False fatture: niente reato per l’utilizzatore se l’emittente è stato assolto

La Corte di Cassazione con sentenza 20673 del 16 maggio 2023 ha specificato che nelle ipotesi in cui chi  ha emesso la fatturazione è stato assolto in via definitiva va esclusa anche la responsabilità penale di chi ha utilizzato le stesse fatture.

L’organo giudicante, infatti, non può giungere a conclusioni inconciliabili con la sentenza irrevocabile.

Da una parte, le risultanze di un precedente giudicato penale, acquisite ai sensi dell’art. 238-bis c.p.p., e riguardanti una pre-condizione del giudizio in corso, impongono, al giudice che giunga a diverse conclusioni sulla base di una differente valutazione giuridica dei medesimi fatti, di giustificare specificamente la conciliabilità del diverso esito.

Dall’altra, resta esclusa la possibilità di contraddire la già accertata verificazione del medesimo fatto storico.

La Corte ha accolto il ricorso del legale rappresentante di una società, condannato, in sede di merito, per il reato di falsa fatturazione ex art. 2 D. Lgs.n 74/2000. 

La Corte d’appello, in particolare, aveva confermato la penale responsabilità dell’imputato, accusato dell’utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti.

L’esistenza di tali operazioni, tuttavia, era stata affermata in una precedente sentenza irrevocabile di assoluzione, riguardante l’emissione di dette fatture, acquisita, nel giudizio che ci occupa, ex art. 238-bis c.p.p.

L’emittente delle stesse fatture contestate all’utilizzatore, ossia, era stato assolto con la formula “perché il fatto non sussiste”, in quanto era stato giudicato che, in base agli elementi di prova, le operazioni imponibili sottostanti fossero esistenti sia in termini oggettivi che soggettivi.

Si trattava di due autonomi giudizi relativi a un medesimo fatto storico, vale a dire l’esistenza delle operazioni sottostanti la fattura oggetto dell’imputazione.

Per tali procedimenti, pur risultando inapplicabile il principio della pregiudizialità penale, il giudice del secondo giudizio era comunque tenuto a motivare espressamente circa le ragioni per le quali era pervenuto a diverse conclusioni rispetto a quello già definito in precedenza, essendo stata acquisita la relativa sentenza, da valutare alla luce del richiamato art. 238-bis.

Ai sensi di tale articolo, infatti, le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192 comma 3 del medesimo codice, fermo quanto previsto dall’articolo 236.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Suprema corte ha cassato la decisione impugnata, disponendo il rinvio del giudizio alla Corte d’appello, che dovrà dare applicazione all’art. 238-bis c.p.p. per verificare la sussistenza, nella specie, di un’inconciliabilità sui medesimi fatti storici e sulla effettività o meno delle operazioni economiche sottostanti le stesse fatture oggetto delle due sentenze.