ETS: non è consentito porre discriminazioni di qualsiasi natura per l’ammissione degli associati

Con Nota direttoriale n. 4581 del 6 aprile 2023, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito chiarimenti sugli articoli 21, 26 e 35 del Codice del Terzo Settore in riferimento alla coerenza e ragionevolezza nei riferimenti all’ispirazione confessionale degli Enti del Terzo Settore.

Il Quesito

Un Ufficio regionale del RUNTS ha evidenziato che alcuni enti, non appartenenti alla fattispecie degli enti religiosi civilmente riconosciuti di cui all’articolo 4 comma 3 del Codice del terzo settore, traendo “ispirazione da movimenti o credo religiosi”, contemplano nei relativi statuti “norme che limitano l’accesso o la possibilità di assumere ruoli all’interno dell’ente all’appartenenza a confessioni religiose specifiche, ovvero prescrivono la non appartenenza a credo religiosi o confessioni religiose da quelle da cui traggono ispirazione o costituiscano per loro riferimento (ad es. per assumere il ruolo o le funzioni di componente dell’organo di gestione)”; o ancora che in detti statuti hanno inserito “previsioni che attengono lo svolgimento di attività di culto, attività di evangelizzazione, svolgimento di esercizi spirituali ecc. non riconducibili ad alcuna di quelle declinate dall’art. 5 CTS; attività (che) sembrano assumere carattere decisamente prevalente”; o infine attribuiscono alla “competente autorità ecclesiastica” la vigilanza “sull’integrità della fede e dei costumi, anche in merito a tutte le attività procedure e deliberazioni prese”.

L’Ufficio richiedente osserva che “dette attività e/o previsioni non rientrano tra quelle declinate dall’art. 5 del CTS” e ove “contrastino con i principi di non discriminazione e con il carattere aperto che devono caratterizzare gli enti del Terzo settore” se “occorre che gli stessi regolarizzino quanto necessario ai fini della loro iscrizione nel Runts”.

La risposta del Ministero

Il Ministero ha precisato che occorre preliminarmente considerare come il legislatore della riforma abbia posto tra i principi e i criteri direttivi della delega contenuta nella legge n. 106/2016 quello di ”assicurare, nel rispetto delle norme vigenti, l’autonomia statutaria degli enti, al fine di consentire il pieno conseguimento delle loro finalità e la tutela degli interessi coinvolti” [articolo 2, comma 1, lettera b)]; al successivo articolo 4 della medesima legge, è precisato che lo svolgimento delle attività di interesse generale da parte degli enti del Terzo settore, avviene “in coerenza con le previsioni statutarie” [comma 1, lett. b)]; le forme e le modalità di organizzazione, amministrazione e controllo disciplinate dal legislatore delegato, devono tenere “conto delle peculiarità della compagine e della struttura associativa” [comma 1, lettera d)].

In sostanza, il Codice, dando attuazione alla Costituzione e alla legge delega:

– individua le attività di interesse generale e le tipologie di enti, graduando tra queste ultime vincoli e benefici;

– è chiamato ad assicurare, entro i limiti volti a tutelare i principi fondamentali, gli spazi di autonomia che il potere pubblico ha il dovere di rispettare a garanzia di un principio di pluralismo basato non solo sulla possibilità dell’emersione di nuove tipologie di enti rispetto a quelle previste dalle pregresse leggi di settore, ma anche sul diritto di ciascun ente di possedere caratteristiche proprie e di ciascuna formazione sociale di individuare e definire in maniera autonoma una propria chiave di lettura dei valori comuni di solidarietà e partecipazione.

Quanto sopra costituisce una ulteriore declinazione di quella libertà di associazione garantita dall’art. 18 della Costituzione.

Il Ministero mette in evidenza altresì che in via generale le associazioni del Terzo settore devono avere carattere aperto e in particolare alle associazioni di promozione sociale non è consentito porre “discriminazioni di qualsiasi natura in relazione all’ammissione degli associati” (art. 35, comma 2), dall’altro è possibile per le associazioni individuare requisiti per l’ammissione di questi ultimi, secondo “criteri non discriminatori coerenti con le finalità perseguite e l’attività di interesse generale svolta” (art.21, comma 1).

Tuttavia, con nota n. 3734 del 15 aprile 2019 il Ministero ha precisato come le attività di religione e di culto restano estranee all’ambito di applicazione del Codice del Terzo settore, trovando esse in altro quadro regolatorio il proprio regime giuridico di tutela.

Il legislatore del Codice, pur avendo una visione laica delle formazioni sociali qualificabili come ETS, è del tutto estranea una propensione anti-religiosa: non si comprenderebbe, diversamente, come tra le attività di interesse generale siano ricomprese ad esempio l’”organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse religioso” (art. 5, comma 1, lett. k), sia prevista la possibilità per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti di nominare presso le associazioni del terzo settore “uno o più amministratori” (art. 26 comma 5).

Il Ministero ricorda infine che gli enti religiosi, ferme restando le premesse di fondo sulle finalità degli enti del terzo settore, non rappresentano (a differenza delle pubbliche amministrazioni, ma anche delle formazioni e associazioni politiche, dei sindacati, delle associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, delle associazioni dei datori di lavoro) enti “esclusi”, nemmeno ai fini dell’individuazione di situazioni di direzione, controllo o coordinamento a carico di altri enti. Quindi, un’eventuale vigilanza attribuita all’autorità ecclesiastica “sull’integrità della fede e dei costumi” degli associati potrebbe restare un fatto privato di nessun interesse dell’ufficio del RUNTS.

Viceversa, qualora il sindacato dell’Ufficio investisse “attività, procedure e deliberazioni” dell’ente, il criterio di valutazione dovrà essere comunque quello della conformità dell’attività dell’ente con le disposizioni codicistiche.