Il rapporto di lavoro part-time e i riflessi pensionistici, fra normativa comunitaria e nazionale

Una lavoratrice prossima alla pensione, dopo aver lavorato come operaia part time in un’azienda del settore merceologico si rivolgeva ad un consulente del lavoro specializzato in materia previdenziale per verificare il suo diritto alla pensione alla luce delle modifiche disposte dalla Legge di Bilancio del 2021 a tutela dei lavoratori part-time verticali o ciclici, per neutralizzare i danni, ai fini del diritto a pensione, causati dai periodi non lavorati durante l’anno.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, il rapporto di lavoro a tempo parziale, nell’ordinamento italiano, è stato disciplinato in maniera organica dall’articolo 5, D.L. 726/1984, con il quale questa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa veniva destinata ai lavoratori disponibili a svolgere attività a orario inferiore rispetto a quello ordinario previsto dai contratti collettivi di lavoro o per periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno, la cui volontà – consensuale – doveva risultare da atto scritto. L’Inps, con la circolare n.  246/1986, aveva fornito le proprie indicazioni in materia, prevedendo che il meccanismo di computo proporzionale ai fini degli accrediti contributivi dovesse trovare applicazione per i periodi di lavoro a tempo parziale successivi al 6 gennaio 1985, data di entrata in vigore della Legge di conversione del 1984. Nel tempo, si sono registrati numerosi interventi normativi sul tema, come il D.Lgs. 61/2000, poi abrogato dal D.Lgs. 81/2015 (c.d. Jobs Act), che, a legislazione vigente, costituisce la disciplina normativa di riferimento,  riassumendo in sé le disposizioni sulle  forme contrattuali atipiche. Tale  norma ha abrogato la distinzione fra part-time orizzontale, verticale e misto, che è tuttavia ampiamente sopravvissuta nella contrattazione collettiva, dato che continua a essere efficace nella distinzione fra riduzione del numero di ore di lavoro giornaliero senza diminuzione dei giorni lavorati settimanali orizzontale) e lavoro alternato in alcuni giorni della settimana, in alcune settimane al mese o in alcuni mesi per ciascun anno (verticale). Negli anni, uno dei punti di attenzione circa il rapporto di lavoro a tempo parziale è stato rappresentato dalla sua valorizzazione nella posizione assicurativa dei lavoratori in merito ai periodi di lavoro svolti con contratto part-time di tipo verticale o ciclico, dal momento che la disciplina previdenziale non ha consentito, sino a oggi, di riconoscere per le Gestioni private l’accredito pieno delle settimane di contribuzione a causa dell’applicazione della normativa di carattere generale in materia di accreditamento dei contributi per il diritto a pensione di cui all’articolo 7 D.L. 463/1983.La Corte di Giustizia Europea ha affermato, a tal proposito un principio secondo il quale:“l’anzianità contributiva utile ai fini della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati che corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto di lavoro a tempo parziale e discendono dalla normale esecuzione di tale contratto e non dalla sua sospensione”. A seguito dell’intervento della Corte Europea, dal momento che la normativa italiana ostacolava la piena applicazione del principio che era stato sancito, la stessa è stata considerata operante esclusivamente nei nuovi limiti posti dal principio stesso. Di conseguenza, l’articolo 7, comma 1, D.L. 463/1983, è stato interpretato e applicato in conformità del principio di supremazia della normativa europea rispetto a quella nazionale che era in contrasto con essa.

Dunque, secondo il principio affermato dalla Corte Europea, per i lavoratori a tempo parziale verticale il numero di settimane accreditabili, valore ottenibile dal quoziente tra la retribuzione percepita e il minimale di accredito settimanale, pari al 40% del trattamento minimo mensile di pensione a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti in vigore al 1° gennaio dell’anno considerato, non è più limitato dal numero di settimane effettivamente retribuite nell’anno, dovendo prendere integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati, che corrispondono alla riduzione degli orari di lavoro prevista in un contratto di lavoro a tempo parziale. Sul tema, copiosa giurisprudenza aveva ritenuto inadeguato il “telaio” normativo italiano, da ultimo rappresentato dal D.Lgs. 81/2015, in merito alla necessità di non discriminare con un danno pensionistico i lavoratori part-time ciclici. Una per tutte, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, n. 16677/2017, aveva statuito che:“se è vero che il rapporto di lavoro a tempo parziale verticale assicura al lavoratore una stabilità ed una sicurezza retributiva che impediscono di considerare costituzionalmente obbligata una tutela previdenziale integrativa della retribuzione nei periodi di pausa della prestazione, non è meno vero che ciò è logicamente possibile a condizione di interpretare il cit. D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11 (secondo il quale, com’è noto, ai fini della determinazione del trattamento di pensione  l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”), nel senso di ritenere che l’ammontare dei contributi debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi si riferiscono: diversamente, il lavoratore impiegato in regime di part- time verticale si troverebbe a fruire di un trattamento deteriore rispetto al suo omologo a tempo pieno, dal momento che i periodi di interruzione della prestazione lavorativa, che pure non gli danno diritto ad alcuna prestazione previdenziale, non gli gioverebbero nemmeno ai fini dell’anzianità contributiva”.
Registrando le numerose sentenze dell’ultimo grado di giudizio, che vedevano puntualmente soccombente l’Istituto, il Legislatore è finalmente intervenuto con l’articolo 1, comma 350 L. 178/2020, in vigore dal 1° gennaio 2021, che di fatto ha portato a un superamento della pregressa modalità di riconoscimento dei contributi dei periodi non lavorati per svolgimenti di attività lavorativa a tempo parziale verticale o ciclico. Tale articolo, difatti, dispone che  il periodo di durata del contratto di lavoro a tempo parziale che prevede che la prestazione lavorativa sia concentrata in determinati periodi è riconosciuto per intero utile ai fini del raggiungimento dei requisiti di anzianità lavorativa per l’accesso al diritto alla pensione”.

IMPLICAZIONI

Nella vicenda oggetto di approfondimento, una lavoratrice prossima alla pensione, dopo aver lavorato come operaia part time in un’azienda del settore merceologico si rivolgeva ad un consulente del lavoro specializzato in materia previdenziale per verificare il suo diritto alla pensione.

Il riconoscimento dei periodi non lavorati, senza avere valenza in termini di imposizione contributiva, ma risultando utile esclusivamente ai fini della maturazione del diritto a pensione, trova applicazione relativamente ai contratti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o ciclico. I contratti part-time coinvolti possono essere ancora in corso ovvero esauriti, caso in cui sarà necessaria la presentazione di una domanda ad hoc da parte dell’assicurato. Dunque, non ha rilevanza la collocazione temporale dei periodi, ferma restando la decorrenza della norma istitutiva del rapporto di lavoro part-time e, quindi, il riconoscimento non può, in ogni caso, essere applicato con riferimento a periodi di lavoro che si collochino temporalmente prima dell’entrata in vigore dell’articolo 5 D.L. 726/1984, vale a dire il 30 ottobre 1984.

L’anzianità contributiva dei periodi di attività svolta in part-time, ai fini della misura della prestazione pensionistica, va difatti imputata, nel rispetto dei parametri in vigore, proporzionalmente all’orario di lavoro svolto e determinata dal rapporto fra le ore retribuite in ciascun anno solare e il numero delle ore settimanali previste dal contratto per i lavoratori a tempo pieno. In questo caso, quindi, la nuova norma non risolverà i “vuoti contributivi” propri dei lavoratori a tempo parziale, per i quali rimane da valutare la possibilità di ricorrere al riscatto, sopra citato, dell’articolo 8, D.Lgs. 564/1996, o anche a integrazione dei periodi riconosciuti ai sensi dell’articolo 1, comma 350, L. 178/2020, non solo per incrementare la futura pensione in termine di importo, ma anche per poter giungere all’accredito dell’intera annualità contributiva.

La novità normativa apportata dalla L. 178/2020 trova dunque applicazione limitatamente ai periodi di sospensione del rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o ciclico in  funzione  della  mancata  prestazione  lavorativa  connessa  all’articolazione  dell’orario  di svolgimento dell’attività lavorativa del rapporto part-time stesso, ma rimane anche confermata l’esclusione, da detto incremento, dell’anzianità contributiva ai fini del diritto dei periodi non lavorati e non retribuiti per sospensione del rapporto di lavoro senza retribuzione, derivanti da causa diversa dal tempo parziale. Va, al contempo, ricordato come per alcuni periodi di aspettativa non retribuita (ad esempio, per formazione o gravi motivi familiari) resta comunque possibile richiedere il riscatto, tanto ai fini del diritto quanto della misura, anche se dietro un onere da pagare (che costituisce anche un elemento deducibile dal reddito fiscalmente imponibile).

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento l’Inps, con la circolare 74/2021 ha fornito indicazioni operative in merito alle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2021, per quanto concerne, come visto, gli effetti pensionistici dei rapporti di lavoro a tempo parziale. La circolare ha chiarito come, per poter avviare l’istanza di accredito della contribuzione ai fini del diritto dei lavoratori a tempo parziale verticale o ciclico, sia necessario allegare l’attestazione del datore di lavoro ovvero un’autocertificazione del lavoratore contenente l’indicazione degli eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro senza retribuzione, unitamente alla copia del contratto di lavoro part-time di tipo verticale o ciclico al quale la stessa si riferisce.

Nel caso in cui, poi, lo stesso lavoratore abbia svolto attività lavorativa con più rapporti di lavoro con contratto a tempo parziale di tipo verticale o ciclico, lo stesso potrà presentare un’unica domanda, ma avendo cura di allegare un modello di certificazione per ogni datore di lavoro coinvolto, allegando anche i singoli contratti di lavoro part-time. Analogamente, qualora l’azienda sia definitivamente cessata, il lavoratore è tenuto a presentare un’autocertificazione, sempre corredata dal contratto a tempo parziale stipulato tra le parti, da cui risulti l’articolazione della prestazione lavorativa. In entrambi i casi è sempre dovuta l’indicazione degli eventuali periodi di sospensione del rapporto di lavoro senza retribuzione.

Quest’ultimo aspetto operativo, legato alla presentazione di contratti di lavoro attestanti il rapporto a tempo parziale verticale o ciclico, comporta una serie di elementi di criticità tanto per i lavoratori quanto per i datori di lavoro, soprattutto per quanto riguarda i rapporti di lavoro collocati in anni cronologicamente più remoti.

L’Istituto ha anche precisato che la domanda di riconoscimento per i contratti esauriti è soggetta a prescrizione e deve essere presentata entro il termine decennale, decorrente dal 1° gennaio 2021. Viene ricordato come, anche in questo caso, la richiesta debba essere corredata dall’attestazione del datore di lavoro o dalla dichiarazione sostitutiva del dipendente, unitamente al contratto di lavoro (spesso irreperibile). Nel caso di più rapporti in regime di tempo parziale potrà anche essere presentata un’unica istanza.

Il paragrafo 3 della circolare ha illustrato le modalità di compilazioni dell’UniEmens dal 1° gennaio 2021, secondo cui, se non vi sono innovazioni nell’elemento <Qualifica 2> della denuncia individuale, nell’elemento <PercPartTime>, dal 2021, dovrà essere indicata la percentuale part-time in centesimi, prevista nel contratto di lavoro, da mantenere invariata per tutti i mesi, sia quelli con prestazione lavorativa che quelli senza prestazione, fino alla vigenza del patto part-time, salvo nuovo contratto o accordo che la rimoduli; nell’elemento <PercPartTimeMese> va inserita la percentuale in centesimi in riferimento all’orario teoricamente lavorabile di ciascun mese (per un intero mese deve essere indicato 100%, nei mesi interamente non lavorati si dovrà indicare 0%).

L’elemento <TipoLavStat> registra il nuovo codice “DR00”, che identifica il flusso presentato in assenza di prestazione lavorativa relativa all’intero mese con riferimento al lavoratore in contratto di lavoro part-time di tipo verticale/ciclico e con una teorica assenza di cifre nell’elemento <Imponibile>, dato che il mese in analisi non è lavorato. Se, invece, è presente l’<Imponibile>, questo potrà riferirsi solo a importi riferiti al tempo già lavorato in un mese diverso da quello di corresponsione della retribuzione ivi dichiarata; se, invece, il mese è parzialmente lavorato, il nuovo codice “DR00” in <TipoLavStat> non va inserito. Nell’elemento <TipoCopertura> in <Settimana> restano le ordinarie regole di compilazione (con ordinaria apposizione di X o 2 per retribuito o coesistente con contr.ne figurativa); in caso contrario, ogni settimana integralmente non lavorata per effetto del part-time verticale/ciclico va contrassegnata con il nuovo codice “D”. Nell’elemento <Lavorato>, in <Giorno>, i giorni privi di prestazione lavorativa per il part-time sono da valorizzare con il codice “N”.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, l’Inps ha diffuso le ulteriori istruzioni operative per la corretta compilazione del flusso UniEmens, alla luce della L. 178/2020, per i lavoratori part-timers ciclici o verticali, integrando i punti già specificati al § 3 della circolare 74/2021. Per i lavoratori del settore privato il messaggio ha chiarito come il codice “DR00” contrassegnerà il mese totalmente privo di prestazione lavorativa, in cui è presente almeno un periodo interamente non lavorato per part-time verticale o ciclico, con illustrazione delle casistiche in cui è necessario apporre il <TipoLavStat> “DR00”, al di fuori delle quali lo stesso non dovrà essere utilizzato.

Anche prima dell’intervento della L. 178/2020, la normativa previdenziale riconosceva già al lavoratore una retribuzione pensionabile, che, in sostanza, risulta pari a quella che avrebbe ricevuto nel caso in cui il rapporto di lavoro fosse proseguito con orario a tempo pieno, andando ad ampliare il lasso temporale nel quale ricercare le retribuzioni pensionabili per il calcolo della quota A, vale a dire gli ultimi 5 anni per le anzianità maturate entro il 1992, e della quota B, ossia gli ultimi 10 anni per le anzianità maturata dal 1993 sino al 1995 o sino al 2011, a seconda dei casi, di un periodo che deve corrispondere esattamente al numero di settimane mancanti alla piena annualità ai fini della misura della pensione. Questo meccanismo, dunque, impedisce che gli ultimi anni di lavoro svolto a tempo parziale possano svalutare le quote dell’assegno afferenti al metodo di calcolo retributivo, mettendo in pratica una clausola di salvaguardia di particolare importanza per gli assicurati, che, in alcuni casi, potrebbero anche beneficiare di un aumento della quota retributiva, dal momento che, ampliandosi il periodo di riferimento per la ricerca delle ultime 260 o 520 settimane, verranno rivalutati a ritmi maggiori le retribuzioni più remote nel tempo.