Cambio appalto nella normativa emergenziale
Lambda, società operante nel settore dell’edilizia, nel luglio di quest’anno, come da clausola del contratto di appalto, subentra come ditta incaricata di svolgere lavori di ristrutturazione nel condominio Omega.
La società Lambda, nell’ambito dell’organizzazione delle risorse umane da impiegare, ritiene di non dover utilizzare tutti i dipendenti della società subentrata e chiede al suo professionista di riferimento se possa essere concreta la possibilità di procedere al licenziamento di n. 2 lavoratori, stante il divieto di licenziamento previsto dalle recenti normative emanate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid 19.
CONTESTO NORMATIVO
Il divieto di licenziamento nella normativa emergenziale
Come noto, una delle misure più discusse della normativa emanata per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 è stata l’introduzione del divieto di licenziamento individuale e collettivo. Si tratta di una previsione che nel corso di otto mesi ha subito diverse modifiche: il Legislatore, partendo da un rigido divieto che non ammetteva – salvo rare eccezioni – deroghe di alcun tipo, si è progressivamente ravveduto, introducendo significativi temperamenti in modo da conciliare la straordinarietà della norma con la libertà di iniziativa economica privata, costituzionalmente garantita.
Al fine di preservare i posti di lavoro e di evitare che l’emergenza sanitaria da Covid-19, con la conseguente crisi economica, potesse imporre ai datori di lavoro la riduzione del personale in forza, il Legislatore, infatti – parallelamente al potenziamento degli ordinari ammortizzatori sociali e ad alcune modifiche in materia di contratti flessibili – ha previsto un chiaro divieto di procedere a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e collettivi.Ma andiamo con ordine.
Preliminarmente occorre ricordare quali erano considerate dalla prevalente dottrina le eccezioni al divieto di licenziamento anche prima dell’entrata in vigore dei decreti emergenziali:, sono e sono sempre stati infatti estranei al divieto di licenziamento:
· i licenziamenti disciplinari ossia per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Trattasi di recessi motivati cioè da gravi violazioni delle norme di legge e di contratto che rendono impossibile il proseguimento del rapporto di lavoro;
· i licenziamenti determinati dal superamento del periodo di comporto;
· i licenziamenti dei dirigenti;
· i licenziamenti durante o al termine del periodo di prova;
· i licenziamenti dei lavoratori domestici;
· i licenziamenti dei collaboratori coordinati e continuativi;
· la risoluzione del rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo.
L’INL ha precisato inoltre che rientra nella sospensione del licenziamento anche l’ipotesi della sopravvenuta inidoneità alla mansione. Quest’ultima impone al datore di lavoro la verifica in ordine alla possibilità di ricollocare il lavoratore in attività diverse riconducibili a mansioni equivalenti o inferiori; l’obbligo di repêchage rende, pertanto, la fattispecie in esame del tutto assimilabile alle altre ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in quanto tali precluse.
in riferimento alla normativa emergenziale inizialmente, è stato l’art. 46 del D.L. n. 18/2020, c.d. Decreto Cura Italia, come integrato e modificato dall’art. 80 del Decreto Rilancio n. 34/2020, a disporre che a decorrere dal 17 marzo e fino al 17 agosto 2020:
· fosse precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo;
· fossero sospese le procedure pendenti di cui sopra avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020;
· fossero preclusi i recessi per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1966;
· fossero sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966.
Soffermandoci sul divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, giova ricordare che con tale terminologia si fa riferimento a:
· ragioni inerenti all’attività produttiva (ad esempio: diminuzione del fatturato, attività ridotta o soppressa a seguito di esternalizzazione e così via);
· ragioni inerenti al regolare funzionamento aziendale.
In seguito, con l’art. 14 del D.L. n. 104/2020, c.d. Decreto Agosto, il Legislatore ha prorogato il divieto di cui sopra a far data dal 15 agosto 2020 e, mitigandone la rigidità, ha previsto che a certe condizioni i datori di lavoro possano non rispettarlo.
In particolare, per non rientrare nel divieto, i datori:
· debbono aver integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da Covid-19 di cui all’art. 1 del medesimo decreto. Trattasi di 18 settimane complessive collocate nel periodo compreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020;
· oppure debbono aver integralmente fruito dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali. Questo sgravio è riconosciuto, per un massimo di 4 mesi, esclusivamente ai datori di lavoro che abbiano fruito di cassa integrazione a maggio e giugno 2020 ma che non abbiano fatto ricorso agli ammortizzatori ex Decreto Agosto.
Ciò significa che la data in cui viene meno il divieto di licenziamento non è uguale per tutti ma dipende dalla situazione in cui si trova ciascuna azienda. Certo è che il termine ultimo del divieto – stando al testo del D.L. n. 104/2020 – è dato dal 31 dicembre 2020.
Il decreto n. 104/2020 ha introdotto quindi rispetto ai precedenti decreti, un elenco di casistiche in cui il datore può legittimamente procedere con i recessi, indipendentemente dall’integrale fruizione dei trattamenti di integrazione salariale o dell’esonero contributivo:
· licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività, con messa in liquidazione della società senza alcuna continuazione, anche parziale, dell’attività;
· nelle ipotesi di accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
· licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.
Anche l’articolo 46, al pari di quanto avviene con l’articolo 14, D.L. 104/2020, faceva
“salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto”.
Con il c.d. decreto Ristori, decreto 137/2020 è stato prorogato al 31 gennaio 2021 il divieto di licenziamento sopra illustrato: tale data non è casuale in quanto coincidente con due eventi particolarmente rilevanti:
1. la fine dello stato di emergenza;
2. il termine entro cui sarà possibile fruire degli ulteriori ammortizzatori sociali previsti dallo stesso decreto Ristori.
Entro il medesimo termine, restano sospese altresì le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte sempre salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto di appalto.
IMPLICAZIONI
Nella vicenda oggetto di approfondimento, Lambda, società operante nel settore dell’edilizia, nel luglio di quest’anno, come da clausola del contratto di appalto, subentra come ditta incaricata di svolgere lavori di ristrutturazione nel condominio Omega.
La società Lambda, nell’ambito dell’organizzazione delle risorse umane da impiegare, ritiene di non dover utilizzare tutti i dipendenti della società subentrata e chiede al suo professionista di riferimento se possa essere concreta la possibilità di procedere al licenziamento di n. 2 lavoratori, stante il divieto di licenziamento previsto dalle recenti normative emanate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid 19.
Come emerge dal tenore letterale delle disposizioni sopra richiamate, restano fuori dal perimetro del divieto di licenziamento le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia assunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto d’appalto.
Come noto, a seguito della modifica intervenuta per effetto della L. 122/2016, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea – Legge europea 2015-2016”, il vigente testo dell’articolo 29 comma 3, D.Lgs. 276/2003, stabilisce che l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda.
Va da sé che laddove, invece, non sussistano i richiamati elementi di discontinuità, i lavoratori potranno invocare direttamente il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il subentrante, ai sensi dell’articolo 2112, cod. civ..
Sul tema della continuità d’azienda la Cassazione, ha più volte affermato che l’identità dell’impresa sussiste quando permangono gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici funzionalizzatiall’esercizio stabile e continuativo di attività economica in forma d’impresa, avendo riguardo, tuttavia, al tipo – più o meno dematerializzato – di azienda trasferita.
Una volta quindi accertato che si tratti di cambio appalto occorre verificare i casi in cui il subentrante è tenuto ad assumere i lavoratori impiegati nell’appalto in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto d’appalto: tali ipotesi, infatti, fungono da tutela in termini occupazionali in caso di cambio appalto.
Si potrebbero manifestare altresì ipotesi in cui si verifica la soppressione di uno specifico servizio legato alla cessazione di un appalto, che non si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, ed in tali ipotesi il nesso causale tra detta ragione e la soppressione del posto di lavoro è già idoneo di per sé a individuare il personale da licenziare, senza che si renda necessaria la comparazione con altri lavoratori dell’azienda e l’applicazione dei criteri previsti dall’articolo 5, L. 223/1991: ciò trova conferma normativa nell’articolo 24 comma 4, L. 223/1991, che esclude i licenziamenti per fine delle lavorazioni edili dall’applicazione della disciplina dei licenziamenti collettivi, quand’anche il numero dei licenziamenti ecceda la soglia dei 5 nei 120 giorni e ricorrano anche gli altri requisiti di applicabilità della disciplina, conferme che non sono tardate ad arrivare anche con la giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 8506/2000) secondo cui nella nozione di “fine lavoro nelle costruzioni edili” – per la quale l’articolo 24 L. 23 luglio 1991 n. 223 esclude l’applicabilità delle procedure per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, dovendosi applicare invece la disciplina del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo – rientra anche l’esaurimento di una fase dei lavori, in conseguenza del quale possono essere licenziati i dipendenti che siano stati addetti solo a tale fase, qualora sia impossibile il loro impiego in altre mansioni”.
RISOLUZIONE SECONDO NORMA
Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, Lambda, come da clausola del contratto di appalto, subentra come ditta incaricata di svolgere lavori di ristrutturazione nel condominio Omega.
Per ovviare alle conseguenze della perdita dell’occupazione in caso di cambio appalti, infatti,alcuni contratti collettivi, con particolare riferimento a quelli relativi a settori caratterizzati dal susseguirsi di appalti stabiliscono un impegno dell’imprenditore subentrante ad assumere i lavoratori in organico nell’appalto, con un parallelo obbligo dell’imprenditore uscente di comunicare al subentrante i nominativi di tali lavoratori.
La giurisprudenza ha ritenuto che la fattispecie di cambio di appalto rappresenti esclusivamente un avvicendamento nella gestione di un appalto che eventualmente preveda delle clausole sociali di stabilità occupazionale. Ciò posto, le clausole sociali contenenti un impegno all’assunzione darebbero vita a uno specifico diritto di opzione; mentre, in assenza di siffatto impegno, il diritto contrattualmente previsto di dare la precedenza, in sede di assunzione del personale,ai lavoratori già in forza presso l’appalto, compatibilmente con le esigenze tecnico organizzative e di manodopera, sarebbe da ricondurre all’istituto della prelazione (Tribunale di Milano, 6 settembre 2018).Una volta quindi che si escluda che il licenziamento sia il fatto costitutivo per far scattare il diritto all’assunzione derivante dalla clausola sociale, il datore di lavoro uscente è sempre tenuto a indicare le ragioni del licenziamento e l’impossibilità di reimpiegare il lavoratore, visto che l’operatività della clausola sociale non sottrae il licenziamento alla possibile impugnazione del lavoratore e al sindacato giudiziale in ordine alla giustificatezza dello stesso.
Come abbiamo avuto modo di precisare dunque, nella normativa emergenziale, in assenza di riassunzione del personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto di appalto, opera il divieto di licenziamento previsto dalla normativa emergenziale, con la conseguenza che l’eventuale recesso datoriale, anche se determinato dalla cessazione dell’appalto, si porrebbe in violazione del divieto;
− in presenza di riassunzione del personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto di appalto, non opera il divieto di licenziamento previsto dalla normativa emergenziale, con la conseguenza che l’eventuale recesso datoriale, determinato dalla cessazione dell’appalto, non si porrebbe in violazione del divieto, ma – alla luce della giurisprudenza circa l’autonomia dei rapporti contrattuali – tale recesso potrebbe essere comunque impugnato dal lavoratore che sia stato assunto dal subentrante.
Tuttavia, e sta qui la vera eccezione rispetto al generale divieto previsto dalla normativa emergenziale, l’eventuale impugnazione non potrà essere fondata sulla violazione del divieto (che non opera), ma dovrà essere basata sulle “normali” doglianze che tendono a censurare i vizi che affliggono l’atto di recesso (tra tutte, il mancato repêchage).
RISOLUZIONE CASO PRATICO
Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza, dunque, nella vicenda oggetto di trattazione, la società Lambda che è subentrata, come da clausola contrattuale ad altra società, può procedere al licenziamento di n. 2 unità stante la normativa emergenziale secondo cui restano fuori dal perimetro del divieto di licenziamento le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia assunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di Legge, di Ccnl o di clausola del contratto d’appalto.
È indubbio infatti che l’atteggiamento del Legislatore sia stato altalenante in merito alla durata del divieto di licenziamento e alla sua portata. In materia di revoca del recesso intimato in violazione del divieto, invece, si è assistito a un vero e proprio cambio di rotta.
Prova ne è il fatto che con il decreto Rilancio (D.L. n. 34/ 2020) era stata introdotta la possibilità di revocare il recesso per il datore di lavoro che, nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 17 marzo 2020, avesse proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. La revoca del licenziamento era possibile solo se conseguentemente si procedeva con la richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale. In tal caso, il rapporto di lavoro si intendeva ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.
Rimanendo sul tema, il seguente decreto Agosto (D.L. n. 104/2020) ha esteso tale possibilità di revoca a qualunque licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato nell’anno 2020.
Parallelamente, per evitare poi il possibile vuoto di tutela che si sarebbe venuto a creare per i lavoratori ingiustamente licenziati in violazione del divieto legale, l’INPS ha tenuto a precisare che il lavoratore, illegittimamente licenziato, avrebbe comunque avuto diritto a percepire la NASpI, cioè il trattamento di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria. Tuttavia, in questi casi, la corresponsione della NASpI da parte dell’INPS sarebbe avvenuta con riserva di ripetizione di quanto pagato, nell’ipotesi in cui il lavoratore licenziato, a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, fosse stato reintegrato nel posto di lavoro.
In occasione della conversione in legge del D.L. n. 104/2020, il Legislatore ha soppresso la possibilità per i datori di lavoro di revocare il recesso per giustificato motivo oggettivo intimato in violazione del divieto legale di licenziamento. Di quest’ultima, infatti, non si fa menzione nel decreto Ristori.
Con l’abrogazione della possibilità di revoca “straordinaria” viene quindi ripristinata la disciplina ordinaria della revoca del licenziamento introdotta dalla L. n. 92/2012, conosciuta anche come “Legge Fornero”, che la assoggetta a un termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del recesso.