Amministratore e dipendente della stessa società

Livio, uno degli  amministratori della società Gamma, srl che si occupa di vendita e assistenza tecnologica, da qualche tempo svolge altresì l’attività di lavoratore dipendente come tecnico informatico della stessa società. Livinio, l’altro amministratore della medesima società si rivolge al professionista di riferimento della stessa ai fini di una delucidazione chiarificatrice della compatibilità delle mansioni svolte da Livio.

CONTESTO NORMATIVO

 Socio amministratore e lavoro dipendente: ipotesi di compatibilità

Nell’ambito delle attività lavorative nelle imprese è di fondamentale importanza valutare le modalità di inquadramento di soci, amministratori e familiari.Oltre agli aspetti di fattibilità giuridica, vanno considerati anche i riflessi sotto il profilo contributivo, fiscale, societario ma anche in ambito familiare.Spesso, l’interesse a stipulare con l’amministratore o socio un contratto di lavoro subordinato nasce dall’esigenza  di beneficiare dei trattamenti previdenziali e assistenziali riservati a quest’ultimo.Tale fattispecie può derivare poi dai più svariati motivi, quali la possibile assenza di compenso per l’esercizio dell’attività di amministratore o le particolari competenze tecniche o capacità specifiche del
soggetto, che rendono necessaria o imprescindibile la sua attività lavorativa all’interno della società per lo sviluppo o l’esistenza della stessa.
La fattispecie legata alla contemporanea attività di amministratore e dipendente della stessa società può generare profili di incompatibilità sotto diversi aspetti:
-può esserci un potenziale conflitto di interesse in ambito societario. Questo è ravvisabile qualora le delibere del CdA riguardino la forza lavoro; può esserci un potenziale conflitto in merito al disconoscimento del rapporto lavorativo di tipo subordinato (qualora venga accertata la mancanza di eterodirezione) e di esercizio del potere disciplinare da parte di un soggetto terzo, distinto dalla figura del consigliere delegato; può esserci il rischio di disconoscimento della contribuzione previdenziale versata in qualità di lavoratore dipendente, qualora non sia provata la subordinazione;
-può esserci infine l’indeducibilità dei costi relativi a compensi amministratori che si trovano in posizione potenzialmente ambivalente.

La possibilità della valida instaurazione di un rapporto di lavoro con soggetti che ricoprono cariche sociali all’interno della medesima società di capitali per cui lavorano è stato oggetto di molteplici interventi della Suprema Corte di cassazione e di vari interventi di prassi. Si tratta di interventi che hanno, a mano a mano, portato ad ampliare l’ambito entro cui tale possibilità è stata riconosciuta.Per individuare i criteri cui attenersi per valutare la compatibilità dell’amministratore con la fattispecie del lavoro dipendente, l’INPS ha richiamato una precedente circolare numero 179 del 08/08/1989 e si è basata inoltre su principi già espressi dalla Corte di Cassazione. Già a partire dagli anni ’90, l’orientamento della giurisprudenza prevedeva infatti che  l’incarico di amministratore delegato, in una società di capitali non escludesse astrattamente lo svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato con la stessa azienda.
Infatti, secondo la Suprema Corte (cfr. Cass. sent. n. 18476/2014 e n. 24972/2013) l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato. Ciò vale esclusivamente quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale: potere direttivo; controllodisciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente.
Quindi, la carica di presidente del consiglio di una società di capitali non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato con la stessa azienda; poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale.
Per quanto riguarda invece la carica di amministratore delegato, bisognerà vedere la portata della delega ricevuta; se vi sono ampi poteri e quindi può agire senza il consenso del consiglio di amministrazione non potrà essere anche dipendente, se invece ha solo poteri di rappresentanza potrà essere al contempo anche lavoratore subordinato.
Esistono, però, delle significative eccezioni. Infatti, la configurabilità del rapporto di lavoro subordinato è da escludere con riferimento all’unico socio. In tali casi, la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.
Allo stesso modo, il socio che abbia assunto di fatto nell’ambito della società l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione (Amministratore Unico), non può assumere contemporaneamente anche la diversa figura di lavoratore subordinato.

Affinché l’amministratore delegato possa assumere le vesti del dipendente nella medesima società, è necessario:

  • accertare in concreto l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico;
  • verificare che tali attività siano contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione

Quindi, chi vuole far valere i requisiti del vincolo di subordinazione (art. 2094 codice civile) ha l’onere di provare in modo certo l’assoggettamento:

  • al potere direttivo;
  • di controllo;
  • disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso.

Inoltre, come confermato dalla recente giurisprudenza, la qualifica di amministratore e il lavoro subordinato in una stessa società di capitali sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale.

Altri elementi ai quali fare riferimento per l’accertamento del rapporto di lavoro dipendente sono:

  • la periodicità e la predeterminazione della retribuzione;
  • l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro;
  • l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale;
  • l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale;
  • l’assenza di rischio in capo al lavoratore;
  • la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari.

IMPLICAZIONI
Nella vicenda oggetto di approfondimento, Livio, uno degli  amministratori della società Gamma, srl che si occupa di vendita e assistenza tecnologica, da qualche tempo svolge altresì l’attività di lavoratore dipendente come tecnico informatico della stessa società.
L’ amministratore di una Spa (o Srl; in generale: di una società di capitali) può essere anche un dipendente della società. A tre condizioni: che non abbia tutto il potere deliberativo della società; che sia provato il vincolo di subordinazione; che svolga mansioni escluse dalla delega di gestione. A stabilirlo è l’Inps nel messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 superando, a distanza di trent’anni, il divieto di coesistenza, per la stessa persona, dei due rapporti: di amministratore di società di capitali e di lavoro subordinato con la stessa società.
Era infatti  dall’agosto del 1989 (circolare n. 179/1989) che l’Inps escludeva, in linea di massima, che per i presidenti, gli amministratori unici e i consiglieri delegati di società di capitali potesse ricorrere un valido rapporto di lavoro dipendente con la società (con la conseguenza di non riconoscere i contributi ai lavoratori, quindi neppure le prestazioni come la pensione, e di non consentire alla società di dedurne i costi). L’indirizzo è stato parzialmente rettificato dalla possibilità di instaurare un rapporto dipendente tra cooperativa e presidente della stessa.
La giurisprudenza, invece, si è sviluppata in senso opposto, sostenendo a certe condizioni la compatibilità della duplicazione di posizioni giuridiche (amministratore e dipendente, appunto) in capo alla stessa persona fisica. Ed è a tale orientamento che si è adeguata anche l’Inps.
La carica di presidente del consiglio di amministrazione,  ha spiegato infatti l’Inps, al pari di qualsiasi altro consigliere, non è da ritenersi incompatibile con lo status di dipendente, poiché la persona (il presidente e/o consigliere) è soggetta a direttive, decisioni e controllo dell’organo collegiale. Anche l’amministratore delegato, in linea di principio, può essere dipendente della società, ma ciò dipende dalla portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione: se è generale con facoltà di agire senza consenso del cda, spiega l’Inps, è da escludere l’instaurazione di un valido rapporto di lavoro dipendente; se la delega è limitata al solo potere di rappresentanza o a specifiche deleghe è invece possibile l’instaurazione di un rapporto subordinato genuino.
Il doppio ruolo (amministratore e dipendente) va escluso, invece, nei casi di amministratore unico di società e di società con unico socio, anche se di fatto. Nell’uno e nell’altro caso, infatti,  ha spiegato l’Inps, l’unica persona è detentrice del potere di esprimere da sola la volontà propria della società, quindi anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina.
In caso di ammissione del doppio ruolo, inoltre, l’Inps rende possibile un rapporto dipendente di tipo dirigenziale qualora, tra l’altro, l’assunzione sia avvenuta con tale qualifica; ci sia stato il conferimento della carica di direttore generale da parte dell’organo amministrativo nel suo complesso; ci sia svolgimento effettivo delle relative mansioni.La valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività dipendente presuppone, in ogni caso, l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza di specifici requisiti.
L’inps infatti, con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 cambia orientamento e apre al doppio ruolo per chi ricopre cariche sociali in SRL e SPA e ne è contemporaneamente lavoratore dipendente.
La novità si è resa necessaria a seguito dell’orientamento sviluppatosi in ambito giurisprudenziale, che ha negli anni consentito agli amministratori di SRL di assumere anche la qualifica di lavoratore dipendente.
Aperture che hanno avuto conseguenze dirette in ambito previdenziale ed assistenziale e che l’INPS ha dovuto chiarire per assicurare l’uniformità di comportamento da parte dei soggetti coinvolti.
Il messaggio INPS del 17 settembre 2019 specifica però che il doppio ruolo di amministratore e dipendente di società è compatibile soltanto qualora vengano rispettati determinati requisiti.
Con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 l’INPS riconosce  infatti la compatibilità tra cariche sociali ed instaurazione presso la medesima società di un rapporto di lavoro dipendente da parte dello stesso soggetto.
L’amministratore di una SRL o di una SPA potrà quindi legittimamente instaurare anche un rapporto di lavoro subordinato con la stessa società, nel rispetto dei requisiti esplicitati dall’INPS nel messaggio in oggetto.
Prima di analizzarli, è bene sottolineare l’importanza del cambio di orientamento dell’INPS rispetto a quanto indicato nella circolare n. 179 dell’8 agosto 1989, nella quale era stato escluso che:“per i “presidenti, gli amministratori unici ed i consiglieri delegati” potesse essere riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato valido con la medesima società.”
Nel 2011, a seguito dell’interpretazione di segno opposto della Cassazione, l’INPS aveva dato segnali di una prima timida apertura, ammettendo che in alcuni casi fosse possibile essere presidente e dipendente di una cooperativa.
Sono stati necessari 20 anni per far cambiare opinione all’INPS, e sono state necessarie diverse pronunce della giurisprudenza di merito per ritenere infondata l’incompatibilità assoluta tra cariche sociali, come quelle di amministratore unico di una SRL, ed il parallelo instaurarsi di un rapporto di lavoro subordinato.
Ora la compatibilità delle cariche assume natura più ampia e, nel messaggio n. 3359 – riprendendo alcune delle sentenze più di rilievo della Corte di Cassazione, l’INPS spiega quando l’amministratore di una società può assumere anche la qualifica di lavoratore dipendente della stessa.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, in riferimento alla compatibilità della figura dell’amministratore e dipendente di SRL o SPA a partire dagli anni ’90 la Cassazione  ha affermato  che l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, in una società di capitali non esclude astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato (fatte salve alcune eccezioni).”Come affermato da due diverse sentenze della Cassazione (Cass., Sez. Un., n. 10680/1994 e Cass. n. 1793/1996):“né il contratto di società, né l’esistenza del rapporto organico che lega l’amministratore alla società, valgono ad escludere la configurabilità di un rapporto obbligatorio tra amministratori e società, avente ad oggetto, da un lato la prestazione di lavoro e, dall’altro lato la corresponsione di un compenso sinallagmaticamente collegato alla prestazione stessa. Ciò perché, in particolare, il rapporto organico concerne soltanto i terzi, verso i quali gli atti giuridici compiuti dall’organo vengono direttamente imputati alla società […]; con la conseguenza che, sempre verso i terzi, assume rilevanza solo la persona giuridica rappresentata, non anche la persona fisica. Ma nulla esclude che nei rapporti interni sussistano rapporti obbligatori tra le due persone”, anche di lavoro subordinato. Pertanto, “resta comunque escluso che alla riconoscibilità di un rapporto di lavoro subordinato sia di ostacolo la mera qualità di rappresentante legale della società, come presidente di essa”.
Per ritenere legittimo il doppio ruolo è necessario che il rapporto di lavoro subordinato rispetti le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo  e disciplinare dell’organo di amministrazione dell’ente.
Quello che l’INPS riconosce è che la carica di presidente non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato: anche il presidente di società, così come qualsiasi altro membro del CDA, può essere soggetto a “direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale” (cfr., tra le altre, Cass. n. 11978/2004, n. 1793/1996 e n. 18414/2013).
Il messaggio 3359 del 17 settembre dunque  elenca i parametri per la valutazione della compatibilità tra status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato. Dovranno sussistere le seguenti condizioni:

  • che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;
  • che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
  • il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.

Se l’amministratore unico della società è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina, è incompatibile il riconoscimento anche del ruolo di dipendente. Per quel che riguarda il ruolo dell’amministratore delegato, sarà la portata della delega conferita dal CDA a fare da discrimine. La delega può essere generale e, come tale, implicare la gestione globale della società ovvero parziale, qualora vengano delegati limitati atti gestori.In tal caso, il doppio ruolo di titolare di carica sociale e dipendente della società di capitale sarà:

  • illegittimo, qualora l’amministratore sia munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione;
  • legittimo, nel caso di delega parziale limitata a specifiche fattispecie.

Per accertare la compatibilità tra i due ruoli, sono altresì rilevanti i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il consiglio di amministrazione, la pluralità ed il numero degli amministratori delegati e la facoltà di agire congiuntamente o disgiuntamente, oltre – naturalmente ­- alla sussistenza degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione. Non è possibile inoltre assumere il doppio ruolo di amministratore e dipendente per l’unico socio, in quanto la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude la “soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.”Stessa cosa nel caso in cui il socio sia il “titolare effettivo” dei poteri di gestione della società.La verifica sulla compatibilità del doppio suolo di socio amministratore e dipendente dovrà andare a fondo ed accertare:

  • l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico;
  • che tali attività siano contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 1399/2000, n. 329/2002 e n. 12630/2008).

La prova del vincolo di subordinazione sarà obbligatoria. L’amministratore che è anche lavoratore subordinato della stessa società di capitali dovrà dimostrare l’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.

Ai fini del controllo sul rapporto di lavoro dipendente, verranno valutati alcuni degli elementi distintivi della subordinazione:

  • la periodicità e la predeterminazione della retribuzione,
  • l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro,
  • l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale,
  • l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale,
  • l’assenza di rischio in capo al lavoratore,
  • la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari.

Il tutto considerando i connotati diversi della subordinazione in relazione a natura, mansioni e condizioni di svolgimento delle stesse.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, Livio amministratore della società  Gamma srl  può svolgere  altresì l’attività di lavoratore dipendente come tecnico informatico della stessa società.
L’INPS, ha chiarito infatti che l’essere organo di una persona giuridica di per sè non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale ricoperta, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.
Si è quindi giunti al concetto secondo cui ricoprire una carica nel consiglio d’amministrazione, ivi inclusa quella di presidente, non risulta, di per sè, incompatibile con la possibilità di stipulare con la medesima società per cui si volge il compito d’amministratore un valido contratto di lavoro subordinato.
A tale principio non osta, inoltre, nemmeno l’eventualità in cui tale soggetto sia insignito del potere di rappresentanza della società stessa, considerato che tale potere non comporta l’automatica attribuzione dei diversi poteri deliberativi della società rappresentata.
Da un concetto di preclusione basato sul solo fatto di ricoprire una carica nell’organo amministrativo si è, quindi, passati ad uno basato sulla verifica dei rapporti intercorrenti con il consiglio d’amministrazione al fine di verificare l’esistenza, limitatamente al rapporto di lavoro dipendente, di un effettivo vincolo di subordinazione al potere direttivo nello svolgimento della stessa.
L’Ente ha chiarito infatti che affinchè possa essere riconosciuta l’esistenza dei due distinti rapporti è necessario che l’attività di lavoro dipendente sia caratterizzata dai seguenti requisiti:

– principio di effettività del rapporto in considerazione del quale il rapporto giuridico formalizzato e le modalità tramite cui lo stesso sia stato formalizzato costituiscono solamente un elemento cui fare riferimento nella valutazione complessiva dell’oggetto effettivo della prestazione convenuta;

– effettivo svolgimento dell’attività;

– oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti alla carica sociale rivestita, ossia attività non ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle eventuali deleghe ricevute;

– effettiva subordinazione, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo d’amministrazione della società;

– sia comprovato, da parte del soggetto che intende farne valere l’esistenza, il richiamato vincolo di subordinazione con idonea documentazione da cui la stessa emerga in modo certo.

In merito all’obbligo di fornire adeguata documentazione comprovante il vincolo di subordinazione nel messaggio n. 3359/2019, più volte richiamato, l’INPS evidenzia che ai fini dell’accertamento del rapporto di lavoro dipendente si tiene conto anche dell’esistenza di ulteriori elementi sintomatici della subordinazione quali:

– la periodicità e predeterminazione della retribuzione del rapporto di lavoro dipendente;

– un orario contrattuale di lavoro;

– l’inquadramento all’interno di un’organizzazione aziendale;

– l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale;

– l’assenza di rischio in capo al lavoratore;

– la distinzione tra gli importi erogati a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari;

– la necessità che la costituzione e gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili a una volontà della società distinta dal soggetto titolare della carica.

In conclusione, non si può non evidenziare che il mancato riconoscimento della posizione di lavoratore dipendente, per mancanza dei requisiti sopra evidenziati, comporta il rifiuto da parte dell’INPS di erogare la relativa prestazione pensionistica.A ciò si aggiunge il fatto che, sebbene a fronte di tale rifiuto il soggetto matura il diritto a chiedere la restituzione degli importi previdenziali versati connessi alla posizione di lavoro dipendente, l’INPS, per contro, matura la facoltà di attrarre tali redditi alla posizione previdenziale relativa all’attività d’amministratore.Da tale attrazione discende la conseguente richiesta di versamento dei maggiori contributi omessi, nonchè delle relative sanzioni ed interessi per l’omesso versamento.Ove, invece, come nel caso di specie  le condizioni esposte vengano rispettate, le due posizioni previdenziali rimangono tra loro distinte, indipendenti ed autonome, con il conseguente diritto a percepire la connessa prestazione previdenziale da entrambe le gestioni previdenziali.