Illegittimo il licenziamento per g.m.o. intimato senza provare l’obbligo di repechage
La Corte di Cassazione, con sentenza 41585 del 27 dicembre 2021 ha censurato la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato da un datore di lavoro che non aveva fornito prova adeguata dell’assolvimento dell’obbligo di repechage.
Nel caso in questione al ricorrente (datore di lavoro), nel giudizio di primo grado, veniva negata la fondatezza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento determinato dalla chiusura di un locale della società nella quale era impiegata la lavoratrice licenziata e a cui era stato offerto – e rifiutato – il trasferimento in un’altra sede, con diverse mansioni.
Alla pronuncia del tribunale ordinario ha fatto seguito il ricorso in Corte di Appello, che ha confermato la decisione del giudice di prime cure.
Le motivazioni addotte a sostegno della decisione, trovavano giustificazione nel fatto che non era stata fornita prova adeguata della chiusura dell’unità operativa (documentata con l’atto di risoluzione del rapporto locativo), mentre quella testimoniale risultava alquanto generica e, altresì, non era stata dimostrata in modo esauriente l’impossibilità di impiegare la lavoratrice in mansioni diverse da quelle per le quali era assunta, a nulla rilevando il fatto che la stessa non avesse dato la propria preventiva disponibilità al trasferimento presso altra sede, poiché l’azienda avrebbe potuto esercitare legittimamente lo ius variandi.
Il giudizio giunto in Cassazione, non ha preso una piega differente, avendo la Suprema Corte rigettato le ragioni del ricorrente il quale denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, in relazione all’art. 360, comma 3, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., nonché il mancato esercizio dei poteri istruttori da parte dei giudici di secondo grado, ex artt. 421 e 437 c.p.c.
La Corte di Cassazione ha motivato il rigetto dichiarando l’inammissibilità e l’infondatezza delle ragioni addotte dal ricorrente in quanto la valutazione dei giudici di merito in riferimento al documento prodotto (la risoluzione del contratto locativo) non è sindacabile in cassazione per vizi di merito, bensì solo di motivazione.
Quanto all’insussistenza dell’assolvimento dell’obbligo di repechage, la Suprema Corte ha ribadito la violazione dell’obbligo in trattazione – nonostante la mancata disponibilità da parte della lavoratrice al trasferimento offertole – atteso che il datore di lavoro avrebbe potuto e dovuto esercitare il c.d. ius variandi e fornire adeguata prova che, non solo non fosse disponibile alcuna posizione di lavoro analogo a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale.