Mobbing al lavoro- configurabilità e onere della prova
La Corte di Cassazione con l’ordinanza 38123 del 2 dicembre 2021 ha statuito che l’elemento che qualifica il comportamento come mobbing, non va ricercato nella legittimità o illegittimità dei singoli atti ma nell’intento persecutorio che li unifica.
Nella vicenda al vaglio della Corte la parte datoriale era stata condannata a risarcire, in favore di una dipendente, il danno non patrimoniale da mobbing.
La lavoratrice, nel dettaglio, aveva convenuto in giudizio l’ente di cui era dipendente, ai fini dell’accertamento del mobbing asseritamente subito, consistito in plurimi atti di emarginazione, isolamento e demansionamento, nonché nell’illegittimo mancato riconoscimento della posizione organizzativa rivestita.
Nel corso dell’istruttoria, era stato accertato che la dipendente aveva progressivamente patito un processo di svuotamento sistematico delle mansioni e di marginalizzazione, pur continuando formalmente a ricoprire la responsabilità dell’ufficio.
Risultava, dunque, provato l’illecito dalla stessa subito, considerando ciascuna delle condotte, di per sé lecite, come parti di un disegno persecutorio piuttosto evidente.
Gli Ermellini hanno precisato che affinché possa parlarsi di mobbing devono ricorrere:
- una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti, o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
- l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
- il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità;
- l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.
Secondo la Suprema corte, i giudici di gravame avevano fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, in ragione dell’accertamento di fatto che era stato compiuto.