Quando il licenziamento può considerarsi ritorsivo?

La Cassazione con ordinanza 741 del 9 gennaio 2024 afferma che non può ritenersi ritorsivo il licenziamento irrogato per giusta causa qualora il motivo addotto a fondamento del recesso sia sussistente, anche nell’ipotesi in cui la sanzione espulsiva risulti, poi, sproporzionata rispetto all’addebito.

Un lavoratore impugnava giudizialmente il licenziamento irrogatogli per giusta causa statuendo di aver subito un primo trasferimento dichiarato giudizialmente illegittimo, con ordine di ripristino del rapporto di lavoro presso la sede originaria e di essere stato vittima di una serie di ulteriori condotte vessatorie.

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva, preliminarmente, che l’accoglimento della domanda di nullità del licenziamento perché fondato su motivo illecito esige la prova che l’intento ritorsivo datoriale abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto.

Tuttavia, secondo i Giudici di legittimità, ove il licenziamento venga irrogato a fronte di una condotta inadempiente di rilievo disciplinare, la concreta valutazione di gravità dell’addebito, nel senso della sproporzione della sanzione espulsiva, se pure può avere rilievo presuntivo, non può tuttavia portare a giudicare automaticamente ritorsivo il licenziamento.

Su tali presupposti, la Suprema Corte accoglie il ricorso proposto dalla società.