Situazione di potenziale conflitto con interessi aziendali? Va segnalata

Il Tribunale di Roma, con sentenza  del 14 marzo 2023  ha giudicato legittimo il licenziamento disciplinare che un’azienda aveva comminato ad un proprio dipendente per non aver informato dell’esistenza di un rapporto sentimentale tra lo stesso e una collega, addetta al medesimo settore di attività.

Con la mancata comunicazione, il prestatore aveva violato la policy aziendale contenuta nel Codice di Comportamento, che imponeva di segnalare tale circostanza.

Allo stesso era stato anche contestato di aver adottato un contegno abusivo nei confronti della donna, inducendola a tacere lo stato di gravidanza al datore di lavoro e a rassegnare le dimissioni per ricollocarsi presso altra società competitor.

Le predette circostanze erano state segnalate al datore tramite il sistema di whistleblowing.

Il lavoratore aveva impugnato il licenziamento deducendo, tra i motivi, l’inutilizzabilità delle conversazioni a mezzo “whatsapp” intrattenute con la collega, per come riportate nella contestazione disciplinare.

Doglianza, questa, giudicata infondata dal giudice del lavoro, per il quale, per contro, non era rilevabile alcuna violazione della disciplina sulla privacy: come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, l’esercizio del diritto di difesa prevale sulle esigenze di riservatezza, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.

Del resto, il datore di lavoro non aveva acquisito le conversazioni private tra i dipendenti in maniera arbitraria o in esercizio di un potere di controllo contrario all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, atteso che le suddette conversazioni erano state trasmesse alla società direttamente dalla collega, coinvolta nella relazione.

Da qui l’infondatezza, altresì, dell’illegittimità della condotta datoriale, per asserita violazione del principio di segretezza della corrispondenza privata.

Le riproduzioni informatiche delle conversazioni di messaggistica “whatsapp” – si legge ancora nella decisione – costituiscono riproduzioni meccaniche idonee a provare i fatti ivi rappresentati, salvo il disconoscimento puntuale e circoscritto da parte del soggetto contro cui sono prodotte.

E nel caso di specie, non era stato operato, dal ricorrente, un disconoscimento chiaro, circostanziato ed esplicito, come invece richiesto dalla giurisprudenza.

Secondo il Tribunale, in definitiva, il fatto ascritto al ricorrente risultava lesivo del codice di comportamento e del codice etico, adottati dalla società datrice, nonché, in generale, dei doveri di correttezza e lealtà che devono essere rispettati nel rapporto di lavoro.

La diligenza richiesta dall’art. 2105 c.c. nell’espletamento della prestazione lavorativa ricomprende, infatti, anche l’obbligo di adottare un contegno conforme alle disposizioni organizzative e ai protocolli di comportamento imposti dal datore di lavoro, a protezione degli interessi aziendali.

La condotta assunta, ciò posto, risultava connotata da una gravità tale da non ritenere la stessa punibile con una diversa sanzione conservativa.

Ne conseguiva, in conclusione, la legittimità e proporzionalità della sanzione del licenziamento disciplinare, per come irrogata dal datore di lavoro.