Cambio di indirizzo in malattia da comunicare all’azienda
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 36729 del 25 novembre 2021 ha statuito che il dipendente che cambia domicilio o residenza durante la malattia è tenuto a comunicarlo al datore di lavoro, oltre che all’INPS.
Il caso analizzato riguardava la dipendente di una società licenziata per assenza ingiustificata dopo che era risultata assente a una visita INPS, sia per un errore dell’istituto che per la mancanza di informazioni in azienda.
Il licenziamento veniva dichiarato nullo dal tribunale e la società condannata alla reintegra e al pagamento dell’indennità di 12 mensilità ( Art 18 comma 4 L. 300 1970) mentre per la Corte di appello il rapporto di lavoro poteva essere risolto con la tutela dell’indennità risarcitoria di 15 mensilità (art 18 quinto comma L 300 1970).
La Corte territoriale riteneva infatti che la comunicazione della variazione del proprio indirizzo di reperibilità soltanto all’Inps e non anche al datore di lavoro, violasse l’art. 224 del CCNL di settore applicabile, infatti era sanzionata disciplinarmente dall’art. 225 anche se solo con una multa. La Corte di appello considerava rilevante tale obbligo ” in quanto rispondente alla finalità di consentire al datore di lavoro il pieno esercizio del potere di controllo (anche in periodo di congedo del lavoratore per malattia), rispetto alla diversa finalità della comunicazione all’Inps, competente all’esecuzione concreta del controllo, in funzione della fruizione dal lavoratore dell’indennità di malattia, qualificabile piuttosto come onere” .
La decisione della Suprema Corte accoglie parzialmente il ricorso della lavoratrice in particolare giudicando sproporzionata la sanzione del licenziamento, dato che il CCNL applicabile prevedeva per tale violazione una sanzione conservativa (la multa):.” Nel contempo però gli Ermellini confermano quanto enunciato dalla corte territoriale sul fatto che il datore di lavoro ha il diritto di conoscere l’indirizzo di effettiva reperibilità del lavoratore anche nei periodi di congedo per consentire il pieno esercizio del suo potere di controllo. La sentenza rimarca infatti che il datore di lavoro finche permane il vincolo di subordinazione, può “procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e quindi a giustificare l’assenza, in difetto di una preclusione comportata dall’art. 5 I. 300/1970, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore (Cass. 26 novembre 2014, n. 25162; Cass. 21 settembre 2016, n. 18507; Cass. 17 giugno 2020, n. 11697).”