Natura giuridica del diritto di astenersi dal lavoro nelle ricorrenze festive

Ennio, responsabile amministrativo della residenza per anziani Giorni sereni sita a Belluno, predisponeva per la giornata del 6 gennaio 2021 l’elenco della turnazione per gli operatori sanitari della struttura, così come previsto dal vigente contratto collettivo applicato. Giovanni, operatore sanitario della struttura da circa 10 anni veniva incluso nella suddetta lista di turnazione e indicato come referente operatore sanitario per la suddetta giornata del 6 gennaio. Giovanni, venuto a conoscenza dell’inserimento del suo nominativo per la turnazione nel giorno festivo, comunicava anzitempo ad Ennio la sua indisponibilità al lavoro per la suddetta giornata e conseguentemente non si presentava al lavoro. Ennio, pertanto, chiedeva al  professionista di riferimento dell’azienda chiarimenti e conseguenze della violazione di prestare l’attività lavorativa nelle ricorrenze festive.

CONTESTO NORMATIVO

Astensione dal lavoro nelle festività

 Come noto, il diritto  all’astensione  dal  lavoro  nelle  festività  trova  la  propria  fonte  in  una disposizione legislativa e, precisamente, nella L. 260/1949, come modificata dalla L. 90/1954.La L. 260/1949, come modificata dalla L. 90/1954, riconosce al lavoratore il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili e religiose e regolamenta la disciplina con completezza e sistematicità.
La compiutezza e l’autonomia della disciplina preclude, quindi, l’applicazione analogica ai sensi dell’articolo 12, preleggi, delle eccezioni al divieto di lavoro domenicale prevista dalla L. 370/1934.
Trattasi di 2 istituti diversi e disciplinati ciascuno da una propria e autonoma regolamentazione: la normativa sulle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili e religiose (L. 260/1949) è stata emanata successivamente alla normativa sul riposo domenicale e settimanale (L. 370/1934) e, in essa, non solo non sono state estese alle festività infrasettimanali le eccezioni all’inderogabilità previste ex lege esclusivamente per il riposo domenicale, ma con una successiva norma (la L. 520/1952) è stato sancito che solo per il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private sussiste l’obbligo della prestazione lavorativa durante le festività su ordine datoriale in presenza di esigenze di servizio.
Il nostro ordinamento infatti in materia di lavoro prevede che alcuni giorni dell’anno, diversi dalle domeniche, prendono le caratteristiche di festività in quanto sono dedicati collettivamente alla celebrazione di riti civili e religiosi.
I giorni festivi sono individuati dalla legislazione nazionale, oltre che dalla contrattazione collettiva e di secondo livello.

Le festività comuni a tutti i lavoratori sono:

  • 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno – festività civili nazionali;
  • 1 gennaio, 6 gennaio, lunedì di Pasqua, 15 agosto, 1 Novembre, 8 dicembre, 25 dicembre, 26 dicembre – festività religiose nazionali;
  • data variabile per il Santo Patrono del comune in cui è ubicata l’unità produttiva – normalmente indicata nella contrattazione collettiva.

Per completezza di informazione, si ricorda che nel corso degli anni, anche per effetto dell’accordo concordatario con la Santa Sede, le festività sono state oggetto di varie disposizioni che si sono succedute nel tempo come le leggi n. 90/1954, n.54/1977, n.336/2000 ed il DPR n. 792/1985 e che i contratti collettivi hanno riconosciuto, quali festività aggiuntive, quelle del Santo Patrono, quelle “speciali” per determinati comparti (ad esempio, Santa Barbara per gli addetti al settore minerario) o i giorni “semi festivi” nel settore del credito (vigilia di Natale e di Capodanno).
 Da considerare è altresì il giorno festivo della domenica: se  per il profano infatti, la domenica è il giorno festivo per eccellenza, il Legislatore ha ormai da tempo sdoganato la domenica come un giorno in cui si può effettuare la prestazione lavorativa come nelle altre giornate. Come noto, l’articolo 36, Costituzione, prevede il diritto al riposo settimanale (oltre a quello annuale) mentre l’articolo 2109 cod. civ. stabilisce che, di regola, il riposo settimanale dovrebbe coincidere con la domenica; l’articolo 9 del fondamentale D.Lgs. 66/2003 (come modificato dal D.L. 112/2008) stabilisce ora che il lavoratore abbia diritto ogni 7 giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica e da cumulare con le ore di riposo giornaliero; tale periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni e può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica in tutta una serie di casi, tra cui quello in cui vi siano “servizi ed attività il cui funzionamento domenicale corrisponda ad esigenze tecniche ovvero soddisfi interessi rilevanti della collettività ovvero sia di pubblica utilità”.
Sul punto si è altresì espresso il Ministero del lavoro, che, con risposta a interpello n. 60/2009, ha precisato come l’individuazione di un giorno di riposo settimanale diverso dalla domenica non deve contrastare con il principio della periodicità del riposo stesso, secondo il quale occorre osservare, mediamente, un giorno di riposo ogni 6 giorni di lavoro nell’arco temporale (14 giorni) di riferimento in base al quale calcolare tale media. Nel 2011, il D.L. 201 del Governo Monti (il c.d. decreto Salva Italia) ha poi di fatto completamente liberalizzato il settore del commercio, abolendo tra l’altro le restrizioni, sino allora esistenti, all’apertura domenicale e festiva degli esercizi commerciali.
Si può quindi affermare, sulla base della normativa vigente, come la richiesta di prestazione di lavoro domenicale da parte del datore di lavoro non possa essere disattesa dal lavoratore, salvo che individualmente il lavoratore abbia concordato l’astensione dal lavoro in tale giorno.
Infatti il D.Lgs. 66/2003 ha previsto, come visto, che il riposo di 24 ore consecutive possa essere fissato in un giorno diverso dalla domenica, laddove si tratti di servizi e attività il cui funzionamento domenicale derivi da esigenze tecniche ovvero soddisfi interessi rilevanti della collettività ovvero sia di pubblica utilità: è evidente che qualsiasi lecita attività imprenditoriale o commerciale può essere ricompresa in tali categorie. Il lavoro domenicale è quindi stato ormai completamente “sdoganato” e la contrattazione collettiva prevede complesse e specifiche regolamentazioni della fattispecie, spesso demandando alla contrattazione di secondo livello.Al lavoratore, comandato a lavorare la domenica (nel rispetto della legislazione nazionale e della contrattazione nazionale, territoriale e aziendale), spettano sì le relative maggiorazioni retributive, ma lo stesso non può quindi legittimamente rifiutare di rendere le proprie mansioni lavorative.
La normativa sulle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili e religiose (L. 260/1949)è importante ricordare,  è stata emanata successivamente alla normativa sul riposo domenicale e settimanale (L. 370/1934) e, in essa, non solo non sono state estese alle festività infrasettimanali le eccezioni all’inderogabilità previste ex lege esclusivamente per il riposo domenicale, ma con una successiva norma (la L. 520/1952) è stato sancito che solo per il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private sussiste l’obbligo della prestazione lavorativa durante le festività su ordine datoriale in presenza di esigenze di servizio.
Ne deriva, quindi, che non sussiste un obbligo generale a carico dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni destinati ex lege alla celebrazione di ricorrenze civili o religiose, ma, al contrario, è contemplato un diritto soggettivo al godimento delle festività, che non può in alcun modo essere violato, neppure dalle organizzazioni sindacali.

IMPLICAZIONI

Nella vicenda oggetto di approfondimento, Giovanni, operatore sanitario di una struttura sanitaria da circa 10 anni veniva incluso nella lista di turnazione e indicato come referente operatore sanitario per la  giornata del 6 gennaio 2021. Come noto, la disciplina del lavoro festivo merita una disquisizione a parte rispetto al lavoro domenicale, infatti il lavoro festivo, ovvero il lavoro prestato nei giorni considerati di festività civile e religiosa è disciplinato dall’articolo 2, L. 260/1949 (festività poi ridotte dall’articolo 1, L. 54/1977, individuate quali festività religiose dall’articolo 1, D.P.R. 792/1985, e infine ampliate dalla L. 336/2000, che ha reintrodotto la celebrazione della festa nazionale della Repubblica nella data del 2 giugno di ciascun anno, che pertanto è stato ripristinato come giorno festivo).
Al riguardo, in diverse occasioni la Cassazione si è occupata di contenziosi che hanno riguardato l’esistenza o meno di un diritto a non prestare l’attività lavorativa nei predetti giorni festivi.
In tale contesto, infatti  la pronuncia della Suprema Corte n. 9176/1997 – in un caso in cui si verteva sull’astensione al lavoro nella giornata dell’8 dicembre da parte di alcuni lavoratori di un’acciaieria e sul loro diritto a percepire, in ogni caso, la retribuzione per il giorno festivo non lavorato – evidenziava che in occasione delle festività infrasettimanali (celebrative di ricorrenze civili o religiose) a tutti i lavoratori indistintamente è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal lavoro in base all’articolo 2, L. 260/1949: con la conseguenza che, nel caso in cui in una delle festività individuate dalla legge il lavoratore non svolga alcuna attività lavorativa, anche se ciò dipenda dal suo rifiuto, il dipendente ha pur sempre diritto alla normale retribuzione.Pertanto, in base a tale pronuncia, il lavoratore ha diritto a non lavorare nella festività infrasettimanale e a non vedersi detrarre alcunché dalla normale retribuzione, dal momento che l’assenza dal lavoro risponde all’esercizio di un diritto soggettivo e in nessun caso un accordo aziendale può comportare il venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore, come il diritto al riposo nelle festività infrasettimanali, non trattandosi infatti di diritto disponibile per le organizzazioni sindacali.
Dopo tale sentenza spartiacque, anche recentemente la Suprema Corte ha esaminato nuovamente la fattispecie. Nella sentenza n. 16582/2015 i giudici di piazza Cavour hanno valutato la vicenda che ha visto protagonista un lavoratore, sanzionato con multa, che non si era presentato al lavoro il 6 gennaio, disattendendo la disposizione del datore di lavoro (azienda dell’abbigliamento di lusso) con la quale gli era stato comunicato che il punto vendita al quale era addetto sarebbe rimasto aperto in tale giornata (come pure l’8 dicembre, il 25 aprile e il 1° maggio). Il Tribunale di prime cure aveva ritenuto legittimo il rifiuto opposto dal lavoratore, in quanto la L. 260/1949 non consentirebbe al datore di lavoro di trasformare unilateralmente le festività in giornata lavorativa, non potendosi applicare in via analogica la normativa sul lavoro festivo domenicale, né la disciplina dettata dal D.Lgs. 66/2003, in quanto riferita al riposo domenicale e non alla festività infrasettimanale. I giudici d’appello avevano confermato la sentenza di prime cure, evidenziando che l’articolo 2, L. 260/1949, conferisce ai lavoratore il diritto di astenersi dai lavoro nei giorni indicati dalla stessa legge, senza che possa applicarsi in via analogica la disciplina sul lavoro domenicale: nel caso di specie il datore di lavoro aveva richiesto la prestazione lavorativa in una giornata in cui non poteva esigerla, con conseguente legittimità dei comportamento del prestatore, non qualificabile come arbitraria tutela delle proprie ragioni, ma come legittimo esercizio dell’eccezione di inadempimento ex articolo 1460 cod. civ.; esercizio tanto più congruo ove si consideri la sistematicità della violazione del diritto al riposo (la prestazione lavorativa era stata già pretesa per l’8 dicembre e richiesta per le festività del 25 aprile e del 5 maggio).Conseguentemente i giudici di legittimità confermavano le pronunce dei primi due gradi, evidenziando i seguenti principi:

-la possibilità di svolgere attività lavorativa nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa possa avvenire per libera scelta del datore di lavoro; la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali non è rimessa né alla volontà esclusiva del datore di lavoro né a quella del lavoratore, ma al loro accordo;

-la normativa sulle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose (L. 260/1949) è stata emanata successivamente alla normativa sul riposo domenicale e settimanale (L. 370/1934) e in essa non solo non sono state estese alle festività infrasettimanali le eccezioni all’inderogabilità previste ex lege esclusivamente per il riposo domenicale, ma con successiva norma (L. 520/1952) è stato sancito che solo per “il personale di qualsiasi categoria alle dipendenze delle istituzioni sanitarie pubbliche e private” sussiste l’obbligo (“il personale per ragioni inerenti all’esercizio deve prestare servizio nelle suddette giornate“) della prestazione lavorativa durante le festività (“nel caso che l’esigenza del servizio non permetta tale riposo“) su ordine datoriale in presenza, appunto (anche in questa specifica ipotesi), di “esigenze di servizio“;

-di conseguenza appare evidente, sotto qualsivoglia profilo, che non sussiste un obbligo “generale” a carico dei lavoratori di effettuare la prestazione nei giorni destinati ex lege per la celebrazione di ricorrenze civili o religiose e sono nulle le clausole della contrattazione collettiva che prevedono tale obbligo, in quanto incidenti sul diritto dei lavoratori di astenersi dal lavoro (cui è consentito derogare per il solo lavoratore domenicale); in nessun caso una norma di un contratto collettivo può comportare il venir meno di un diritto già acquisito dal singolo lavoratore (come il diritto ad astenersi dal lavoro nelle festività infrasettimanali), non trattandosi di diritto disponibile per le organizzazioni sindacali;

-il D.Lgs. 66/2003 nulla aggiunge alla specifica normativa sulle festività infrasettimanali, in quanto la normativa comunitaria si riferisce espressamente al riposo settimanale e alla possibilità che siffatto riposo (e non certo il diritto di astensione dal lavoro in occasione delle festività infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose) possa essere calcolato in giorno diverso dalla domenica.

Posti tali principi nella richiamata pronuncia del 2015, recentemente una sentenza di merito ha stabilito l’illegittimità di una clausola, contenuta nella lettera di assunzione, in cui il lavoratore si era obbligato a prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali, qualora richiesto dal datore di lavoro: ciò poiché, secondo tale pronuncia, il consenso manifestato dal lavoratore all’atto dell’assunzione non legittima la datrice di lavoro a pretendere in via generalizzata la sua prestazione lavorativa nelle giornate festive infrasettimanali per tutta la durata del rapporto, con la conseguenza che la prestazione lavorativa in quelle giornate è subordinata a un nuovo accordo tra le parti, da manifestarsi volta per volta in via specifica, con la tempistica volta a contemperare al meglio, da un lato, le esigenze organizzative aziendali e, dall’altro, quelle familiari del lavoratore.Da ultimo, la Cassazione n. 21209/2016 ha nuovamente evidenziato come il diritto del lavoratore di astenersi dall’attività lavorativa in caso di festività sia pieno e abbia carattere generale e, quindi, non possano avere rilevanza le ragioni che hanno determinato l’assenza della prestazione lavorativa.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento,  laprevisione di legge esclude, in particolare, che il dirittodi astensione dal lavoro nelle ricorrenze festive possa essere posto nel nulla dal datore di lavoro, essendo rimessa la rinunciabilità al riposo nelle festività infrasettimanali soltanto all’accordo tra datore di lavoro e lavoratore.
Tale profilo, in particolare, è esaminato dalla sentenza, del Tribunale di Milano, del 30 luglio 2020 che, dopo aver riconosciuto la sussistenza in capo al lavoratore di un diritto soggettivo perfetto all’astensione dal lavoro nelle festività, ne ha stabilito la natura disponibile e, quindi, la sua rinunciabilità solo in caso di:

− accordo individuale con il datore di lavoro oppure di accordo collettivo, sempre che in quest’ultima ipotesi il titolare del diritto abbia conferito specifico mandato in tal senso alla propria organizzazione sindacale.

 In definitiva, dalla disciplina legale si ricava l’esistenza di un diritto al riposo, comprimibile solo su espresso accordo delle parti, stante l’ammissibilità e liceità della rinuncia operata dal lavoratore al diritto di astenersi dal lavoro durante la festività infrasettimanale, rinunciabilità del diritto al riposo festivo coerente con la particolare ratio dell’istituto, che non consisterebbe nel recupero delle energie psicofisiche, ma nell’esigenza di partecipare alla vita religiosa, familiare e sociale.

A tale conclusione, la sentenza in commento è giunta dopo un’approfondita analisi dell’istituto delcontratto collettivo aziendale.Tale contratto ha, infatti, un’efficacia generalizzata erga omnes nei confronti di tutti i lavoratori dell’azienda interessata, pur se non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione, in ossequio al principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39 della Costituzione, di quei lavoratori che, aderendo a un’organizzazione sindacale diversa, ne condividano l’esplicito dissenso essendo i contratti collettivi atti cui l’ordinamento giuridico riconosce l’idoneità a produrre disposizioni normative, ma atti negoziali o, se si vuole, atti che costituiscono esercizio di autonomia contrattuale, da intendersi come libertà di disporre dei beni di cui un soggetto è titolare nonché di obbligarsi a eseguire prestazioni a favore di altri o, più sinteticamente, di decidere della sua sfera giuridica.Di conseguenza, il consenso assume rilevanza determinante stante la previsione dell’articolo 1325 cod. civ., il quale individua l’accordo delle parti come elemento essenziale del contratto.
E ciò appare in linea con il fondamento privatistico di tutto il sistema di contrattazione collettiva, pur con i limiti che ne derivano proprio in punto di efficacia soggettiva.Si può, dunque, affermare che l’efficacia tendenzialmente generale della disciplina collettiva trova il proprio limite nel dissenso espresso del lavoratore alla regolamentazione di interessi avente fonte nella contrattazione collettiva e quindi la contrattazione collettiva vincola i lavoratori se questi non hanno espresso il proprio dissenso.La sentenza in commento ha affrontato la problematica relativa alla legittimità della clausola del contratto collettivo aziendale che impone l’obbligo di lavorare nelle giornate festive infrasettimanali celebrative di ricorrenze civili o religiose.
Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale milanese la clausola sottoscritta nell’ambito di un accordo tra datore di lavoro e Rsu disciplinava l’organizzazione della presenza in turno dei lavoratori necessari per garantire il servizio delle giornate di festività.Tale accordo non prevedeva alcuna possibilità di rifiutare la prestazione nella giornata festiva comandata per il singolo operatore, che poteva, al più, reperire una sostituzione da autorizzarsi da parte del responsabile.Ne conseguiva la compromissione del diritto del lavoratore di astenersi dal prestare attività lavorativa nelle ricorrenze festive.Il giudice del lavoro, nella sentenza del Tribunale di Milano, dopo aver approfondito le caratteristiche, profondamente divergenti, del contratto aziendale ordinario e del contratto di prossimità, ha voluto preliminarmente verificare se la clausola sottoposta al proprio sindacato fosse riconducibile all’uno ovvero all’altro dei 2 istituti contrattuali, così da pronunciarsi sulla legittimità o meno di tale compromissione.Nell’ambito di tale indagine, il giudice ha appurato che la clausola aziendale sottoposta al proprio sindacato si limitasse a regolamentare in modo particolareggiato i turni di lavoro dei dipendenti durante le festività infrasettimanali e le maggiorazioni da riconoscere ai lavoratori che svolgono tali turni, senza, tuttavia, manifestare alcuna volontà degli attori contrattuali di conculcare il diritto del lavoratore di astensione nelle festività infrasettimanali.Su questa base, la sentenza ha escluso con fermezza che tale accordo potesse essere ricondotto a un contatto di prossimità e, quindi, fosse idoneo a validamente derogare a norme imperative di Legge.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, Giovanni, operatore sanitario nella suddetta RSU, ha il diritto di astenersi dal lavoro nelle ricorrenze festive.  La clausola aziendale impositiva della prestazione di lavoro, se interpretata come una previsione normativa contenente un obbligo di svolgere attività lavorativa durante le festività infrasettimanali per tutti i lavoratori e, dunque, anche per quelli che non hanno conferito uno specifico mandato in tal senso alle organizzazioni sindacali firmatarie, è affetta da nullità e, quindi, è da considerarsi tamquam non esset, perché in contrasto con la norma imperativa di cui alla Legge del 1949 che la disciplina.La trattazione circa il lavoro prestato durante le festività deve tenere innanzitutto conto del diritto di astensione riconosciuto al lavoratore nei giorni festivi previsti dal calendario legale: com’è stato riconosciuto da autorevole dottrina e giurisprudenza, infatti, sebbene non sia espressamente previsto il divieto di richiedere(ed effettuare)la prestazione di lavoro subordinato nei giorni festivi, deve ammettersi l’insussistenza di un obbligo analogo a quello enunciato in materia di lavoro domenicale, argomentando dalla circostanza che la retribuzione normale dev’essere garantita anche in presenza di rifiuto del lavoratore dipendente a recarsi sul luogo di lavoro in giornata festiva infrasettimanale.Questa considerazione iniziale introduce già i termini del problema: quale sia il trattamento economico da riconoscere al lavoratore subordinato in ipotesi di festività infrasettimanale goduta o in ipotesi di festività infrasettimanale lavorata. La risposta ad entrambi i quesiti differisce a seconda della modalità retributiva(fissa o oraria).Rinunciare a lavorare durante le festività infrasettimanali non comporta dunque la perdita del diritto del dipendente al relativo trattamento economico. Quest’ultimo, infatti, è un diritto soggettivo incondizionato e inderogabile anche a opera della contrattazione collettiva. La legge peraltro prevede  la spettanza del trattamento di festività anche se la prestazione lavorativa non viene resa in taluni casi di assenza in generale dal lavoro, ritenuti degni di maggior tutela (malattia, gravidanza, ecc.), mentre ritenere assente ingiustificato il lavoratore che non presti attività lavorativa durante le festività di legge non è consentito dalla norma.
La Cassazione, quindi, ritiene nullo il provvedimento con cui il datore di lavoro impone al dipendente di lavorare durante le festività infrasettimanali perché integra un «inadempimento parziale del contratto di lavoro» di fronte al quale il dipendente può a sua volta rifiutare la prestazione (gli atti nulli, del resto, non producono effetti). È del resto sbagliato pensare che i provvedimenti del datore si presumono sempre legittimi e da rispettare fino a quando non intervenga una sentenza del giudice ad annullarli.Dunque, conclude la Cassazione, la possibilità di svolgere attività lavorativa nelle festività infrasettimanali non significa che la trasformazione da giornata festiva a lavorativa sia rimessa alla volontà esclusiva del datore di lavoro o a quella del lavoratore, dovendo – invece – derivare da un loro accordo specifico tra loro siglato in precedenza.