Responsabilità contrattuale del committente in caso di recesso illegittimo nell’ambito di un contratto di collaborazione autonoma

La casa di cura “Residenza Sigma” procedeva al recesso senza preavviso da un asserito “contratto di incarico libero professionale” con una fisioterapista. In particolare, la fisioterapista in questione prestava da oltre 9 anni in via continuativa la propria attività per conto dei degenti ricoverati presso la casa di cura.
Negli ultimi 3 anni, il fatturato che la fisioterapista generava per l’attività svolta per conto della casa di cura e dei relativi pazienti era stato superiore al 50% del totale del proprio fatturato complessivo. La collaborazione tra la fisioterapista e la casa di cura si era svolta senza alcuna formalizzazione contrattuale per 7 anni e solo negli ultimi 2 anni era stata regolata dal citato “contratto di incarico libero professionale”, sin quando la fisioterapista era stata allontanata dalla casa di cura (senza più ricevere incarichi successivamente) a seguito di un episodio, poi accertato come mero equivoco, risolto senza danni per la casa di cura e i relativi pazienti.
La sottoscritta fisioterapista si rivolgeva dunque al suo consulente di fiducia al fine di far accertare  l’illegittimità del recesso della casa di cura dal “contratto di incarico libero professionale”.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, nell’ambito del lavoro autonomo, gli articoli 2222-2228 cod. civ., disciplinano il “contratto d’opera”. In particolare, l’articolo 2222, cod. civ., definisce “d’opera” il contratto in cui “una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”. Sempre in materia di contratto d’opera e a proposito del recesso da parte del committente, l’articolo 2227, cod. civ., stabilisce che “Il committente può recedere dal contratto, ancorché sia iniziata l’esecuzione dell’opera, tenendo indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno”. Come altrettanto noto, gli articoli 2229-2238, cod. civ., disciplinano le “professioni intellettuali”. In particolare, l’articolo2230, cod. civ., dispone che il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente (ossia le succitate disposizioni relative al “contratto d’opera”)”. Quanto al recesso, l’articolo2237 , cod. civ., dispone che “Il cliente può recedere dal contratto, rimborsando al prestatore d’opera le spese sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta”. L’articolo 2229, cod. civ., dispone che, per l’esercizio delle professioni intellettuali, è necessaria l’iscrizione in appositi Albi od elenchi tenuti dagli Ordini professionali riconosciuti dalla legge. Una prima differenza tra il contratto con oggetto l’esercizio di una professione intellettuale e il contratto d’opera in generale è il lavoro prevalentemente materiale e non intellettuale proprio del generico contratto d’opera avente ad oggetto la realizzazione di un’opera o di un servizio.
Sotto un diverso profilo, la differenza tra il contratto con oggetto l’esercizio di una professione intellettuale e il contratto d’opera in generale risiede nel compenso che, salva diversa pattuizione, per l’opera manuale e non per quella intellettuale, è dovuto solo quando il cliente ottenga il risultato prestabilito.
In questo senso, la prestazione d’opera intellettuale si configura generalmente come obbligazione di mezzi e non di risultato: colui che esercita una professione intellettuale è tenuto a svolgere in modo diligente l’attività oggetto del contratto, senza però essere obbligato al conseguimento di un determinato risultato. Un’ulteriore differenza tra le 2 fattispecie riguarda poi il recesso dal contratto. In particolare, nel caso del contratto d’opera, in caso di recesso del committente, questi è tenuto a tenere indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno (articolo 2227, cod. civ.). Per contro, nel caso di recesso del cliente dal contratto d’opera intellettuale, questi è tenuto a rimborsare al prestatore d’opera intellettuale le spese sostenute e a pagargli il compenso per l’opera svolta, ma non è obbligato a tenerlo indenne del mancato guadagno. Una volta definita la consulenza o prestazione d’opera, sebbene non sia obbligatoria la forma scritta, generalmente si procede alla compilazione di un contratto di prestazione d’opera scritto e firmato dalle parti. Questo documento (unico riferimento per un eventuale contenzioso) è bene che comprenda:- la descrizione dettagliata dell’opera o del servizio richiesti; i tempi di consegna da parte del committente; materiali necessari alla progettazione e /o realizzazione;i tempi di consegna del lavoratore; il prezzo pattuito;i tempi di pagamento;la data e le modalità di recesso. Caratteristica del contratto d’opera è l’autonomia. I criteri per distinguere l’autonomia dalla dipendenza e quindi il contratto d’opera dal contratto di lavoro subordinato sono molteplici. Il dipendente ha il dovere di osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro per la disciplina e l’esecuzione della prestazione ed è inserito nell’organizzazione produttiva del datore stesso. Inoltre egli presta le proprie energie lavorative, laddove con il contratto d’opera il soggetto si obbliga a pervenire ad un certo risultato (art. 2225 c.c.). Infine il rischio dell’attività produttiva è tipico del contratto d’opera mentre è ignoto al contratto di lavoro dipendente. La  disciplina del contratto d’opera per larga parte è inoltre identica a quella dell’appalto. Così per quanto riguarda il potere (implicito) di verifica in corso d’opera da parte del committente e il relativo diritto di recedere (anziché risolvere il contratto) se il prestatore d’opera non si conforma alle condizioni contrattuali (art. 2224 c.c.). Così per quanto riguarda le difformità ed i vizi dell’opera (peraltro con il termine di denuncia di otto giorni anziché di sessanta e la prescrizione dell’azione annuale anziché biennale) (art. 2226 c.c.); il recesso unilaterale da parte del committente (art. 2227 c.c.); l’impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera (art. 2228 c.c.).L’unica, peraltro marginale, diversità si ravvisa nei criteri dettati per la fissazione del corrispettivo. Anche in tal caso si procede, gerarchicamente, avuto riguardo innanzitutto alla pattuizione, poi alle tariffe, indi agli usi ed infine alla determinazione del giudice, il quale, ed ecco la peculiarità, deciderà con riferimento al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo (art. 2225 c.c.).
E’ previsto che per la realizzazione dell’opera il committente disponga una serie di direttive, alle quali il prestatore deve attenersi, senza però che queste siano tali da inficiare l’autonomia del prestatore, nello svolgimento della sua attività.Una volta realizzata l’opera o prestato il servizio, è previsto un collaudo da parte del committente al fine di verificare che l’attività svolta sia corrispondente a quanto pattuito; tale controllo è svolto da personale tecnico.
Il contratto d’opera si ritiene estinto, oltre che con l’adempimento delle reciproche obbligazioni, nel caso di recesso del committente o per impossibilità sopravvenuta di esecuzione dell’opera. In entrambi i casi, il prestatore ha diritto al compenso per il lavoro effettuato.

Il contratto d’opera manuale (che ha ad oggetto l’obbligo di compiere un’opera o un servizio) si distingue nettamente dal contratto d’opera intellettuale, attività, questa, riservata alla persona fisica, in caso di professioni c.d. protette (Corte Cost., sentenza n. 17/1976), che prevedono l’iscrizione ad un albo (ad es. avvocato, ma non operatore informatico). Il limite vale per l’attività esercitata in forma di società di capitali, ma non di persone, per le quali non sussiste il pericolo di svolgimento anonimo o impersonale ratio del divieto.La retribuzione è fissata in base agli accordi o, in mancanza, in base alle tariffe e agli usi ovvero dal giudice (art. 2233 c.c.). L’iscrizione all’albo, quando prevista, è condizione per poter esigere il compenso (art. 2231 c.c.).
L’art. 2233, co. 2, stabilisce poi che in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera ed al decoro della professione. Questa puntualizzazione normativa è molto importante perché dimostra il particolare favore con cui il legislatore vede il contratto d’opera professionale rispetto a quello manuale. Tale favore si manifesta anche sotto altro e più pregnante profilo.
Il rischio del lavoro, infatti, nel caso del professionista è a carico del cliente, perché il compenso è dovuto a prescindere dal risultato. Esattamente opposta è la condizione del prestatore d’opera manuale, tanto ciò è vero che anche nella fissazione del compenso il giudice deve tenere presente, come criterio per la liquidazione, il risultato ottenuto oltre al lavoro normalmente necessario per ottenerlo.
In termini giuridici questa opposta condizione deriva dal fatto che di regola l’obbligazione a carico del professionista è un’obbligazione di mezzi mentre quella del prestatore d’opera manuale è un’obbligazione di risultato. Deve avvertirsi peraltro che quando la prestazione professionale si risolve in un’opera, l’obbligazione è di risultato, come nel caso tipico di una protesi dentaria o di un progetto di ingegneria o architettonico. L’obbligazione di mezzi implica solamente un comportamento diligente ed attento senza peraltro alcuna garanzia dell’esito finale e quindi (nei limiti del comportamento diligente) senza rischi per l’eventuale mancata soddisfazione dell’interesse del cliente, il quale, ad esempio, può perdere la lite o non superare l’operazione chirurgica.
Il legislatore, inoltre, conferma il favore per la prestazione intellettuale precisando all’art. 2236 c.c. che nel caso in cui la prestazione comporti la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave. Si tratta, peraltro, solo di una precisazione e non già di una limitazione di responsabilità, perché la colpa grave rapportata alla speciale difficoltà del caso finisce per atteggiarsi come una colpa lieve. La giurisprudenza  interpreta comunque restrittivamente la norma considerando ad esempio problemi di speciale difficoltà in campo medico malattie non ancora sufficientemente studiate o oggetto di dibattiti scientifici con sperimentazioni di sistemi diagnostici e terapeutici diversi e contrastanti.
Infine, anche per i professionisti vige il principio della postnumerazione del corrispettivo, ma il cliente deve anticipare le spese occorrenti al compimento dell’opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso (art. 2234 c.c.).

IMPLICAZIONI

La questione oggetto di approfondimento, ha come fulcro il recesso senza preavviso di una casa di cura da un asserito “contratto di incarico libero professionale” con una fisioterapista. In particolare, la fisioterapista in questione prestava da oltre 9 anni in via continuativa la propria attività per conto dei degenti ricoverati presso la casa di cura.

Negli ultimi 3 anni, il fatturato che la fisioterapista generava per l’attività svolta per conto della casa di cura e dei relativi pazienti era stato superiore al 50% del totale del proprio fatturato complessivo.

La collaborazione tra la fisioterapista e la casa di cura si era svolta senza alcuna formalizzazione contrattuale per 7 anni e solo negli ultimi 2 anni era stata regolata dal citato “contratto di incarico libero professionale”, sin quando la fisioterapista era stata allontanata dalla casa di cura (senza più ricevere incarichi successivamente) a seguito di un episodio, poi accertato come mero equivoco, risolto senza danni per la casa di cura e i relativi pazienti.

Per incarico di collaborazione libero professionale si intende la prestazione di natura temporanea e altamente qualificata resa da un professionista esterno all’Azienda sulla base dell’instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo. Sono liberi professionisti tutti coloro che esercitano in proprio una libera professione intellettuale (consulenti del lavoro, avvocati, architetti, commercialisti, tanto per fare degli esempi), sono per lo più laureati, hanno un Albo o sono iscritti a ruoli, registri o elenchi riconosciuti. Il contratto risulta essere dunque necessario per evitare che si verifichino scostamenti tra quanto richiesto dal professionista e quanto offerto dal cliente. Nel caso in cui questi sussistano, è necessario fare in modo che essi siano preventivamente concordati, sia dal punto di vista degli aspetti tecnico-operativi, sia per quanto concerne gli aspetti economici. Nella gestione delle offerte pervenute all’attenzione del professionista infermiere, lo stesso dovrà tener conto di diversi fattori, nonché delle richieste del committente. Nel caso arrivino richieste di offerta ritenute urgenti, il professionista può decidere in completa autonomia se procedere o meno alla definizione di un contratto; in caso contrario, le richieste di offerta pervenute vengono esaminate al fine di verificarne la fattibilità prima di procedere all’approvazione.

L’esame di fattibilità della richiesta comprende i seguenti punti:

  • competenza da parte del professionista infermiera di erogare le prestazioni professionali richieste;
  • disponibilità delle risorse umane in funzione sia del tempo richiesto che della zona geografica di intervento.

Se l’esame di fattibilità risulta positivo, gli infermieri avviano l’iter necessario per arrivare alla definizione di un contratto con il committente. Sarebbe opportuno che le valutazioni, sia positive che negative, fossero registrate per favorire tracciabilità e stimolo al miglioramento. Qualora il committente richiedesse il preventivo, ai sensi dell’art. 9 D.L. 1/2012, è necessario che si riporti:

  • referente;
  • tipologia di attività;
  • luogo di espletamento;
  • orario di lavoro;
  • tariffe;
  • fatturazione/pagamenti;
  • validità;
  • eventuali note.

 Il rapporto di natura libero professionale si basa sul cosiddetto intuitus personae, che indica, nel linguaggio giuridico, quei rapporti contrattuali nei quali si ritengono di particolare rilevanza le qualità personali dei soggetti contraenti. Tali contratti, in quanto basati sulla fiducia personale, sono intrasmissibili.

È tipicamente un contratto basato sull’intuitus personae il contratto di consulenza con un libero professionista, individuato sulla base non di una mera convenienza economica, quanto sull’affidamento che il cliente valuta relativamente alla qualità garantita nell’esecuzione delle prestazioni professionali. Sotto questi aspetti non è dunque cogente la stipula di un contratto scritto, ma si ritiene utile provvedere alla formulazione dello stesso, qualora il rapporto professionale, per sua natura, configuri ad esempio prestazioni continuative, reiterate per tempi prolungati o di particolare complessità ed articolazione.

Qualora si rendesse necessaria la definizione di un contratto, in esso verranno riportati: 

  • denominazione committente;
  • premesse con indicazione attività;
  • definizione attività;
  • tempistica e orari intervento;
  • compenso;
  • sede di espletamento attività;
  • validità;
  • registrazione;
  • controversie.

La firma dell’infermiere libero professionista o del responsabile dello studio sull’offerta costituisce evidenza del riesame effettuato e della conseguente capacità di rispettare i termini delle richieste presentate dal committente.

  • ordine del committente può essere formalizzato mediante:
  • firma per accettazione da parte del committente del contratto;
  • accettazione scritta da parte del cliente privato;
  • documentazione, se presente, inerente al Sistema di Gestione della Qualità (SGQ).

In quest’ultimo caso, l’infermiere esamina i dati in esso contenuti per verificarne la completezza e univocità in relazione a quanto indicato nel contratto. La firma, dunque, costituisce evidenza del riesame effettuato e della conseguente capacità dello studio/società e/o del professionista di rispettare i termini del contratto.

Unitamente al contratto fatto con il committente, vengono distribuite le informative sulla privacy e si raccoglie il consenso informato all’atto sanitario.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento una prestazione d’opera rappresenta un impegno da parte di un soggetto (prestatore d’opera) di erogare un servizio o compiere un’opera a un altro soggetto (committente), dietro pagamento di un compenso. A differenza del lavoro di tipo subordinato, il prestatore d’opera gestisce in maniera autonoma i tempi e le modalità di esecuzione del lavoro (normativa di riferimento: art. dal 2222 al 2228 c.c.; per le prestazioni d’opera intellettuale: art.: 2229-2238 c.c.).

Le prestazioni d’opera sono prestazioni di lavoro del tutto autonome e quindi vengono svolte utilizzando la partita IVA, aperta appunto a nome del prestatore, che diventa di fatto un imprenditore (di solito si apre una ditta individuale) o un lavoratore libero professionista, sempre con partita IVA. Con l’azienda committente poi, potrà essere stipulato un contratto di collaborazione professionale.

Il prestatore d’opera quindi, poichè é un lavoratore autonomo a tutti gli effetti, dovrà provvedere in maniera autonoma agli adempimenti contabili e fiscali (emissione fatture, etc.), al versamento delle tasse e dei contributi (INPS o presso altra cassa se é un libero professionista con cassa). Per questo dovrà rivolgersi a un consulente o un commercialista.

Il contratto di prestazione d’opera è stato al centro dell’attenzione della riforma Fornero, poichè é stato rilevato che, non di rado, il collaboratore viene costretto dal committente ad “aprirsi” la partita IVA, per evitare il ricorso a tipologie contrattuali più costose (contratto di lavoro subordinato o contratto a progetto, per esempio).

A tal proposito, per arginare il fenomeno di abuso e utilizzo improprio dei contratti di prestazione d’opera con partita IVA, la riforma Fornero (Legge 92/2012) ha introdotto un cosiddetto “principio di presunzione”. Con la riforma, il contratto si presume di collaborazione coordinata e continuativa a progetto se sussistono almeno due di questi elementi:

– durata complessiva del rapporto con lo stesso committente, maggiore di 8 mesi all’anno, per due anni consecutivi,

– in due anni solari, oltre l’80% del fatturato del prestatore d’opera con partita IVA, deriva da una stessa impresa;

– il prestatore ha una postazione fissa nell’azienda del committente.

Se sussistono almeno due dei suddetti elementi, il lavoratore potrà ricorrere al giudice per chiedere la conversione del contratto di collaborazione professionale in collaborazione a progetto e, solo di conseguenza, in un contratto a tempo indeterminato se sussistono i requisiti.

Purtroppo però, le novità introdotte rischiano di trasformarsi in carta straccia, visto che la legge ha contemporaneamente previsto delle eccezioni. Infatti, i tre presupposti di cui sopra, non si applicano se il reddito annuo lordo incassato dal collaboratore supera i € 18.662 lordi e nei casi in cui il collaboratore é iscritto ad albi, elenchi o ordini professionali.

Le norme volte a limitare l’utilizzo improprio del contratto di prestazione d’opera quindi, si applicano solo per livelli di reddito molto bassi e attività molto generiche (come sottolineato, sono esclusi gli iscritti ad albi professionali). Di fatto quindi, le novità della riforma Fornero sono applicabili a una ristretta cerchia di prestatori d’opera.
 Il  “contratto di incarico libero professionale”, potrebbe dunque essere sussunto nell’alveo delle collaborazioni continuate e continuative, con applicazione delle norme di cui agli articoli 2222 ss., cod. civ., e, in particolare, dell’articolo 2227, cod. civ..

La collaborazione coordinata e continuativa è un’ipotesi di lavoro autonomo caratterizzata dall’obbligo del collaboratore di svolgere, in via continuativa, una prestazione prevalentemente personale a favore del committente ed in coordinamento con quest’ultimo.
L’ipotesi è contemplata dall’art. 409 n. 3 c.p.c., che ha anche esteso l’applicazione del rito del lavoro alle controversie relative anche a questo tipo di rapporti di collaborazione. Questa disposizione muove dall’apprezzabile intento di estendere le garanzie processuali e sostanziali a quelle categorie di lavoratori che, pur in assenza di formale subordinazione, subiscono situazioni di soggezione economica tale da comportare una loro sostanziale subordinazione all’imprenditore.
Questo tipo di rapporto di lavoro, definito parasubordinato, si differenzia dal lavoro dipendente per l’assenza del vincolo di subordinazione, come pure dal lavoro autonomo in senso stretto, inteso come esercizio di arte o di professione, e dall’attività imprenditoriale, posto che manca un’organizzazione di mezzi.

In questo senso,, il “contratto di incarico libero professionale”, per quanto non espressamente ivi disciplinato, richiamava anche le disposizioni di cui all’articolo 2222 ss., cod. civ., e, inoltre, prevedeva l’obbligo di preavviso in caso di recesso dal contratto di una delle parti, salvi i casi di sussistenza di una giusta causa legittimanti la risoluzione immediata del contratto.

rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, alla luce delle novità introdotte nel 2015 e nel 2017 si differenzia:

  • dal lavoro subordinato (art. 2094 c.c.), in quanto non sussiste alcun vincolo di subordinazione: il lavoratore subordinato, come già precisato, si obbliga, a fronte della retribuzione, a collaborare con l’impresa mettendo a disposizione le proprie energie lavorative alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore;
  • dal lavoro autonomo, inteso come esercizio di arte o professione (art. 2229 c.c.), ma anche come contratto d’opera (art. 2222 c.c.), dal momento che tali rapporti sono caratterizzati dall’organizzazione dei mezzi e dall’assunzione del rischio d’impresa in capo al lavoratore.

Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è caratterizzato dallo svolgimento di un determinato servizio o dall’esecuzione di una data opera con carattere continuativo in favore del committente, secondo istruzioni fornite nel corso del rapporto dal committente, ma preventivamente concordate con il collaboratore.
La scelta delle modalità di adempimento della prestazione spetta, in ogni caso, al collaboratore, che opera in funzione del risultato da raggiungere.
La collaborazione coordinata e continuativa può avere ad oggetto sia un’attività intellettuale, che un’attività manuale.
In sintesi, le caratteristiche del rapporto sono le seguenti.

La definizione dei tempi di lavoro e delle modalità di svolgimento del servizio o di esecuzione dell’opera è rimessa all’autonomia del collaboratore, posto che l’interesse del committente riguarda il raggiungimento del risultato pattuito e non – come avviene nel lavoro subordinato – la disponibilità di una prestazione eterodiretta.
Il collaboratore gode, pertanto, di totale autonomia nella scelta delle modalità di adempimento della prestazione, ma deve svolgere la stessa in funzione delle finalità e delle necessità dell’imprenditore.

 Il collaboratore deve coordinare la propria attività con le esigenze dell’organizzazione aziendale del committente.
Il committente, quindi, ha la possibilità di fornire delle direttive al collaboratore nei limiti dell’autonomia professionale del collaboratore stesso e, comunque, di quanto preventivamente concordato con lo stesso; in ogni caso, non può essere pretesa una prestazione o un’attività che esuli da quanto originariamente pattuito con il collaboratore, né può privare il collaboratore della sua autonomia nello svolgimento della prestazione.
In particolare, il committente non deve esercitare un controllo sull’attività svolta del collaboratore.
Il collaboratore può utilizzare i locali e le attrezzature del committente, mentre è escluso il suo inserimento strutturale nell’organizzazione gerarchica dell’impresa.

 La prestazione non deve essere meramente occasionale, bensì continuativa e resa in misura apprezzabile nel tempo.
Conseguentemente, l’accordo fra le parti deve comportare lo svolgimento costante da parte del collaboratore a favore del committente di una serie imprecisata di attività. Esulano, pertanto, da tali rapporti quelli che, estrinsecandosi in una relazione occasionale con il committente, sono destinati ad esaurirsi con il compimento dell’unica prestazione oggetto dell’accordo delle parti.

Tale caratteristica consiste nella necessaria prevalenza del carattere personale dell’apporto lavorativo del collaboratore, il quale può avvalersi di mezzi del committente ed anche avvalersi di altri soggetti, sempreché non si perda la preminenza della sua personale partecipazione, né l’unicità della responsabilità gravante su di lui.

 L’art. 2 comma 3 del decreto legislativo n. 81/2015 prevede la possibilità di chiedere alle apposite commissioni costituite ai sensi dell’art. 76 del decreto legislativo n. 276/2003 la certificazione dell’assenza dei requisiti della eteroorganizzazione.
Il lavoratore, ove lo ritenga opportuno, può farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.
La presunzione legale della eteroorganizzazione prevista dall’art. 2 comma 3 del decreto legislativo n. 81/2015 è entrata in vigore il 1° gennaio 2016.

Nel caso di assenza dei requisiti di genuinità del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, per iniziativa del lavoratore o a seguito di accertamento ispettivo, si applicano le conseguenze legate alla riqualificazione del rapporto. Ciò significa che il collaboratore avrà diritto all’applicazione in suo favore di ogni istituto legale o contrattuale normalmente applicabile in forza di un rapporto di lavoro subordinato, ed in particolare:

 I compensi erogati dal committente al collaboratore vengono riqualificati come “retribuzione” e sorge il diritto, in capo al collaboratore, di ricevere le eventuali differenze, se il compenso di fatto percepito è inferiore al minimo contrattuale previsto dal CCNL applicabile per la relativa categoria.
In base al principio dell’assorbimento, non possono essere liquidate al lavoratore le mensilità aggiuntive, nel caso in cui, a seguito del raffronto tra quanto in concreto percepito complessivamente dal lavoratore ed il trattamento minimo previsto dal CCNL, quest’ultimo sia stato già integralmente corrisposto.

Se il rapporto che viene riqualificato è cessato, vi sono delle ulteriori conseguenze.
Il lavoratore ha diritto al pagamento del TFR e delle altre competenze di fine rapporto.
Il principio dell’assorbimento non trova applicazione per le indennità di fine rapporto che maturano al momento della cessazione del rapporto.
Non solo: il recesso del committente comporta per il lavoratore il diritto al preavviso, ove il recesso non sia sorretto da giusta causa, e, se il recesso è illegittimo, alla tutela reale od obbligatoria.

 Il datore di lavoro, a seguito della riqualificazione del rapporto, è tenuto a versare all’INPS la contribuzione sociale nella misura dovuta per il lavoro subordinato.
A tali somme vanno aggiunte le sanzioni per evasione contributiva, calcolate sulla base dell’ammontare dei contributi omessi.
La contribuzione va versata anche per la quota-parte del lavoratore dal datore di lavoro, senza diritto di trattenere tale quota al lavoratore.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Alla luce delle premesse normative e delle considerazioni esposte in precedenza dunque, sarebbe applicabile al caso di specie  l’articolo 2227cod. civ., in tema di risarcimento da mancato guadagno (disposizione tipica del contratto d’opera di cui all’articolo 2222, cod. civ.) a una professione intellettuale, quale è considerata quella del fisioterapista a seguito dell’entrata in vigore della L. 3/2018 e del Decreto del Ministero della salute del 13 marzo 2018.

Ad avviso ci chi scrive, una tale applicazione sembra anzitutto compatibile e coerente col disposto normativo di cui all’articolo 2230, cod. civ., laddove si prevede che le disposizioni relative al contratto d’opera (articoli 2222-2228, cod. civ.), in quanto compatibili, possano essere applicate anche al contratto d’opera intellettuale.

Sotto un diverso profilo, l’applicazione dell’articolo 2227, cod. civ., anche al contratto d’opera intellettuale, sarebbe coerente con l’orientamento prevalente della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui,

“la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, quale contemplata dall’art. 2237 c.c., comma 1, non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto” ( Cass 21904/2018);

Ciò a maggior ragione nei casi in cui, come quello di specie, il contratto tra committente e professionista “intellettuale” richiami anche le disposizioni di cui all’articolo 2222 ss., cod. civ., e/o preveda l’obbligo di preavviso in caso di recesso dal contratto di una delle parti.

Pertanto potrebbe sussistere la possibilità per i contraenti di derogare l’articolo 2227, cod. civ., laddove tale articolo non preveda, in caso di recesso privo di giusta causa da parte del committente, la corresponsione in favore di un professionista di un risarcimento pari al mancato guadagno.

Dall’altro lato, il Tribunale di Milano ha comunque ritenuto applicabile l’articolo 2227, cod. civ., in tema di mancato guadagno anche alle professioni intellettuali, laddove, da un esame complessivo delle diverse clausole contrattuali e del comportamento, anche successivo, delle parti, tale applicazione risulti coerente con la comune intenzione delle parti contraenti.

A parere di chi scrive, i suesposti principi sono condivisibili soprattutto in relazione a quelle professioni (quale tipicamente quella del fisioterapista), che, seppur classificate come “intellettuali” (stantel ’obbligo di iscrizione al relativo Albo o elenco), richiedano pedissequi continuità e coordinamento da parte del committente che li rendono – anche in relazione al tipo di attività che il professionista deve effettuare e alle relative modalità di svolgimento – assimilabili al contratto d’opera e al contratto di servizio di cui all’articolo 2222, cod. civ..