Falsa timbratura in favore di collega: sì al licenziamento

La Corte di cassazione con ordinanza 5194 del 20 febbraio 2023 ha confermato il licenziamento disciplinare che il MIUR aveva intimato ad una propria dipendente, per falsa attestazione della presenza in servizio.

Il provvedimento disciplinare a carico della lavoratrice, un’insegnante, era motivato dal fatto – peraltro ammesso dalla stessa interessata – che la donna, in due episodi, aveva aiutato una collega ad attestare falsamente la propria presenza in ufficio, strisciando il badge di quest’ultima al suo posto.

Nel confermare la decisione impugnata, la Corte territoriale aveva evidenziato la sussistenza di indizi che deponevano nel senso del carattere preordinato della condotta, compreso il fatto che la donna avesse la disponibilità del badge della collega.

La condotta addebitata si poneva in contrasto con i doveri stabiliti dal CCNL del comparto scuola, non risultando, peraltro, di carattere occasionale, atteso che la contestazione disciplinare di specie era scaturita da accertamenti eseguiti a seguito di denunce presentate da altri impiegati amministrativi dello stesso plesso scolastico e che in tali denunce erano stati segnalati ulteriori episodi di timbratura non regolare da parte della lavoratrice.

Sul punto, gli Ermellini hanno rammentato il più volte affermato principio per cui, nel pubblico impiego privatizzato, vige la regola generale dell’autonomia dei procedimenti, disciplinare e penale, con possibilità di sospensione, facoltativa e non obbligatoria, come ipotesi eccezionale, nei casi di illeciti di maggiore gravità, qualora ricorra il requisito della particolare complessità nell’accertamento, restando, comunque, la Pa “libera di valutare autonomamente gli atti del processo penale e di ritenere che essi forniscano, senza necessità di ulteriori acquisizioni e indagini, elementi sufficienti per la contestazione di illecito disciplinare al proprio dipendente”.

Nella vicenda esaminata, dunque, la Corte territoriale aveva correttamente escluso valenza vincolante all’assoluzione dell’odierna ricorrente – peraltro motivata con la particolare tenuità del fatto, e non per non averlo commesso, risultando quindi non smentita la materialità dei fatti medesimi – ed aveva operato, come già aveva fatto l’Amministrazione, un’autonoma valutazione dei fatti, giustificata anche dal fatto che la decisione di gravame si era venuta a fondare su un corredo probatorio più ampio rispetto a quello del giudice penale.