Mobbing sul posto di lavoro

Il signor Slovo  originario del Kosovo,  lavora per la società di Vigilanza Sigma s.r.l. Da mesi, è costretto a subire azioni più o meno sottili di mobbing, attacchi verbali e osservazioni di tipo offensivo inerenti la sua persona, inoltre sebbene lo stesso indossi correttamente la tenuta da lavoro, i suoi colleghi lo accusano regolarmente di vestirsi in modo trasandato. Il signor Slovo ha cercato più volte di tematizzare questi comportamenti con i diretti interessati, ma gli stessi hanno respinto in  malo modo i suoi tentativi di dialogo e lo hanno ignorato. Poiché la situazione non accenna a migliorare, egli chiede aiuto alla responsabile del personale. Per tutta risposta, quest’ultima gli comunica, senza peraltro indicarne la ragione, di non essere disposta ad affrontare un colloquio con i diretti interessati. Successivamente a siffatta risposta lo stesso Slovo si vede costretto ad esperire azione giudiziale nei confronti dei suoi vessatori e del suo datore di lavoro che era a conoscenza di tutto quanto accadeva e non ha  posto in essere azioni idonee a risolvere detta problematica.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, con il termine  mobbing  si intendono i comportamenti violenti che un gruppo rivolge ad un suo membro. In relazione all’ambito lavorativo, è definito come una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. In poche parole, un atteggiamento che impedisce alla vittima di lavorare o di svolgere serenamente la propria attività. Tale comportamento può anche essere messo in atto da persone che abbiano una certa autorità sulle altre (ad esempio capi area, responsabili, direttori), in tal caso si parla di bossing.
Questa condizione di persecuzione psicologica sull’ambiente di lavoro ci è nota da più di un secolo. Infatti il primo a parlare di Mobbing è stato lo psicologo svedese Heinz Leymann già alla fine dell’800. In Italia, la tematica è stata introdotta dallo psicologo tedesco Harald Ege, che per primo nel 2002 ha pubblicato un metodo per identificare il fenomeno e i suoi danni tramite il riconoscimento di 7 parametri (il cosiddetto metodo Ege).
Da cosa dunque può originare detta situazione? La competizione per il raggiungimento degli obiettivi e gli stimoli per migliorare la produzione possono essere dei punti di partenza di un atteggiamento negativo che può sfociare nel Mobbing. Ci sono poi da considerare anche altri aspetti non propriamente professionali, che rientrano nella sfera delle relazioni umane e delle loro varie sfumature (antipatia nei confronti della vittima, simpatia per colui/colei che potrebbe potenzialmente sostituire la vittima, etc.).
Il mobbing  dunque avviene perchè nessuno lo impedisce. Gli spettatori non tentano di fermare chi mette in atto il mobbing e, con il loro silenzio, lo favoriscono. Il motivo di tale comportamento è facilmente intuibile: la paura. Paura di essere coinvolti, di avere ritorsioni di qualche genere o addirittura di perdere il lavoro. Possiamo quindi dire che vi è una specie di omertà professionale che non solo favorisce la nascita del mobbing, ma facilita anche la sua evoluzione.In genere, per rientrare nella definizione di mobbing le azioni compiute dovrebbero: ripetersi per un lungo periodo di tempo ;reiterarsi in modo sistematico e continuato; avere uno scopo preciso, quindi essere azioni intenzionali (magari anche premeditate).
 I rapporti sociali diventano conflittuali e sempre più rari, portando la vittima all’isolamento e all’emarginazione totale. Lo scopo è sempre il medesimo: “eliminare” una persona divenuta in qualche modo scomoda, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.
Le conseguenze negative del mobbing non coinvolgono solo la vittima, come verrebbe naturale pensare, ma vanno a intaccare l’azienda. Infatti i danni ricadono anche sulla serenità e produttività dell’ambiente in cui è consumato il mobbing. Per l’azienda il mobbing ha effetti ugualmente devastanti, principalmente sul piano economico: se una persona è vittima di tali sprusi le sue prestazioni lavorative saranno inferiori per via di tutti i disturbi che ne conseguono. La mancanza di serenità sul posto di lavoro, sommata ai problemi di salute elencati, portano ad un minore rendimento della risorsa e quindi ad una perdita economica per l’azienda. Inoltre, al di là delle questioni legate ai costi, per le aziende ci sono gravi conseguenze anche sul piano sociale: se i dipendenti si dimostrano scontenti delle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti e ne parlano al di fuori delle mura aziendali, l’immagine della ditta ne risente inevitabilmente e la concorrenza può approfittarne.
in Italia non esiste una legislazione specifica relativa al mobbing, ma le azioni e le conseguenze di tali comportamenti possono rientrare in altre fattispecie di reato. Non essendoci leggi apposite, per tutelare la vittima la legge italiana fa riferimento a diversi articoli della Costituzione.
 A  parte le norme generali a tutela della persona (contenute nell’art. 2 e 3 della Costituzione), vi sono anche altre norme che tutelano l’individuo nella realtà lavorativa, ad esempio:
– Art. 32, che riconosce la tutela della salute come diritto fondamentale dell’uomo;
– Art. 35, che prevede la tutela del lavoro in tutte le sue forme;
– Art. 41, che vieta lo svolgimento della attività economica privata se esercitata in contrasto con l’utilità sociale o qualora rechi danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.
Inoltre, la legge italiana disciplina anche il risarcimento del danno biologico, cioè la lesione dell’integrità fisica della persona (ad esempio i danni alla salute), situazione molto frequente in tali  cas.i Sono invece maggiori le difficoltà per ottenere il risarcimento del danno morale, poiché più complesso da dimostrare.
Il mobbing può essere riconosciuto tramite alcuni comportamenti: 

– le mansioni previste per il lavoratore sono inferiori  a quelle svolte  da contratto o dalla privazione totale di qualsiasi lavoro (il cosiddetto dimensionamento), non possono considerarsi mobbing il  “sottoutilizzo” di un dipendente se non è il risultato di alcuni condizioni dettate ad esempio da una ristrutturazione aziendale o non volute dal datore di lavoro;

– abuso di procedimenti disciplinari, per esempio, il dipendente viene innumerevoli volte richiamato all’ordine per le sue azioni all’interno dell’ambiente di lavoro mentre per gli stessi comportamenti altri dipendenti non vengono sanzionati o richiamati. L’utilizzo di diversi provvedimenti disciplinari per atteggiamenti o azioni di poca rilevanza; 

– funzioni ridotte

– opposizione alla domanda di permessi o ferie

-vessazioni continue e ripetute

– richiesta ripetuta di straordinari

– molestie sessuali

– vessazioni di carattere psicologico che possono portare discriminazione professionale

– l’ obbligo di far lavorare anche durante i fine settimana oltre le ore previste da contratto

– atti che portano all’isolamento del lavoratore

– interruzione senza giuste cause della carriera professionale di un lavoratore

– prevaricazione e soprusi ripetuti ai danni del dipendente che possono ledere la sua sanità mentale e provocare conseguenze negative alla sua efficienza all’interno dell’ambiente di lavoro.Altro aspetto disciplinato dal Legislatore ed importante ai fini dell’individuazione di tali soprusi, è costituito dalla normativa in tema di sicurezza sul lavoro, dettata dal decreto legislativo n. 81/2008. La materia della sicurezza sul lavoro cita indirettamente il tema del mobbing, poiché definisce il concetto di “salute del lavoratore” come “assenza di malattia o d’infermità”, ma anche come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. Partendo da questo presupposto, il datore di lavoro ha l’obbligo, non solo di non evitare condotte negative che possano minare alla salute psico-fisica del lavoratore, ma anche di creare un ambiente lavorativo sereno così da prevenire e proteggere la salute e la sicurezza di quest’ultimo.

È ormai principio acquisito quello secondo cui l’articolo 32 Costituzione, che garantisce il diritto alla salute come primario e originario dell’individuo, e l’articolo 2087 cod. civ., che impone la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore da parte del datore di lavoro, non si limitano a richiedere l’adozione e il mantenimento perfettamente funzionale di misure igienico-sanitarie o antinfortunistiche, ma attengono alla predisposizione di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesioni di quell’integrità nell’ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione a eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente, e alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio.
La giurisprudenza ha interpretato estensivamente le norme sopra ricordate, considerando che il rapporto di lavoro deve essere improntato al rispetto dell’articolo 1175 cod. civ., che prevede il principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio e sulla base dell’articolo 2043  cod. civ., in tema di neminem laedere.
Al proposito, va ricordato che la violazione del dovere del neminem laedere può consistere anche in un comportamento omissivo e che l’obbligo giuridico di impedire l’evento può discendere, oltre che da una norma di Legge o da una  clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività, a tutela di un diritto altrui. È allora, evidente come questa affermazione abbia conseguenze importanti in caso di mobbing.

IMPLICAZIONI

Nella vicenda oggetto di approfondimento, Il signor Slovo  originario del Kosovo,  da mesi, è costretto a subire azioni più o meno sottili di mobbing, attacchi verbali e osservazioni di tipo offensivo inerenti la sua persona.
 Il  mobbing come pure le esternazioni xenofobe e razziste costituiscono una violazione della protezione della personalità sancita dal Codice civile (art. 28). Le continue ostilità e denigrazioni nei confronti del signor Slovo ledono la sua personalità. Egli ha il diritto di esigere che i suoi colleghi di lavoro e il suo superiore mettano fine agli attacchi verbali.Per la Cassazione, il mobbing consiste in un insieme di comportamenti di molestia e/o persecuzione, prolungati nel tempo e lesivi della dignità personale e professionale del lavoratore nonché della salute psicofisica di quest’ultimo, perpetrati nei suoi confronti da superiori e/o colleghi. Lo scopo delle molestie è l’isolamento del dipendente, la sua emarginazione, la sua umiliazione. Il mobbing consiste anche in diversi atteggiamenti che singolarmente possono risultare leciti, ma uniti fra di loro mettono in risalto soprusi e angherie verso una persona e diventano quindi illeciti.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti:

a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;

b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;

d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

Secondo la Cassazione con la sentenza del 10 gennaio 2012 n. 87, si parla di “una condotta del datore di lavoro sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente sul luogo di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterarti comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e della sua personalità”.

Tra gli elementi riconosciuti dalla Corte di Cassazione vengono ribaditi:

–         molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio;

–         evento lesivo della salute;

–         nesso tra la condotta del datore di lavoro ed il pregiudizio all’integrità psico-fisica;

–         prova dell’intento persecutorio.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento,  il mobbing,  è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente,  in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore,  inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità.

Il fenomeno del mobbing, recente dal punto di vista giuridico, sta assumendo sempre maggiore interesse, per le sue possibili, gravi, conseguenze sulla salute psicofisica dei lavoratori. L’ordinamento giuridico italiano, non si è tuttavia ancora dotato di una disciplina specifica in materia, lasciando alla giurisprudenza il compito di garantire una tutela efficace ai lavoratori vittime del fenomeno.

Copiosa giurisprudenza sull’argomento, infatti,  ha precisato che il termine mobbing designa, in campo eziologico e sociologico, un fenomeno articolato consistente in una serie di atti e comportamenti vessatori, di tipo commissivo od omissivo – magari in sé leciti o da soli giuridicamente insignificanti, ma elementi rilevanti in una ottica complessiva -protratti nel tempo, posti in essere nel confronti di un lavoratore, destinatario e vittima, da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui egli è inserito o del suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione.

 Posto che, allo stato delle attuali esperienze, il fenomeno del mobbing provoca l’insorgere nel destinatario di disturbi eventualmente anche a sfondo psicotico, ovvero reazioni alle persecuzioni ed emarginazioni a carattere perfino illecito che possono condurre alle dimissioni o al licenziamento, un’ipotizzabile regolamentazione in materia può riguardare un triplice oggetto: la prevenzione e repressione dei comportamenti dei soggetti attivi del fenomeno, le misure di sostegno psicologico della vittima e, se del caso, le procedure di accesso alle necessarie terapie sanitarie, il regime delle condotte poste in essere per reazione dalla stessa vittima.

Premesso che, in carenza di specifica normativa statale, la giurisprudenza prevalente riconduce le fattispecie di mobbing entro la previsione dell’art. 2087, cc, concernente le misure che, a pena dì responsabilità, l’imprenditore deve adottare a tutela dell’integrità fisica e morale del prestatore, la materia riguardata dal fenomeno, valutato nella sua complessità anche alla luce degli atti normativi interni e comunitari, è riconducibile, sotto il profilo della regolazione degli effetti sul rapporto di lavoro, all’ordinamento civile di cui all’art. 117, comma 2, lett. i), Cost., nonché, comunque, all’esigenza di salvaguardia della, dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore, a mente degli arti. 2 e 3, Cost, mentre, per gli aspetti incidenti sulla salute fisio-psichica del lavoratore, rientra, ai sensi dell’art. 117, comma 3, nella tutela e sicurezza del lavoro ed in quella della salute, cui la prima tutela si collega” (Cass. pen. Sez. III n. 2427/02) (Cfr. Tribunale di Salerno, Sez. Lav., 09 marzo 2012, n. 111).

Secondo quanto precisato dalla giurisprudenza nel corso del tempo, per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione e di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e del complesso della sua personalità.

La responsabilità per mobbing regge essenzialmente sull’art. 2087 c.c. che obbliga l’imprenditore ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, affinché siano salvaguardate sul luogo di lavoro la dignità e i diritti fondamentali, di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

L’imprenditore, in base all’art. 2087, è responsabile per culpa in eligendo: egli cioè deve scegliere lavoratori competenti e capaci; e anche per culpa in vigilando, consistente nella mancata vigilanza sul rispetto, da parte dei lavoratori, delle misure di sicurezza adottate.

La responsabilità che deriva dalla violazione degli obblighi disposti dall’art. 2087 è di natura contrattuale ma non è escluso un concorso anche di responsabilità extracontrattuale in quanto il diritto alla salute è un diritto soggettivo assoluto. A presidio del rispetto di tale obbligo vi sono anche numerose norme penali, contenute nel codice penale  ed in numerose leggi speciali.

La fattispecie del mobbing ricade nell’alveo della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. Ricade sul lavoratore l’onere di documentare l’inadempimento contrattuale del datore di lavoro, il danno e il nesso di causa tra il primo e il secondo, mentre il datore di lavoro deve provare di aver garantito la protezione legislativamente richiesta ex art. 2087 c.c., direttamente o mediante vigilanza e intervento sull’operato dei propri collaboratori. Non dà luogo a un’ipotesi di mobbing e, come tale, non legittima alcuna pretesa risarcitoria il ricorrere sul luogo di lavoro di difficoltà relazionali, legate alla cattiva predisposizione del lavoratore rispetto all’ambiente di lavoro, se non sussiste alcun intento persecutorio da parte del datore di lavoro o dei colleghi.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, è opportuno che il signor Slovo si rivolga immediatamente a un consultorio riconosciuto per problemi di razzismo e/o mobbing e discuta insieme a un consulente professionista su come procedere per migliorare la situazione. Quest’ultimo, ad esempio, potrebbe contattare la responsabile del

personale della società di vigilanza e, nel corso di un colloquio, chiederle di proteggere il signor Slovo trasferendolo in un altro team. Per sporgere denuncia penale o intentare un’azione civile, è consigliabile avvalersi del supporto di un avvocato.

Il datore di lavoro è tenuto a proteggere il lavoratore da lesioni della personalità e prendere i provvedimenti necessari, adeguati ed esigibili per tutelarne l’integrità personale (art. 328). La responsabile del personale, così come i membri della direzione della società di vigilanza hanno pertanto l’obbligo di proteggere il signor Slovo da esternazioni vessatorie e discriminatorie e di adottare provvedimenti contro i suoi colleghi di lavoro e il suo superiore. Nei colloqui con i dipendenti interessati, possono ad esempio ingiungere loro di astenersi dal proferire simili esternazioni in futuro ed esigere che presentino le loro scuse al signor Slovo.Qualora i tre non dovessero rispettare queste disposizioni, la direzione può riservarsi il diritto di adottare ulteriori provvedimenti, come il trasferimento o il licenziamento. Un’altra misura da prendere in considerazione è l’inserimento del signor Slovo in un altro team dove si senta più al sicuro, fintanto che il problema non sarà risolto. Nel caso in esame, la responsabile del personale ha disatteso l’obbligo di protezione della personalità del lavoratore. Il signor Slovo ha pertanto il diritto di

esigere dal suo datore di lavoro un risarcimento dei danni e una riparazione morale, nonché una protezione efficace della sua personalità.  A causa della lesione della sua personalità, il signor Slovo può adire il Tribunale competente ed esigere una riparazione morale sotto forma di risarcimento finanziario o di altra specie.

Il signor Slovo può inoltre far valere queste pretese di diritto civile anche nell’ambito di un eventuale procedimento penale.

È difficile stabilire se e in quale misura il signor Slovo riuscirà a dimostrare la lesione della personalità da parte dei suoi colleghi, del suo superiore e del suo datore di lavoro. Con ogni probabilità, non sarà in grado di presentare alcun testimone. Anche i colleghi di lavoro ben disposti nei suoi confronti, infatti, saranno restii a testimoniare sugli episodi di cui è stato vittima perchépreoccupati di subire ritorsioni sociali da parte degli accusati o addirittura diperdere il proprio posto di lavoro.