Cassazione: sì al risarcimento dei danni da superlavoro

La Corte di Cassazione con ordinanza 34968 del 28 novembre ha chiarito che in tema di azione per il risarcimento ex art. 2087 c.c. dei danni cagionati dalla richiesta di un’attività lavorativa eccedente la tollerabilità (cosiddetto “superlavoro”), il lavoratore è tenuto ad allegare compiutamente lo svolgimento della prestazione secondo le predette modalità nocive ed a provare il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno.

Il datore di lavoro, invece, stante il dovere di assicurare che l’attività di lavoro sia condotta senza che essa risulti in sé pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, è tenuto a dimostrare che, viceversa, la prestazione si è svolta, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili per l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore.

E’ alla luce di tale assunto che la Corte di cassazione ha accolto, con rinvio, il ricorso presentato da un lavoratore che si era visto rigettare, dai giudici di merito, la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti del datore di lavoro per i danni subiti a seguito dello svolgimento di attività lavorativa in sovraccarico.

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata aveva errato nell’applicare le norme che disciplinano, in materia, la responsabilità datoriale e i principi sul riparto degli oneri probatori.

Lo stesso, colpito da infarto, aveva denunciato che tale evento dannoso fosse ascrivibile alla condotta del datore di mancato approntamento delle cautele organizzative necessarie a preservare l’integrità dei lavoratori. A fronte di tale deduzione, spettava alla parte datoriale dimostrare l’avvenuta adozione di tutte le misure utili a tal fine.

Per la Corte, infatti, quando si persegue un tale risarcimento quale conseguenza non di fattori esogeni ma proprio per effetto in sé dell’attività lavorativa, quello che viene addotto è l’inadempimento datoriale all’obbligo di garantire che lo svolgimento del lavoro non sia fonte di pregiudizio indebito, nel senso di eccedente l’usura psicofisica connaturata all’esecuzione di quell’attività.

Tuttavia, il nesso eziologico tra l’infarto e l’attività lavorativa in concreto svolta era da ritenere pacifico nonché attestato dal riconoscimento, incontestato, di un equo indennizzo per la causa di servizio.

Era infatti evidente che, laddove, come nella specie, il danno derivi dalla denuncia di un “superlavoro”, il nesso causale riconosciuto per la causa di servizio non può che essere identico a quello per l’azione di danno, quando le due pretese riguardino la medesima attività svolta, spettando al datore liberarsi dalle istanze risarcitorie attraverso la dimostrazione dell’inesistenza di un suo inadempimento.

Da qui la necessità di svolgere ex novo il giudizio sulla responsabilità datoriale, tenendo conto del delineato assetto degli oneri probatori.