbligatoria agli Enti deputati alla cessazione del rapporto, nel caso ritenga che la giusta causa non sussista, al fine di evitare il pagamento del contributo di cui si è detto. Dall’altro lato il lavoratore insisterà a farsi riconoscere il sussidio di disoccupazione,ritenendo le dimissioni imputabili al datore di lavoro.
Nella maggior parte dei casi infatti sorgerà un contrasto tra dipendente e datore di lavoro in relazione all’effettiva sussistenza di comportamneti di quest’ultimo che giustificano la giusta causa.
Laddove infatti il datore di lavoro non corrisponda l’indennità sostitutiva del preavviso o magari la trattenga, secondo il principio dettato per le dimissioni volontarie, il lavoratore promuoverà ricorso  in giudizio per ottenerla, e sarà il giudice a decidere se ricorrano o meno i presupposti di legge. Nel frattempo il lavoratore che ne abbia interesse si rivolgerà all’Inps per ottenere l’indennità di disoccupazione assumendo l’involontarietà della cessazione del rapporto.Il lavoratore in simili circostanze comunicherà l’esito della controversia:se il giudice non riconosce la giusta causa l’Inps recupererà l’indennità eventualmente corrisposta così come avviene nel caso in cui il lavoratore a seguito di licenziamneto giudicato illegittimo, venga reintegrato nel posto di lavoro.
In assenza di prove concrete di una giusta causa di dimissioni infatti, il lavoratore non potrà pretendere il trattamento di disoccupazione: uno spunto riflessivo in tal senso si rinviene altresì in una recente sentenza giurisprudenziale, la n. 17303/2016.
Nel caso specifico la Corte è stata chiamata ad esprimersi sul caso di un lavoratore che aveva lamentato l’impossibilità di progressione in carriera e di crescita professionale nei confronti dell’azienda presso cui lavorava, conflitto che conduceva a delle negoziazioni tra le parti che si concliudevano con la consensuale risoluzione del rapporto di lavoro. L’Inps rigettava la concessione dell’indennità di disoccupazione al lavoratore , il quale presentava ricorso avverso la decisione dell’Ente , vedendosi però respingere la domanda in tutti i gradi di giudizio. 

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque,  sussistono determinate ipotesi per la sussistenza della giusta causa di dimissioni, così come specificato dalla giurisprudenza.
In particolare, il datore di lavoro che riceve le dimissioni per giusta causa, si troverà di fronte al problema di come qualificare le stesse al momento della comunicazione obbligatoria agli Enti deputati alla cessazione del rapporto, nel caso ritenga che la giusta causa non sussista, al fine di evitare il pagamento del contributo di cui si è detto. Dall’altro lato il lavoratore insisterà a farsi riconoscere il sussidio di disoccupazione,ritenendo le dimissioni imputabili al datore di lavoro.
In tale caso dunque il lavoratore ricorrerà in giudizio per far accertare la giusta causa di  dimissioni ed il datore potrà difendersi con tutti i mezzi previsti dall’ordinamento.
Lla giurisprudenza ha affermato che in riferimento alle dimissioni per giusta causa non sussiste un obbligo di immediata qualificazione delle dimissioni per giusta causa  ma ciò non esclude che il comportamento del lavoratore che adduca solo successivamente l’esistenza di una giusta causa possa essere valutato dal giudice come ostativo all’effettiva esistenza di gravi motivi di recesso ai sensi dell’art. 2129 cod.civ. Solo qualora il giudice dichiari infatti la sussistenza della giusta causa il datore sarà tenuto a corrispondere al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso e il contributo per la disoccupazione.