Recesso illegittimo se la contestazione copia e incolla la relazione ispettiva

La  Corte di Cassazione con ordinanza 28502 del 30 settembre 2022 ha specificato che la contestazione dell’addebito deve essere specifica, nel senso che in essa vanno esposte, puntualmente, le circostanze essenziali del fatto ascritto al lavoratore, di modo da consentire a quest’ultimo il pieno esercizio del suo diritto di difesa.

In tale contesto, spetta al giudice di merito verificare la specificità degli addebiti, attraverso un apprezzamento che non è non censurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivato.

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso promosso da una banca contro la decisione di annullamento del licenziamento irrogato al direttore di una filiale, con conseguente reintegra nel posto di lavoro e pagamento dell’indennità risarcitoria.

Il recesso, nella specie, era stato intimato sulla base della contestazione di una serie di irregolarità, riscontrate a seguito di una relazione ispettiva sulla anomala operatività della filiale, tra le quali omesse segnalazioni di operazioni sospette, cambio di assegni in contrasto con le prescrizioni della vigente normativa, concessione di reiterati sconfinamenti per addebiti diversi e di sconfinamenti rivolti ad addebitare assegni bancari tornati insoluti.

Secondo la Corte territoriale, si trattava di una contestazione disciplinare “oscura ed ambigua” in alcuni punti, senza una chiara indicazione del comportamento richiesto al dipendente.

Non risultava, ciò posto, che il datore di lavoro avesse adeguatamente dimostrato il giustificato motivo soggettivo, vale a dire il notevole inadempimento da parte del lavoratore, con conseguente non assolvimento dell’onere probatorio normativamente prescritto.

La lunghissima contestazione disciplinare – aveva evidenziato il giudice di secondo grado – era in larga parte frutto di frettoloso “copia -incolla” della relazione di ispezione, per come poteva riscontrarsi dalla lettura comparata della nota di servizio AUDIT sull’anomala operatività presso l’Agenzia e la contestazione disciplinare stessa, in gran parte identiche.

L’istituto di credito si era rivolto alla Suprema corte, avanzando doglianze che, tuttavia, sono state giudicate inammissibili anche in questa sede.

La Cassazione, sulla questione, ha rammentato il consolidato e sopra richiamato orientamento secondo cui la contestazione dell’addebito deve essere specifica, dovendo contenere, ossia, l’esposizione puntuale delle circostanze essenziali del fatto ascritto al lavoratore.

Per gli Ermellini, la motivazione resa dalla Corte territoriale era adeguata e logica nonché esente dai denunciati vizi di cui all’art. 360 n. 5 cpc: attraverso un esame accurato della documentazione e delle risultanze istruttorie, era stata riscontrata la mancanza di prova sulla illiceità dei fatti e sulla ricorrenza del notevole inadempimento, in capo al lavoratore, tale da radicare legittimamente il giustificato motivo soggettivo, essendo la Banca venuta meno all’onere di dimostrare la sussistenza dei fatti nel loro rilievo illecito.

Ciò rendeva inammissibili le richieste di una diversa rivalutazione dei fatti di causa, attività – come detto – preclusa in sede di legittimità.