Giustificato licenziamento per rifiuto full-time

Il licenziamento di un dipendente a causa del suo rifiuto di passare da un impiego part-time a uno full-time è giustificato e privo di qualsiasi carattere punitivo, se il cambiamento di orario costituisce l’unica soluzione possibile per l’azienda. Questo è di fatto l’orientamento che la Corte ha accolto nel suo ricorso in favore di un’azienda condannata in Appello per aver licenziato un dipendente, il quale si era rifiutato di passare da un contratto a tempo parziale a uno a tempo pieno. L’azienda aveva assunto un nuovo dipendente e cancellato la precedente posizione del lavoratore licenziato.

Secondo i giudici d’Appello, l’azienda aveva chiaramente agito in modo punitivo. In quanto avrebbe potuto riorganizzare la sua struttura lavorativa in modi diversi rispetto al licenziamento del dipendente part-time. La Cassazione ha invece sottolineato che i giudici hanno sovrapposto il giudizio sulla legittimità del motivo giustificato che ha portato al licenziamento da parte dell’azienda con quello sulla finalità punitiva della rescissione del rapporto di lavoro. E questi due elementi non possono e non devono essere confusi.

Di conseguenza, il primo motivo del ricorso dell’azienda è stato accolto. Perché la sentenza impugnata non ha rispettato i limiti della giurisdizione giudiziaria sulle decisioni organizzative dell’imprenditore, che sono alla base del licenziamento individuale, superando così il perimetro legittimo del giudizio del giudice del lavoro sulle scelte imprenditoriali.

A proposito del carattere punitivo del licenziamento, la Cassazione ha ricordato che la sentenza impugnata non è legittima perché non dimostra che la punizione sia stata il vero e unico motivo alla base del licenziamento del dipendente. Solo in questo caso il licenziamento avrebbe potuto essere annullato, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro. La decisione difatti si basava su una valutazione della scelta aziendale da cui era emersa la prova della finalità punitiva, con le stesse circostanze prese in considerazione per dichiarare l’ingiustizia del motivo oggettivo addotto.

Il giudice al quale viene impugnato il licenziamento deve distinguere la sua analisi tra la legittimità della scelta imprenditoriale e l’eventuale presunta presenza di una punizione illecita contro il lavoratore che ha rifiutato la trasformazione del contratto. La Corte ha quindi accolto il ricorso e ha annullato la sentenza della Corte d’appello con un rinvio per un nuovo esame della causa.