Indebita compensazione di crediti fittizi con concorso del consulente

La Corte di Cassazione con la sentenza 44939 del 6 dicembre 2021 ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 10-quater del  dlgs 74/2000, impartita a una consulente fiscale, per aver concorso con il marito, legale rappresentante di una società, nell’indebita compensazione di crediti inesistenti e nel conseguente omesso versamento dell’Iva dovuta dall’azienda.

L’imputata si era rivolta alla Cassazione lamentando l’assenza, nella decisione di merito, dell’elemento soggettivo del reato, ossia del dolo eventuale.

Vi era stato, a suo dire, un vizio di motivazione in riferimento alla affermata sua compartecipazione criminosa, in quanto era stato il marito a compilare e trasmettere il modello F24 con cui era stata operata la contestata compensazione.

La Corte di legittimità ha ritenuto inammissibile il ricorso della consulente, in quanto manifestamente infondato e generico.

Con esso, infatti, erano state reiterate le medesime doglianze contenute nel gravame di merito, non illogicamente disattese dalla Corte territoriale, ed erano state inammissibilmente riproposte anche censure attinenti alla ricostruzione e alla valutazione del fatto e delle prove.

Secondo gli Ermellini era certamente configurabile, nella vicenda esaminata, una responsabilità concorsuale tra la consulente fiscale e il contribuente, soprattutto in quanto si era trattato di violazioni tributarie seriali e ripetitive.

Nella sentenza impugnata erano stati individuati numerosi indizi – gravi, precisi e concordanti – a riprova del consapevole concorso dell’imputata nel reato commesso dal marito, concorso che la donna aveva posto in essere con dolo non soltanto eventuale bensì diretto.

Questo, in considerazione della sistematica creazione di crediti Iva fittizi, con successivo utilizzo degli stessi in compensazione per più periodi d’imposta, della totale inattendibilità della documentazione contabile tenuta dallo studio della professionista, del diretto e personale coinvolgimento della stessa nella gestione della società beneficiaria delle illecite compensazioni.

Per la Corte, la univocità e pluralità degli elementi indiziari a carico aveva consentito, ai giudici di merito, di ritenere certamente superato il ragionevole dubbio sulla colpevolezza della ricorrente e tale conclusione, in quanto congruamente argomentata, si sottraeva alle censure sollevate in sede di legittimità.