Attività stagionali e “punte di stagionalità”

La società DeltaAir spa,  attiva nel settore aeroportuale, era stata chiamata in giudizio da alcuni dipendenti per violazione della normativa sui contratti a termine e per stabilire la conversione in contratto di lavoro indeterminato. Analizziamo dunque le discipline normative e giuridiche relative al caso di specie.

CONTESTO NORMATIVO

Come noto, nell’ordinamento vigente, non esiste una nozione diretta e specifica di stagionalità, che possa essere utilizzata per qualificare i rapporti di lavoro in via generale come tali, ma solo richiami per specifici regimi in deroga.

Nel momento in cui fu redatto il D.Lgs. 81/201, all’articolo21, comma 2, dove si prevede l’obbligo di un periodo cuscinetto di 10 o 20 giorni nelle riassunzioni a termine, si inserì come soggetti in deroga a tale disposizione:

“i lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi. Fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525”.

A tale disposizione si agganciano, mediante un espresso richiamo, una serie di ulteriori deroghe, legate al limite massimo per successione di 24 mesi (articolo19 comma 2, D.Lgs. 81/2015) e al limite quantitativo di utilizzo dei contratti a termine, 20% o diverso limite previsto nella contrattazione collettiva (articolo23, comma 2, D.Lgs. 81/2015).

Come era facilmente prevedibile, il Decreto sulle attività stagionali non ha mai visto la luce e, quindi, come parametro normativo il riferimento è all’oramai datato D.P.R. 1525/1963, emanato al fine di specificare un elenco delle attività stagionali che legittimassero l’utilizzo del contratto a tempo determinato, allora regolato dal L. 230/1962.

Nell’elenco, oltre a una serie di attività rientranti nel campo agricolo, della pesca, dell’allevamento e dello spettacolo, trovano posto:

“attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o centoventi giorni non continuativi”, oltre a “fiere ed esposizioni” e “attività del personale assunto direttamente per corsi idi insegnamenti professionale di breve durata”.

L’ultimo richiamo all’interno del D.Lgs. 81/2015 al lavoro stagionale è rappresentato dal comma 1,articolo21(come modificato dall’articolo 1, D.L. 87/2018) dove è specificato che:

“i contratti per attività stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all’articolo 19, comma 1”.

IMPLICAZIONI

Nella  questione oggetto di approfondimento, la società DeltaAir spa,  attiva nel settore aeroportuale, era stata chiamata in giudizio da alcuni dipendenti per violazione della normativa sui contratti a termine e per stabilire la conversione in contratto di lavoro indeterminato. Analizziamo dunque le discipline normative e giuridiche relative al caso di specie.
La disciplina del lavoro stagionale si può ritrovare in diverse fonti normative.
In primo luogo, si deve rilevare che esistono delle deroghe, contemplate in questo tipo lavoro nei confronti di quelle dettate per il contratto a tempo determinato.
A questo proposito, a norma dell’articolo 21 comma 2 del Decreto Legislativo n. 81/2015 non vengono applicate nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali le disposizioni in tema di proroghe o rinnovi del contratto a termine.
A norma dell’articolo 23 comma 2 lettera c del Decreto Legislativo n. 81/2015, non si applicano alle attività stagionali neanche le previsioni relative al limite di numero previsto per le assunzioni a tempo determinato.
Il lavoratore che viene assunto a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza rispetto alle altre assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di lavoro per le stesse attività stagionali (art. 24, comma 3).

Inoltre poi,a norma dell’articolo 21, comma 2, del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, le attività stagionali sono quelle individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali, nonché le ipotesi individuate dai contratti collettivi.
L’elenco delle attività stagionali è contenuto nel Decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, insieme alle altre ipotesi previste dalla contrattazione collettiva.

RISOLUZIONE SECONDO NORMA

Come abbiamo avuto modo di delineare nel corso dell’approfondimento, la Corte intervenendo in tema di lavoro stagionale, nell’affermare, ai fini della validità dei contratti stagionali, l’obbligo della contrattazione collettiva pur parlando di punte di attività in determinati periodi dell’anno non ha tipizzato le attività che si ritengono stagionali, ha ribadito che “… nel concetto di attività stagionale possono comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione) e non anche situazioni aziendali collegate ad esigenze d’intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggiori richieste di mercato o da altre ragioni di natura economico- produttiva …”

La vicenda ha riguardato un società di capitale, datrice di lavoro, che era stata chiamata in giudizio da alcuni dipendenti per violazione della normativa sui contratti a termine e stabilire la conversione in contratto di lavoro indeterminato.

I giudici di prime cure respingevano il ricorso dei lavoratori, i quali impugnavano la sentenza di primo grado. I giudici di appello riformavano la sentenza impugnata ed accertava l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con le decorrenze e gli inquadramenti specificati per ognuno dei lavoratori.

Avverso la decisione della Corte di Appello la datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.

Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso, evidenziano che “… L’attività stagionale è aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta ed implica un collegamento con l’attività lavorativa che vi corrisponde. Le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella nozione diversa delle c.d. punte di stagionalità che vedono un incremento della normale attività lavorativa connessa a maggiori flussi. La stagionalità inoltre può essere riferita, oltre che all’attività imprenditoriale nel suo complesso, anche alla specifica prestazione lavorativa svolta dal singolo lavoratore, potendo discendere anche solo dal tipo di prestazione richiesta al lavoratore l’esigenza di una sua limitazione temporale. …”

Inoltre, aspetto più interessante, i giudici di legittimità hanno affermato che solo la contrattazione collettiva, che l’art. 5 comma 4 ter del d.lgs. n. 368 del 2001 autorizza ad individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la deroga al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi di durata cumulativa dei contratti a termine di cui all’art. 5 comma 4 bis, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità.

Pertanto le attività stagionali devono essere specificatamente elencate dalla contrattazione collettiva; e che l’elenco  delle attività stagionali definite dal d.P.R. 7 ottobre 1963 n. 1525 è tassativa e non suscettibile pertanto di interpretazione analogica, delle attività da considerarsi stagionali.

In base a un’interpretazione letterale e sistematica dell’articolo5 comma 4-ter, D.Lgs. 368/2001, disciplina ora non più in vigore, che deroga all’articolo 5, comma 4-bis, dello stesso decreto, ha ritenuto che per applicare la deroga al tetto temporale imposto dalla norma è necessario che l’attività stagionale sia tipizzata e se ne evidenzi, nella norma collettiva autorizzata a individuarla, la speciale natura.

La Corte inoltre ha  poi escluso una sovrapponibilità tra la nozione di attività stagionale e quella di attività continuativa con picchi stagionali: in mancanza di una necessaria caratterizzazione dell’attività da porre a fondamento del legittimo superamento del limite massimo di 36 mesi, la norma collettiva sarebbe nulla. Analoghe considerazioni sono state poi svolte con riguardo alla disciplina applicabile ai contratti conclusi nel 2016, dettata dall’articolo19 comma 2, D.Lgs. 81/2015 che rinvia all’articolo21, comma 2, dello stesso decreto.

La Corte di Cassazione, partendo dall’esame della disciplina del D.Lgs. 368/2001, applicabile ai primi contratti intercorsi tra le parti e rispetto ai quali è stato accertato il superamento del limite dei 36 mesi, ha ricordato che tale norma consentiva l’apposizione del termine alla durata del contratto di lavoro subordinato da parte delle aziende di trasporto aereo o esercenti servizi aereoportuali, di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di 6 mesi da aprile a ottobre di ogni anno e di 4 mesi in periodi diversamente distribuiti, con rispetto delle percentuali di contingentamento fissate nella misura del 15% o di quella maggiore autorizzata dalla direzione provinciale del lavoro (ora ITL) per gli aeroporti minori.

Inoltre, con approccio simile alla disciplina oggi in vigore, si prevedeva che non si applicasse il limite per sommatoria di 36 mesi alle attività stagionali definite dal D.P.R. 1525/1963 nonché a quelle individuate “dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative”.

RISOLUZIONE CASO PRATICO

Nella vicenda in oggetto dunque, la Suprema Corte ha ritenuto che nel concetto di attività stagionale, riferibile all’impresa, possano comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto e non anche a situazioni aziendali collegate a esigenze di intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggior richieste di mercato o da altre ragioni di natura economica produttiva.

Le fluttuazioni del mercato e gli incrementi di domanda che si presentino ricorrenti in determinati periodi dell’anno rientrano nella diversa nozione delle cosiddette punte di stagionalità, dove si assiste a un incremento della normale attività lavorativa connessa maggiori flussi.

La stagionalità inoltre può essere riferita, oltre che all’attività imprenditoriale nel suo complesso, anche alla specifica prestazione lavorativa svolta dal singolo lavoratore, potendo discendere anche solo dal tipo di prestazione richiesta al lavoratore l’esigenza di una sua limitazione temporale.

Continua poi la Suprema Corte evidenziando come il D.P.R. 1525/1963, riferimento passato e presente per definire le attività stagionali, contenga: “un’elencazione da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle attività da considerarsi stagionali. Si tratta di indicazioni che depone nel senso della necessaria tipizzazione dell’attività stagionale che, in imprese che svolgono continuativamente la loro attività, deve essere chiaramente identificata. Ne consegue che la contrattazione collettiva, autorizzata a individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la delega al divieto di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata cumulativa dei contratti a termine, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità”.

Prima di entrare nel merito delle considerazioni conclusive contenute nella sentenza, è opportuno richiamare il testo dell’articolo 30, Ccnl trasporto aereo – attività aeroportuali, dove si prevede che:

“Le parti, a mente del comma 4-ter, dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001 e successive modifiche, hanno primariamente confermato, anche nel solco di quanto già sancito dall’accordo del 21 aprile 2008, la specificità stagionale del dettato dell’art. 2 del citato D.Lgs. che ha tipicizzato la fluttuante dinamica del settore evidenziandone la presenza di esigenze strutturali di tipo stagionale nei periodi ivi individuati. “un’elencazione da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle attività da considerarsi stagionali. Si tratta di indicazione che depone nel senso della necessaria tipizzazione dell’attività stagionale che, in imprese che svolgono continuativamente la loro attività, deve essere chiaramente identificata. Ne consegue che la contrattazione collettiva, autorizzata a individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la delega al divieto di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata cumulativa dei contratti a termine, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità”.

Prima di entrare nel merito delle considerazioni conclusive contenute nella sentenza, è opportuno richiamare il testo dell’articolo 30, Ccnl trasporto aereo – attività aeroportuali, dove si prevede che:

“Le parti, a mente del comma 4-ter, dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001 e successive modifiche, hanno primariamente confermato, anche nel solco di quanto già sancito dall’accordo del 21 aprile 2008, la specificità stagionale del dettato dell’art. 2 del citato D.Lgs. che ha tipicizzato la fluttuante dinamica del settore evidenziandone la presenza di esigenze strutturali di tipo stagionale nei periodi ivi individuati. “un’elencazione da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica delle attività da considerarsi stagionali. Si tratta di indicazioni che depone nel senso della necessaria tipizzazione dell’attività stagionale che, in imprese che svolgono continuativamente la loro attività, deve essere chiaramente identificata. Ne consegue che la contrattazione collettiva, autorizzata a individuare le attività stagionali rispetto alle quali opera la delega al divieto di superamento del limite massimo di 36 mesi di durata cumulativa dei contratti a termine, deve elencare specificatamente quali sono le attività che si caratterizzano per la stagionalità”.

Prima di entrare nel merito delle considerazioni conclusive contenute nella sentenza, è opportuno richiamare il testo dell’articolo 30, Ccnl trasporto aereo – attività aeroportuali, dove si prevede che:

“Le parti, a mente del comma 4-ter, dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001 e successive modifiche, hanno primariamente confermato, anche nel solco di quanto già sancito dall’accordo del 21 aprile 2008, la specificità stagionale del dettato dell’art. 2 del citato D.Lgs. che ha tipicizzato la fluttuante dinamica del settore evidenziandone la presenza di esigenze strutturali di tipo stagionale nei periodi ivi individuati. Le parti ritengono inoltre di individuare nelle più generali esigenze rimarcate nel predetto testo normativo, specifici picchi di stagionalità rispettivamente compresi tra dicembre e gennaio, tra luglio e settembre in cui sarà possibile incrementare il limite massimo percentuale ivi previsto di un ulteriore 5%”.

Tale regolamentazione, ora non più in vigore, probabilmente anche per il contenzioso che ha determinato, appare estremamente imprecisa, oltre che scritta in un pessimo italiano, dove di fatto la definizione di stagionalità è limitata a rinvii e concetti tautologici (fluttuante dinamica…. specifici picchi di stagionalità rispettivamente compresi tra…), senza alcun dettaglio che ne possa individuare la stagionalità

A ogni modo, sulla base di tali premesse, la Cassazione ha ritenuto che l’articolo 30, Ccnl, applicabile al caso concreto:

“non abbia, in attuazione della delega conferita alla contrattazione collettiva, provveduto ad individuare, secondo gli indicati criteri, le attività svolte dal personale di terra del trasporto aereo e delle altre attività aeroportuali che abbiano carattere di stagionalità. La norma collettiva si è infatti limitata ad un tautologico rinvio all’articolo 2 del D.Lgs. 368 del 2001, che regola in genere la possibilità di apporre un termine al contratto di lavoro per le società di trasporto aereo e dei servizi di terra, ed ha attribuito a tale …. una generica connotazione di stagionalità. In sostanza, la disposizione più che essere nulla per contrasto ad una norma imperativa, come afferma la sentenza impugnata, risulta inidonea a dar corpo alla delega operata dalla disposizione di legge poiché non contiene alcuna specificazione di quali siano le attività che devono essere ritenute stagionali in quanto preordinate ed organizzate per l’espletamento limitato ad una stagione”.

Viene poi considerato inutile, al fine della qualificazione come stagionale, il richiamo ai picchi di stagionalità individuati dal Ccnl (e compresi tra dicembre – gennaio e luglio – settembre).

Secondo la Suprema Corte,

“questi infatti hanno riguardo proprio alla normale attività che si intensifica nei periodi indicati tanto da aver determinato le parti sociali, consapevoli della necessità di procedere ad un numero maggiore di assunzioni in quei periodi, ad aumentare la percentuale del cosiddetto contingentamento di un ulteriore 5%. Nessun elemento è desumibile dalla norma che consenta di individuare attività a carattere stagionale che, ove siano oggetto di un contratto a termine, non sono soggette al limite di legge di 36 mesi superato il quale il rapporto di lavoro diviene a tempo indeterminato”.